15/02/08 Convivenza e matrimonio

Organizzato dalla sezione genovese dell'Osservatorio del diritto di famiglia, in unione con l'Ufficio distrettuale per la formazione decentrata del CSM, si è tenuto a Genova il 15 febbraio 2008 un convegno su "Convivenza e matrimonio", relatori tra gli altri il Prof. Andrea Fusaro, il Prof. Massimo Dogliotti, la Prof. Gilda Ferrando e il Prof. Alfredo Verde, tutti dell'Università di Genova. Ha tenuto una relazione anche il Prof. Claudio Cecchella dell'università di Pisa, in allegato il testo.

Tutela giurisdizionale della famiglia di fatto by Claudio Cecchella

Tutela giurisdizionale della famiglia di fatto

(Relazione al convegno "Convivenza e matrimonio",

Genova 15-16 febbraio 2008)

di Claudio Cecchella

1. Premessa sulla strumentalità del processo familiare e sulla tutela giurisdizionale differenziata in materia di famiglia. 2. Il problema di una tutela sostanziale dei diritti personali e patrimoniali del convivente di fatto e le conseguenze sul piano giurisdizionale. 3. I diritti patrimoniali connessi all'affidamento e alla potestà sul minore nella famiglia di fatto e i mezzi giurisdizionali speciali di tutela. 4. Segue. Alcuni strumenti di diritto sostanziale. 5. Segue. Il sequestro. 6. Segue. La surrogazione nella prestazione periodica e continuativa da parte di un terzo. 7. Le forme di tutela processuale dei diritti di mantenimento del figlio naturale. 8. I diritti personali connessi all'affidamento e alla potestà sul minore nella famiglia di fatto e i mezzi giurisdizionali speciali.

1. Premessa sulla strumentalità del processo familiare e sulla tutela giurisdizionale differenziata in materia di famiglia

Il processo di famiglia e le tutele in esso offerte risentono in modo intenso del carattere strumentale della tutela giurisdizionale rispetto alle esigenze postulate dal diritto sostanziale e dalla tutela degli interessi protetti. Si pensi, ad esempio, al carattere necessario e preliminare di una tutela provvisoria anticipatoria resa nei procedimenti per separazione e divorzio dal presidente del tribunale - perché la crisi familiare necessita di una regola e non può restare nell'incertezza dettata dai tempi della tutela ordinaria - e al continuo adattamento delle misure giurisdizionali alle evoluzione della fattispecie attraverso il generalizzato e illimitato potere di revoca e modifica del giudice istruttore, con tutte le peculiarità ulteriori del relativo rito in deroga al processo di diritto comune; si pensi ancora alle speciali tutele sommarie anticipatorie ed esecutive di cui pur frammentariamente godono i diritti al mantenimento (art. 148 e 156 c.c.); si pensi, infine, alle problematiche sottese alla esecuzione dei provvedimenti di tutela di alcuni diritti personali, come la potestà e l'affidamento (tra tutte l'obbligo di consegna del minore) e le risposte offerte dall'ordinamento, in origine con l'art. 6, comma 10°, della legge sul divorzio - legge n. 898 del 1970 - e oggi con l'attualissimo art. 709 - ter c.p.c., dovuto alla legge n. 54 del 2006).

Chi studia il processo deve sempre muovere da una piena consapevolezza degli interessi da tutelare e delle regole di diritto sostanziale che li disciplinano, essendo il processo non un bene giuridico in sé, ma uno strumento al servizio del diritto sostanziale, allo scopo di garantirne l'effettività.

Orbene questa esigenza, costante in tutte le materie, si evidenzia in modo assolutamente centrale nell'ambito del diritto di famiglia, perché in questo contesto le ragioni di una tutela giurisdizionale differenziata si impongono in modo assolutamente prevalente, chiave di lettura dell'intero ordinamento, tanto che il sistema processuale si caratterizza - peraltro in una regolamentazione non sempre coerente e razionale - per la intensità delle deroghe al regime del diritto comune, sotto il profilo del processo di cognizione come anche del processo esecutivo.

L'intervento del legislatore è tuttavia frammentario, assai spesso solo abbozzato, originato da stratificazioni normative succedutesi nel tempo non sempre coerenti tra loro e spesso dettate dalla contingenza di interessi tutelati volta per volte, tutte certamente nel segno di una tutela giurisdizionale differenziata, ma necessitanti di un disegno che le riconduca ad unità e a sistema, particolarmente in relazione ai fenomeni, differenti ma non scevri di analogie che sono la famiglia fondata sul matrimonio e la famiglia fondata sulla convivenza c.d. more uxorio (ove vi è uno spontaneo adeguamento delle condotte ai doveri e agli obblighi della famiglia fondata sul matrimonio), nel momento (attualmente esclusivo) di intersecazione delle due materie che è costituito dalla tutela dei diritti personali e patrimoniali connessi all'affidamento e alla potestà sul minore.

Infatti le situazioni implicate dal diritto di famiglia si caratterizzano in primo luogo per la urgenza inderogabile della tutela (tanto che si può sostenere che l'esigenza cautelare è immanente nella materia familiare) e dalla infungibilità della prestazione volta ad assicurare il diritto, si pensi ad esempio all'obbligo di consegna del minore, tanto per citare il caso più evidente, ove strumenti come quelli dell'attuale processo esecutivo comune, tutto fondato sulla fungibilità della prestazione e sulla sostituzione dell'obbligato da parte dell'organo esecutivo, non possono essere idonei alla assicurazione del diritto.

Questo non è certo il caso del diritto al mantenimento, che coincide con un credito in denaro e quindi si identifica, per il suo oggetto, con una prestazione per definizione fungibile, ma nel diritto al mantenimento infungibile è il bene indirettamente garantito dalla prestazione pecuniaria, che è la vita, l'esistenza libera e dignitosa della persona, tanto che nonostante la sua fungibilità può essere colpito da una danno grave ed irreparabile, cui difficilmente sopperiscono gli istituti di tutela per equivalente o per sostituzione dell'organo esecutivo.

Questa è la ragione per la quale, pur coincidendo con un diritto la cui violazione è astrattamente rimediabile - trattandosi di un credito - è cionondimeno tutelabile nelle forme dell'art. 700 c.p.c., anzi tutti i diritti sono assicurabili con lo speciale mezzo atipico laddove non esista uno tipico consentito.

Oltre alla indiretta fungibilità del bene della vita, esiste un'ulteriore peculiarità della situazione sostanziale, degna di rilievo: il carattere continuativo e periodico della prestazione ovvero il carattere permanente del diritto, ciò che limita fortemente l'efficacia dei tradizionali mezzi esecutivi, i quali presuppongono che il diritto sia esigibile e quindi già maturato o scaduto (art. 474, 1° comma c.p.c.) e perciò rendono necessaria la reintroduzione di un autonomo processo esecutivo per ogni prestazione mancata.

L'ordinamento deve perciò provvedere a strumenti che assicurino la prestazione della parte obbligata al mantenimento, al di là dei tradizionali mezzi cautelari ed esecutivi.

I profili processuali della tutela del contributo al mantenimento si presentano come paradigma, per un verso, della specialità della disciplina e per altro verso della sua incoerenza sistematica, essendo adottate soluzioni affatto coordinate nell'ambito del procedimento per separazione rispetto a quello divorzile, come anche quello della tutela della famiglia di fatto.

2. Il problema di una tutela dei diritti personali e patrimoniali del convivente di fatto e le conseguenze sul piano giurisdizionale

La riprova della dipendenza del diritto processuale dal diritto sostanziale è proprio tutta nelle forme di tutela della famiglia di fatto.

In questo ambito, infatti, manca - nella prospettiva particolare del rapporto tra i conviventi e degli interessi patrimoniali e personali di cui sono titolari (con un fondamento allo stato extragiuridico) - il riconoscimento positivo di situazioni giuridicamente protette come nel coniugio fondato sul matrimonio.

Quindi il silenzio del diritto sostanziale in ordine a speciali situazioni regolate rende di conseguenza inesistente un'esperienza di giurisdizione differenziata, come accade invece laddove, nella famiglia di diritto, esiste una regolamentazione speciale.

La conseguenza è che - laddove secondo il diritto comune sia rinvenibile un interesse positivamente tutelato nell'ambito della famiglia di fatto - gli strumenti offerti sono inevitabilmente quelli del diritto comune, senza alcuna differenziazione.

E' la riprova del nesso indissolubile tra specialità del diritto sostanziale e specialità del diritto processuale.

Le varie ipotesi proposte dalla casistica giurisprudenziale hanno come elemento comune la deduzione della convivenza come fatto impeditivo agli effetti di azioni promosse per la ripetizione o la restituzione dovuta all'ingiustificato arricchimento o la revocazione della donazione promossa dal familiare di fatto che ha contribuito al mantenimento.

Pertanto la tutela del coniuge di fatto sul piano sostanziale non si allontana dagli istituti di diritto comune, come ad esempio l'assimilazione del mantenimento durante la convivenza ad un'obbligazione naturale, per il suo fondamento morale, con la conseguente negazione di un'azione di ripetizione sia durante che dopo la convivenza e la conseguente incoercibilità della prestazione, si risolve sul piano processuale nella eccezione di convivenza come fatto impeditivo della ripetizione da dedurre in sede processuale quando il coniuge di fatto sia convenuto nel giudizio di ripetizione, il cui onere di allegazione e prova (la effettiva convivenza con tutti gli elementi di fatto del matrimonio, dalla coabitazione, alla contribuzione, alla assistenza materiale e morale, alla fedeltà) incombe sul coniuge beneficiario. Hanno quindi rilievo gli strumenti comuni dell'azione di ripetizione e della eccezione sul carattere naturale della obbligazione.

Se poi la prestazione economica elargita fuoriesce dai limiti di un semplice contributo al mantenimento, per integrare gli estremi della vera e propria donazione, la tutela del coniuge beneficiario passa, come nel diritto comune, dalla necessità di opporre il carattere remuneratorio della donazione, ai fini di paralizzare gli effetti di un'azione di revocazione (artt. 770 e 805 c.c.), ancora come fatto impeditivo la cui allegazione e prova incombe sul beneficiario (salvo che per la mancanza della forma non sia necessario dedurre e provare il carattere d'uso della donazione, ancora art. 770). Il fatto impeditivo viene a coincidere, ancora, con la convivenza di fatto e il tutto si risolve ancora negli strumenti comuni dell'azione di revocazione della donazione e della eccezione sul carattere remuneratorio e/o d'uso della donazione.

Ancora, il caso di cessione o acquisto di un bene a favore di uno dei coniugi di fatto con mezzi economici dell'altro. L'azione di ingiustificato arricchimento che ne potrebbe conseguire, qualora l'elargizione superi la normale contribuzione al ménage e sia privo di ogni nesso di reciprocità o esorbiti rispetto alle capacità patrimoniali o reddittuali dell'onerato. Il fatto impeditivo all'accoglimento dell'azione coincide con l'allegazione e la prova che l'elargizione sia avvenuta come espressione di una contribuzione all'interno della famiglia di fatto.

In altri casi la convivenza non assurge a fatto impeditivo, ma a vero e proprio fatto costitutivo di un'azione.

In relazione ai diritti relativi alla abitazione familiare di proprietà di uno dei coniugi di fatto, innanzi allo spoglio provocato, dopo la crisi della convivenza, da quest'ultimo si apre all'altro convivente la necessità difensiva di non qualificare come mera ospitalità la detenzione, ma come il risultato di una vera e propria convivenza all'interno di una famiglia di fatto, risultato di una detenzione qualificata, che lo legittima all'azione di reintegrazione nel possesso ex art. 1168 c.c. In tal caso il fatto-convivenza assurge ad elemento costtutivo dell'azione.

Ugualmente nel caso in cui - per le conseguenze del decesso del familiare di fatto - sia esercitata un'azione risarcitoria del danno morale e patrimoniale subito, la convivenza assurge ancora al rango di fatto costitutivo della domanda.

In questi casi tuttavia la convivenza fonda la ragione, pur all'interno di istituti e regole comuni, per una regolamentazione particolare.

Ma assai spesso la tutela passa attraverso forme di tutela ordinaria contrattuale come le ordinarie azioni di manutenzione degli obblighi contrattuali o di impugnativa del contratto, quando i coniugi di fatto nel silenzio della legge offrono ai loro rapporti una base contrattuale, con un incontro dei consensi prima della convivenza o durante la convivenza. Quindi l'azione di condanna all'adempimento oppure, al contrario, l'azione di nullità per illiceità della causa o sua mancanza, per contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume o per difetto di forma, quando il patto cela una donazione priva di forma pubblica.

In questi casi la convivenza assurge ad elemento costitutivo dell'azione contrattuale, perché fonda l'elemento causale del patto di natura patrimoniale stipulato (mentre si ritiene per lo più che per difetto di causa non possa essere oggetto di valida pattuizione la previsione di un dovere di natura personale, come la fedeltà, l'assistenza morale, la coabitazione e così via).

Si tratta evidentemente di rapporti e situazioni che devono essere ricostruite con gli strumenti del diritto comune.

Potrebbe porsi qui sul piano contrattuale il richiamo agli obblighi tutti di cui all'art. 143 c.c. e alle conseguenti tutele processuali speciali (come tra poco vedremo, sequestro e surrogazione del creditore nell'adempimento periodico del terzo a favore del debitore). Se sul piano sostanziale l'ipotesi non è giuridicamente impedita (salvo per i doveri di natura personale esclusi dal carattere non patrimoniale della prestazione, ex art. 1174 c.c.), sul piano processuale ancora una volta tutto si converte nelle ordinarie azioni contrattuali, non potendo un'azione giurisdizionale o una tutela speciale avere fonte diversa dalla legge (per il carattere pubblicistico del processo, che può subire gli effetti di una determinazione negoziale solo se l'ipotesi è tipizzata dal legsilatore: ad esempio nel caso di proroga della competenza o della giurisdizione).

3. I diritti patrimoniali connessi all'affidamento e alla potestà sul minore nella famiglia di fatto e i mezzi giurisdizionali speciali.

Diversa è invece la collocazione giuridica del rapporto familiare di fatto, quando dall'unione non consacrata giuridicamente nasce un figlio.

Esiste qui, sin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 (legge n. 151), l'opzione del legislatore per una perfetta identità di disciplina tra filiazione legittima e filiazione naturale, che conduce ad una perfetta assimilazione del regime dei due stati ("il riconoscimento comporta da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi", art. 268 c.c., con la previsione di un esercizio congiunto della potestà in caso di convivenza, art. 317-bis, 2° comma, c.c.), per i profili patrimoniali come personali. Il principio è ribadito nella recente legge n. 54 del 2006, ove all'art. 4, 2° comma, si estende l'applicabilità del nuovo regime "ai figli di genitori non coniugati".

Questa assimilazione conduce ad un travaso di tutte le situazioni protette sul piano sostanziale e delle speciali azioni giurisdizionali di tutela della famiglia legittima alla famiglia di fatto e la trattazione si conduce sul piano della differenziazione delle tutela. Ma come si è detto si tratta di una disciplina stratificata, resa in tempi successivi, necessitante di una visione di carattere sistemativo che il legislatore non offre all'interprete e di cui questi deve farsi carico.

Muovendo dagli interessi tutelati, è necessario evidenziare una distinzione, che ha scarso rilievo nell'ambito della famiglia di fatto, ma che, come presto vedremo, è centrale nello studio dei mezzi giurisdizionali di tutela nella famiglia consacrata sul matrimonio. Essa merita attenzione poiché in sede di trattazione dei mezzi di tutela dei diritti patrimoniali connessi alla filiazione nella famiglia di fatto è necessario verificare quali regole possano essere effettivamente e concretamente recuperate.

Il credito di mantenimento dei figli può necessitare di una tutela nell'ambito della crisi, ovvero nel contesto dei processi di separazione e divorzio, mediante quella forma di tutela anticipatoria fondata su di una cognizione sommaria che è l'ordinanza presidenziale, all'interno della quale possono essere dettate tutte le misure note a tutela del credito al mantenimento.

Può diversamente collocarsi in una tutela che prescinde dalla crisi familiare, quando l'esigenza si pone nel contesto di una separazione di fatto o semplicemente non presuppone una separazione (art. 148 c.c) e in tal caso quelle misure sono dettate al di fuori di un procedimento di separazione (e ovviamente anche di divorzio).

Può infine collocarsi nell'ambito di un rapporto familiare di fatto, ove la convivenza, l'unione, non è fondata su di un matrimonio e dove l'interesse protetto dall'ordinamento è soltanto il credito al mantenimento del figlio, poiché non esiste alcun obbligo di mantenimento del coniuge di fatto. Anche in tal caso si deve pensare a forme di tutela che esprimano i contenuti di tutela propri della filiazione legittima, ma al di fuori dei procedimenti per separazione e divorzio, di cui tuttavia non potranno beneficiare degli strumenti di tutela anticipatoria in limine litis.

Il rapporto familiare di fatto può inoltre derivare dalla dichiarazione di nullità di quello celebrato, soccorrendo in tal caso gli effetti del matrimonio putativo, cui consegue il diritto al mantenimento del coniuge in buona fede per un triennio ex art. 129 c.c. e comunque il diritto al mantenimento dei figli nati o concepiti durante il rapporto o prima di esso se riconosciuti anteriormente alla sentenze che dichiara la nullità del matrimonio (sulla applicabilità dello speciale istituto del sequestro al matrimonio putativo, cfr. Cass., 11 ottobre 1983, n. 5887, in Giust. civ., 1984, I, 1569).

Ora è interessante notare sul piano normativo come tutte queste situazioni, perfettamente identiche tra di loro, salvo la diversità della fattispecie che ne è all'origine, implicano tutte quelle esigenze di diritto sostanziale, evidenziate nel par. 1 che precede, che devono tradursi in una tutela giurisdizionale differenziata, particolarmente di carattere anticipatorio e esecutivo. Ciononostante le risposte dell'ordinamento processuale non sono assai spesso unitarie con una regolamentazione incoerente. L'interprete in ognuna delle disposizione sostanziali di tutela potrà tuttavia cogliere un istituto processuale peculiarità generali, i cui tratti tendenzialmente unitari possono essere facilmente delineati.

Anzitutto si rinviene un sequestro dei beni dell'obbligato, che assume la denominazione del mezzo cautelare tipico e che tuttavia, come tra breve vedremo, non ha alcuna peculità cautelare: l'istituto compare nel contributo di mantenimento del procedimento di separazione, art. 156, 6° comma c.c.; nell'assegno divorzile e nel contributo di mantenimento dei figli, art. 8, 7° comma, legge n. 898 del 1970; nel contributo del coniuge o del genitore in costanza di matrimonio, art. 146, 3° comma c.c. La disposizione era tuttavia dettata solo per la tutela del mantenimento del coniuge, oggi attraverso interventi plurimi del giudice della costituzionalità della legge deve ritenersi esteso alla tutela del mantenimento del figlio legittimo (e dunque in forza dell'art. 261 c.c., anche del figlio naturale e dunque nell'ambito della famiglia di fatto).

Inoltre l'effetto - in vario modo raggiungibile - di una surrogazione del creditore all'adempimento di terzi obbligati a prestazione unitarie o periodiche: l'istituto si rinviene in costanza di matrimonio nell'art. 148, 2° comma, c.c., nel procedimento di separazione personale all'art. 156, 6° comma c.c., e infine nel procedimento divorzile all'art. 8, 3° comma c.c. Manca ancora una previsione per il caso della tutela del figlio naturale, ma in virtù della assimilazione più volte ricordata deve ritenersi interpretativamente estesa anche a quest'ultimo.

Le tutele giurisdizionali speciali, pur riconducibili, come veduto, ad un ceppo comune sono, e questo è il segno dell'irrazionalità e approssimazione del sistema, regolate diversamente, con soluzione sul piano delle forme e dei presupposti talmente differenti da rischiare di implicare in alcuni casi la natura del mezzo offerto. Esse tuttavia per l'assimilazione più volte ricordata devono essere ricondotte anche alla posizione particolare del figlio nato in una famiglia di fatto.

4. Segue. Alcuni strumenti di diritto sostanziale.

Accenniamo, solamente per completezza di esposizione, trattandosi di istituti di diritto sostanziale, tra gli strumenti a protezione dei crediti di mantenimento, all'iscrizione ipotecaria (art, 156, 5° comma c.c. e art. 8, 2° comma, legge n. 898 del 1970), quale effetto della (sola) sentenza che pronuncia la separazione oppure il divorzio (oppure che si pronuncia solo sui profili economici), essendone esclusa l'ordinanza presidenziale (Cass., 5 ottobre 1960, n. 2564, Giust.civ., 1961, 1, 46).

Oppure, ancora come prerogativa della sola sentenza (Trib. Milano, 5 dicembre 1995, Foro it., 1996, I, 1050), il disporre ex art. 156, 4° comma, c.c. e art. 8, 1° comma, legge n. 989 del 1970, che l'obbligato presti idonea garanzia reale o personale, quando vi sia pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento (ad esempio perché muti con frequenza l'attività lavorativa impedendo una tutela per surrogazione nel credito verso il datore di lavoro oppure si trasferisca all'estero o tenga una gestione disordinata o rischiosa del suo patrimonio). Quest'ultimo istituto ha peculiarità evidenti, poiché applicabile d'ufficio (senza la necessità di una domanda di parte), all'interno di una pronuncia che può non essere stata fatta precedere o seguire da un contraddittorio (nelle forme dell'art. 669 - sexies c.p.c.) e a cui l'obbligato può reagire soltanto con i mezzi di impugnazione, ovvero l'appello, o con la modifica e revoca in sede camerale, nelle ipotesi di mutamento delle circostanze o di giustificati motivi sopravvenuti (rispettivamente art. 710 c.p.c. e art. 9, 1° comma, legge n. 898 del 1970).

Non pare dubitabile che, con l'estensione delle tutele del figlio naturale, questi istituti possano essere applicati anche in sede di tutela del contributo di mantenimento del figlio nella famiglia di fatto.

5. Segue. Il sequestro.

Nonostante il termine utilizzato dal legislatore, e che si spiega soltanto per la comunanza degli effetti, non si deve pensare che il sequestro che il giudice può disporre a tutela del credito di mantenimento coincida con il sequestro conservativo.

La misura non è affatto assimilabile ai mezzi di tutela cautelare.

Infatti, assumendo in primo luogo l'ipotesi regolata nell'ambito della separazione personale, è opportuno evidenziare che mancano del tutto i presupposti della cognizione cautelare: il periculum e il fumus boni iuris.

Il primo perché non contemplato nella norma che fonda la misura, oltre che sulla istanza della parte, sull'inadempimento tout court e prescinde da un pericolo concreto di alterazione della garanzia patrimoniale (cfr. Cass., 28 maggio 2004, n. 10273 e soprattutto Cass., 12 maggio 1998, n. 4776, in Giust. civ., 1998, I, 2533 e in Fam. dir., 1998, 516 con nota adesiva di Carratta; Trib. Pavia 19 novembre 1985, in Giur. merito, 1987, 71; la misura potrebbe essere data anche fuori dai presupposti del pericolo di atti o condotte che fondano il sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.).

Il secondo perché la misura è preceduta da una cognizione piena o sommaria esaurita (e che fonda il contributo già imposto dal giudice all'obbligato), all'interno della sentenza di separazione o con il provvedimento presidenziale o del giudice istruttore. Perciò il giudice che concede la misura in esame non conosce affatto del diritto non potendosi duplicare un accertamento precedente.

Peraltro, anche dopo la novella del 2005, che è intervenuta sull'art. 669 - octies c.p.c. diminuendo il vincolo di strumentalità tra tutela cautelare e tutela di merito, per non rendere più necessario a pena di inefficacia la introduzione del giudizio a cognizione piena e la sua conclusione con un provvedimento di merito, il sequestro, tipica misura "conservativa" non è stato esentato dall'onere ed è rimasto fortemente influenzato dalla originaria strumentalità. Ciò che non si verifica nel caso nostro, poiché la misura resta pienamente efficace, ancorché non seguita da un giudizio di merito (che non avrebbe senso alcuno per essersi già esaurito nella sentenza di separazione o per essere in corso, nel caso si tratti di attuare una misura sommaria anticipatoria).

Peraltro l'esigenza postulata non è affatto o principalmente quella di conservare il patrimonio alla futura azione esecutiva, sia perché il creditore è già munito di un titolo esecutivo (la sentenza di separazione o il provvedimento sommario presidenziale) e potrebbe già avviare un pignoramento, sia per l'inapplicabilità dell'art. 686 c.p.c. sulla conversione del sequestro in pignoramento, per la già evidenziata preesistenza del titolo esecutivo (conf., Trib. Foggia 2 maggio 2000, in Riv. es., 2000, 343 con nota di Siracusano).

La misura perciò va inquadrata in una delle tante forme - sempre più diffuse nell'attuale sistema, solo che si pensi alle sanzioni civili applicabili a tutela dei provvedimenti di affidamento o di potestà genitoriale secondo l'art. 709 - ter, c.p.c. - di coercizione mediante esecuzione indiretta: l'obbligato subisce il sequestro parziale del suo patrimonio, non potendo efficacemente disporne sin tanto che non si esaurisca il suo obbligo contributivo, allo scopo di indurne uno spontaneo adempimento (conf. soprattutto Cass., 12 maggio 1998, n. 4776 cit.; Trib. Messina 7 maggio 1993, in Foro it., 1993, I, 1989).

Ne consegue l'inapplicabilità delle forme del processo cautelare uniforme, ai sensi dell'art. 669 - quaterdecies, e particolarmente della norma sulla reclamabilità (lettura assolutamente prevalente, cfr. fra le tante Trib. Catania 23 aprile 1993, in Dir. fam., 1994, 217 con nota critica di Bongiorno e Ziino e Trib. Messina 7 maggio 1993, cit.; più recentemente, Trib. Foggia 12 giugno 2000, Foro it., 2001, I, 2054 con nota critica di Cea; in senso sfavorevole isolata, Trib. Cagliari, 21 maggio 1998, ivi 1998, I, 2285 con nota adesiva di Cipriani; la dottrina è al contrario favorevole all'ammissibilità). Ugualmente, per la mancanza di un accertamento idoneo al giudicato, è inammissibile il ricorso straordinario innanzi al giudice di legittimità, cfr. Cass., 19 febbraio 2003, n. 2479, in Fam. dir., 2003, 339.

Alla parte inadempiente, oltre agli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza, non resta che invocare i "giustificati motivi" che consentono una revoca della misura ex art. 156, 7° comma, c.c. Essi vengono a coincidere con l'offerta di idonee garanzie da parte dell'obbligato che fughino ogni concreta possibilità di inadempimento futuro. Si tratterà di una modifica che la parte può introdurre in sede di gravame (Cass., 11 ottobre 1983, n. 5887, in Giust.civ., 1984, I, 1569) o, in mancanza di pendenza del giudizio di merito, nelle forme dell'art. 710 c.p.c.

L'inapplicabilità delle forme del processo cautelare uniforme pone una grave problema interpretativo sul rito. A mio avviso si applicano le regole del processo ordinario di cognizione quando esso pende, nel caso in cui l'inadempimento coincida con l'inottemperanza al provvedimento sommario del presidente e del giudice istruttore oppure, pendendo l'appello, alla sentenza di separazione. In tutti questi casi l'istanza potrà essere incidentale e resa nelle forme dell'ordinanza dal giudice istruttore (in questo senso rinvengo Trib. Torino 16 giugno 1986, in Dir. fam., 1986, 1110; Trib. Roma 15 ottobre 1975, in Giur. merito, 1976, 306; contra Trib. Milano 5 dicembre 1995, in Foro it., 1996, I, 1050 che preferisce una decisione collegiale e nella stessa direzione, Cass. 5 agosto 1988, n. 1261 in Corr. giur., 1988, 612) oppure della sentenza pronunciata dal collegio se la questione sorge in sede di decisione o in sede di appello.

Se invece non pende un giudizio di merito, essendo l'inadempimento un fatto sopravvenuto, non vedo controindicazioni a fare uso delle forme processuali applicabili alle modifiche delle condizioni di separazione, ovvero il rito camerale di cui all'art. 710 c.p.c. (in questa direzione mi pare Trib. Catania 28 aprile 1993, in Dir. fam. 1994, 217). Oppure per il caso della filiazione di fatto, ancora di un'ordinaria azione.

Qualche considerazione merita il presupposto individuato dalla legge nell'inadempimento. Non si deve pensare che esso riguardi solo l'obbligazione di corrispondere il contributo di mantenimento, ma qualunque violazione inerente, ivi compresa, ad esempio, la violazione dell'invito a costituire idonea garanzia reale e personale, secondo quanto ha ritenuto opportunamente Cass., 12 maggio 1998, n. 4776, cit.). Questa indicazione interpretativa è estremamente suggestiva, poiché offre l'esatto inquadramento dell'istituto. Con un'eloquente gradualità il giudice invita l'obbligato a costituire la garanzia e solo qualora questi resti inadempiente pronuncia il sequestro, il cui effetto è perciò quello di imporre un vincolo parziale al patrimonio dell'obbligato per tutte le utilità esecutive che nel futuro si proporranno: una sorta di garanzia atipica giuridiziale.

Ugualmente il letterale limite del sequestro solo a parte del patrimonio è significativo. Tale peculiarità lo svincola evidentemente da una finalità meramente conservativa in funzione della tutela del credito e lo radica invece nell'ambito sanzionatorio e coercitivo.

La Corte costituzionale, infine, ha avuto occasione di estendere l'istituto al caso di figlio naturale (quindi al di fuori del matrimonio e del procedimento per separazione), con sentenza interpretativa di rigetto, cfr. Corte cost., 18 aprile 1997, n. 99, in Corr. giur., 1997, 713 ss.; al contributo convenuto in sede di separazione consensuale (Corte cost., 31 maggio 1983, n 144, in Foro it., 1983, I, 1493; Id, 19 gennaio 1987, n. 5, ivi 1987, I, 670) e al contributo fissato nel provvedimento sommario presidenziale, Corte cost. 19 luglio 1996, n. 258, in Foro it., 1996, I, 3603 con nota critica di Cipriani, quest'ultima di un certo interesse perché qualifica l'atipicità dell'istituto in linea con i citati orientamenti della S.C.

Questo inquadramento per il sequestro concesso in occasione della separazione, esteso dalla Corte cost. a favore del figlio naturale e del coniuge nel matrimonio putativo e in generale in costanza di matrimonio e prima della separazione a tutela dell'obbligo generale di mantenimento ex art. 146, 3° comma, c.c. (anche se qui può ipotizzarsi un misura che precede l'accertamento, assai più affine al sequestro conservativo, non può ripetersi per la simmetrica previsione del rito divorzile).

L'art. 8 u.c. contiene una disciplina diversa: manca ogni limitazione quantitativa (il sequestro può essere concesso sull'intero patrimonio) e il presupposto non è più l'inadempimento ad un contributo accertato bensì una generale garanzia strumentale alla tutela dei contributi di mantenimento: l'assegno e il contributo a favore del figlio. Peraltro la dizione: "assicurare che siano soddisfatte e conservate le ragioni del creditore" sembra fondare un intento cautelare che non era intellegibile nella parallela disposizione del procedimento per separazione.

Peraltro l'intento cautelare anche sattisfattivo fa propendere per una misura cautelare non perfettamente coincidente con il sequestro, che ha funzione essenzialmente conservativa. Più oltre la norma parla di "somme sottoposte a sequestro e pignoramento" prevedendo una conseguenzialità che si giustifica solo con l'applicazione di istituti come la conversione del sequestro in pignoramento.

Tuttavia, nonostante la denunciata diversità letterale, non possiamo pensare per un verso ad un "doppione" della tutela per sequestro o per misura d'urgenza, poiché una duplicazione di ambiti di applicabilità è segno di grave irrazionalità del sistema e, per altro verso, propendere per la identità delle esigenze di tutela sottese alla peculiarità della situazione tutelata: dobbiamo quindi pensare ad una misura coincidente con quella sanzionatoria e coercitiva che abbiamo incontrato nel procedimento per separazione.

Sembra tuttavia che, in difetto del verificarsi di un vero e proprio inadempimento, possa la misura fondarsi anche soltanto sul pericolo di inadempimento e quindi sia evidenziabile anche una funzione latamente cautelare dell'istituto.

6. Segue. La surrogazione nella prestazione periodica e continuativa

da parte di un terzo

Ma è certamente l'istituto della cessione coatta del credito vantato dall'obbligato verso terzi a costituire lo strumento più efficace di tutela, innanzi ai limiti della tutela esecutiva imposti dal requisito della esigibilità del credito, sancito nella disciplina del titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., che la rende meno inefficace innanzi alle prestazioni future e alla loro necessaria continuità: con l'enorme dispendio di reiterate esecuzioni a tutela della parte di prestazione scaduta e rimasta inadempiuta.

Una soluzione potrebbe prospettarsi nell'ambito delle misure coercitive civili, astreintes o sanzioni civili in genere, ma la risposta del legislatore è su questo piano deludente, poiché tale tipo di misure sono concesse nell'ambito dell'art. 709 - ter c.p.c. esclusivamente all'ipotesi della tutela di diritti strettamente personali.

Per sopperire al problema il sistema propone invece misure esecutive vere e proprie (perciò non assimilabili né a sanzioni civili né a misure cautelari, conf. al fine di escluderne la reclamabilità Trib. Modena 13 aprile 1995, in Gius, 1995, 3374, né ad accertamenti decisori come tali non ricorribile per cassazione, così Cass. 27 aprile 2004, n. 3979) di grande efficacia, ma ancora una volta diversamente regolate nel processo per separazione rispetto al processo divorzile, ma anche al di fuori dei procedimenti della crisi.

Il processo per separazione, infatti, all'art. 156, 6° comma, c.c., regola innanzi all'inadempimento (sul quale non è dato al giudice compiere alcuna valutazione discrezionale, essendo il provvedimento dovuto innanzi ad una anche minima violazione o ritardo, cfr. Cass. 6 novembre 2006, n. 23668, in Foro it., 2006, anticipazioni e novità, 14) un "ordine" giudiziale ai terzi tenuti a corrispondere somme anche periodiche di denaro all'obbligato, affinché una parte di essa venga versata direttamente all'avente diritto (a tutela sia del coniuge che dei figli, cfr. Cass. 4 dicembre 1996, n. 10813, in Giur.it., 1997, I, 1, 1532).

Il giudice in tal modo, con un ordine che ha portata per il futuro (e certamente questa è l'effetto più innovativo dell'istituto, poiché il pignoramento dei crediti può perfezionarsi solo per crediti già esigibili), costituisce un effetto giuridico assimilabile a quello della cessione del credito, grazie al quale l'adempimento si perfeziona soltanto verso l'avente diritto al contributo di mantenimento. La pronuncia compete al collegio o al giudice istruttore, a seconda che sia o meno giunta alla fase decisoria (cfr. App. Perugia 29 gennaio 1987, in Dir. fam., 1987, 659; Trib. Torino 16 giugno 1986, ivi, 1986, 1110; Trib. Roma 15 ottobre 1975, in Giur. merito, 1976, 306).

Il terzo debitore non viene coinvolto nel procedimento, per la ragione che sul piano sostanziale la cessione del credito si produce senza il consenso del debitore ceduto e per l'esclusività del contenzioso matrimoniale. Tuttavia può con un'autonoma azione di cognizione oppure in sede di opposizione alla esecuzione contestare la esistenza del credito oppure la sua dimensione, conservando integralmente le eccezioni tutte verso il suo creditore originario, secondo il regime della cessione (come anche per la instaurazione di un'autonomo rapporto tra terzo e exconiuge creditore, l'eccezione che egli può spendere verso quest'ultimo).

Il credito assegnato, infine, non deve necessariamente coincidere con un'erogazione periodica.

Una regola assai simile, anche se non perfettamente coincidente, la si trova, al di fuori della crisi familiare, anche nell'art. 148 c.c. Qui tuttavia è disciplinata in maniera peculiare la procedura: istanza al presidente, instaurazione del contraddittorio, acquisizione eventuale di sommarie informazioni e pronuncia con decreto, che viene notificato al debitore ed al terzo. Dalla notifica si provoca l'effetto di cessione/assegnazione del credito. La particolarità sta inoltre nelle forme con le quali il terzo può far valere le eccezioni spendibili nei confronti del debitore o del exconiuge creditore: l'opposizione entro venti giorni dalla notifica regolata dalla disciplina dell'opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 148, 3° e 4° comma, c.c. Questa regolamentazione impone al terzo una reazione immediata, in difetto della quale si forma giudicato sull'esistenza del credito ceduto, secondo l'accertamento compiuto nel decreto presidenziale. Il debitore e il terzo, alla luce dell'ultimo comma del cit. art. 148, possono chiedere oltre il giudicato solo la modifica o la revoca del decreto, ma si tratterà di istanze giustificate da fatti o circostanze sopravvenute, alle quali non può opporsi il giudicato.

Questa è la disposizione a cui si può fare riferimento in via analogica al caso del figlio concepito nella famiglia di fatto, sia che la convivenza sia in atto, sia che non lo sia.

La regola trasferita nell'ambito del processo divorzile è ancora più deformalizzata ed agile, poiché esclude addirittura l'intervento del giudice e ammette l'avente diritto alla costituzione dell'effetto della surrogazione nel credito sul piano stragiudiziale (art. 8, 3° e 4° comma, legge n. 898 del 1970). Infatti la norma consente all'avente diritto di mettere in mora l'obbligato mediante raccomandata e, decorsi inutilmente trenta giorni, di notificare al terzo (identificato questa volta esclusivamente con chi sia tenuto a corrispondere periodicamente una somma di denaro: datore di lavoro, conduttore in un rapporto di locazione, cliente del lavoratore autonomo o dell'imprenditore legato da un rapporto continuativo e così via) il provvedimento che accerta il diritto del mantenimento, contestualmente ad un atto con il quale si invita il terzo a versare direttamente all'avente diritto alla prestazione di mantenimento la somma relativa (e notiziandone l'obbligato: sarebbe buona regola notificare anche a questi l'atto, ma è sufficiente una significazione anche stragiudiziale, poiché ciò che rileva ai fini dell'effetto di cessione del credito è la notifica al terzo). In tal modo non solo si crea un'effetto di cessione/assegnazione del credito, ma l'avente diritto ha addirittura azione esecutiva verso il terzo a sua volta inadempiente.

Anche in tal caso il terzo, questa volta nella forma necessitata della opposizione alla esecuzione, avrà diritto a contestare l'esistenza o l'ammontare del credito ceduto formulando tutte le eccezioni opponibili al debitore.

Qualora, infine, il credito sia già stato pignorato, all'avente diritto non resta che partecipare, con un intervento, nell'esecuzione, essendo in proposito già munito di un titolo esecutivo, nella logica del concorso. Alla tutela del suo credito provvederà il giudice dell'esecuzione (comma 5), considerando anche che i crediti di mantenimento godono di un privilegio legale sui mobili ai sensi degli artt. 2751 n. 4 e 2778 n. 17 c.c.

Com'è possibile evidenziare, pur non essendo violati i diritti del terzo ceduto (il quale ha le stesse prerogative del debitore ceduto nella cessione del credito), l'istituto manifesta un'efficacia ben diversa dall'ordinario pignoramento dei crediti, sia per la sua proiezione nel futuro (il pagamento periodico consente all'avente diritto di essere soddisfatto anche per le prestazioni ancora non esigibili) e sia per la immediatezza dell'effetto della assegnazione e/o cessione, che nella legge divorzile si produce addirittura sul piano stragiudiziale (è da domandarsi se a tale modello non possano attingere i crediti a prestazione periodica in genere a seguito di un pignoramento).

La cessione coatta, nonostante la lacuna dell'art. 156, 3° comma c.c. (il quale però significativamente ammette una cessione solo di parte del credito, ma in senso contrario v. Cass. 2 dicembre 1998, n. 12204, in Giust. civ., 1999, I, 2088, che ammette una cessione totale; conf. invece Trib. Modena 5 febbraio 1999, in Fam. dir., 1999, 165 con nota adesiva di De Marzo) e grazie alla espressa previsione dell'art. 8, 6° comma legge n. 898 del 1970, non esclude l'applicabilità del regime dei limiti alla pignorabilità dei crediti, essendo essi - per ragioni alimentari - pignorabili sino a quota pari alla metà, anche al fine di non privare del tutto dei mezzi di sostentamento l'obbligato (così Trib. Torino 16 giugno 1986, in Dir. fam. 1986, 1110).

Si deve da ultimo evidenziare come grazie ad alcuni importanti interventi della Corte costituzionale, gli esaminati istituti godano oggi di un maggiore ambito di applicabilità perché ammessi anche in sede di separazione consensuale (Corte cost. nn. 143/1983 e 51/1987, cit.) e anche a tutela dei crediti accertati dai provvedimenti diversi dalla sentenza, come le ordinanze presidenziali o del giudice istruttore, diventando in tal modo prerogativa anche dei provvedimenti anticipatori nelle more del giudizio sommario o di merito (per l'art. 156 c.c., Corte cost. nn. 278/1994 e 258/1994, cit.). Qualche dubbio, quanto a quest'ultimo aspetto, può residuare in relazione al processo divorzile, ma non pare ipotizzabile salvo investirne nuovamente la Corte costituzionali una diversità di trattamento di situazioni identiche (in tal senso Trib. Messina 24 aprile 1997, in Fam. dir., 1998, 265).

Infine, come per ogni misura nell'ambito del processo di famiglia, sia essa cognitiva come anche cautelare ed esecutiva, la conservazione dei suoi effetti si propone rebus sic stantibus, come esplicitamente evidenzia l'art. 156, 7° comma, c.c. Ne consegue, che é possibile revocare o modificare gli effetti delle misure in sede di modifica ex artt. 710 e art. 9, cit., se sono dettate dalla sentenza, oppure in sede di revoca e modifica della misura anticipatoria del presidente e del giudice istruttore negli altri casi. Ovviamente in sede ordinaria, per il caso del figlio natu nel contesto di una famiglia di fatto. Qualora la sentenza che conclude il giudizio di separazione e divorzio non contempli le misure, è inevitabile che la domanda dell'avente diritto debba essere formulata in sede di modifica e revisione delle disposizioni di separazione e divorzio, ai sensi ancora degli artt. 710 e 9 citt., trattandosi di integrare (e quindi modificare) i contenuti della sentenza finale. In tal caso è necessario agire con ricorso innanzi al collegio del tribunale, il quale pronuncia con rito camerale.

Non si deve dimenticare la speciale disciplina per gli ordini di protezione contro gli abusi familiari (artt. 342 -bis e ss. c.c. e in specie, art. 342-ter, 2' comma, c.c.), espressamente estesi al caso di convienza, ove ai provvedimenti di allontanamento può unirsi la determinazione di un assegno di mantenimento a favore delle persone conviventi che restano prive di mezzi adeguati, potendo il giudice disporre che la somma sia versata direttamente dal datore di lavoro dell'obbligato, prelevando una quota dello stipendio di quest'ultimo. Com'è noto la durata massima di tali ordini è di sei mesi, salvo proroga, poiché deve necessariamente essere riassorbita nei provvedimenti anticipatori presidenziali dettati in sede di separazione e divorzio. La disposizione, tuttavia, è la riprova di una certa assistematicità degli interventi nel tempo del legislatore, che anzichè dar luogo ad istituti unitari e di generale applicazione ha preferito una regolamentazione speciale, spesso con diversità di presupposti e di oggetto (nel caso in esame, infatti, l'assegnazione può riguardare solo i crediti nascenti dal rapporto di lavoro subordinato).

7. Le forme di tutela processuale dei diritti di mantenimento del figlio naturale

Senza volere procedere nell'analisi del tema problematico delle competenze, ovvero della sopravvivenza o meno del riparto di competenze, come tradizionalmente inteso, alla luce dell'art. 38 disp. att. c.c., la disamina poc'anzi proposta della estensione dei contenuti speciali di tutela alla famiglia di fatto e al diritto al mantenimento del figlio naturale quale suo effetto, lascia intatto il tema delle forme processuali in cui quelle tutele possono essere offerte.

La tesi della sopravvivenza della competenza del tribunale minorile e anzi della riunificazione della tutela dei profili personali con quelli patrimoniali innanzi alla speciale giurisdizione impone di confrontarci con la tutela camerale e quindi di ritenere che le speciali tutele debbano essere offerte con il decreto che conclude lo speciale rito, reclamabile innanzi alla corrispondente sezione della Corte di appello.

La tesi contraria conduce a risultati interpretativi più suggestivi. Quello di un'estensione, oltre alla competenza, delle forme processuali speciali degli artt. 706 e ss. c.p.c., con la necessità di una tutela anticipatoria resa dal presidente, cui può (eventualmente, v. art. 189 disp. att. c.c.) seguire una tutela di merito confermativa, oltre, per le sopravvenienze la speciale tutela camerale dell'art. 710 c.p.c.

E' altrettanto noto come la S.C. (sentenze nn. 8262/07 e 19406/07), nel confermare la sopravvivenza della competenza del giudice minorile, ha previsto la estensione del rito camerale e la speciale giurisdizione al caso di contestualità di domanda di affidamento e domanda di tutela del diritto al mantenimento, escludendo la seperazione dei giudizi ritenuta sotto il regime previgente (da estendere, è da intendere, anche al caso dell'assegnazione della casa coniugale, dopo Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166 e Corte cost. 21 ottobre 2005, n. 394) e quindi risolto radicalmente il problema.

La soluzione non pare certamente esaltante sul piano delle garanzie e particolarmente per quel carattere autosufficiente e autonoma del rito camerale che esclude l'uso di misure cautelari (in specie art. 700 c.p.c.) o di altri strumenti di tutela anticipatoria.

Al rito camerale saranno certamente estese le nuove regole processuali dettate, con formulazion iassai dubbie e incerte, dalla nuova legge n. 54.

Le regole sulla istruttoria, ove all'art. 155, ultimo comma c.c, si consentono accertamenti di polizia tributaria non solo sui redditi e beni dei coniugi, ma anche su beni o diritti intestati a soggetti diversi. Il legislatore introduce una regola ovvia e già praticata, ma induce, senza darne soluzioni, a difficili interpretazioni sistematiche sulla tutela di riservatezza del terzo indagato, limiti ben noti al legislatore codicistico originario, solo che si legga l'art. 118, 1° comma c.p.c. in materia di ispezione oppure l'art. 211 c.p.c. in materia di esibizione di documenti: in questo ultimo caso si consente al terzo anche la legittimazione ad intervenire in giudizio, al fine di ottenere la revoca dell'ordine di esibizione perchè lesivo dei propri diritti.

Ancora in materia istruttoria la previsione di una necessità di audizione del minore ai sensi dell'art. 155 sexies c.c., quando abbia compiuto 12 anni, ma anche in età inferiore, se capace di discernimento. La previsione appare incongruente con l'art. 4, 8° comma l. 898/70, laddove più prudentemente l'audizione dei minori è discrezionale e consentita solo se strettamente necessaria.

In relazione invece al regime da applicare alla responsabilità processuale per lite temeraria, la ardita disciplina dovuta all'art. 155 bis c.c., quando il genitore chieda l'affidamento esclusivo in deroga all'affidamento condiviso, poichè la manifesta infondatezza della domanda non dà solo origine, come nessuno avrebbe dubitato, all'applicazione dell'art. 96 c.p.c., ma il giudice "può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare", ovvero arriveremo all'assurdo che una responsabilità processuale per lite temeraria possa giungere ad incidere sul merito della controversia, in una materia così delicata come quella familiare.

Ancora, l'art. 155 ter c.c. stabilisce il principio di una rivedibilità illimitata dei provvedimenti di affido e di esercizio della potestà, ma questo principio è assolutamente pacifico, secondo peraltro quanto già potevasi desumere dalla regola sulla rivedibilità dei provvedimenti presidenziali in ogni tempo e anche in assenza di circostanze sopravvenute dovute alla legge divorzile (art. 709, 4° comma, cpc).

Minori problemi suscita, per quanto possa apparire nei primi commenti, invece l'art. 155 quinquies c.c., laddove sembra collocare nella titolarità del figlio maggiorenne il contributo di mantenimento, per le sue ricadute sulla legittimazione ad agire. Infatti se sarà il figlio maggiorenne titolare del diritto, dovrà il medesimo agire e non il genitore con cui convive. Ciò non toglie che il genitore con cui convive qualora intenda ottenere il riconoscimento della totale contribuzione per il mantenimento del figlio ai fini di un'attribuzione di una quota del medesimo all'altro coniuge, sarà certamente legittimato.

Entrambe le azioni è da ritenere dovranno avere svolgimento innanzi al tribunale dei minori e se esercitate singolarmente, non pare possa porsi un caso di litisconsorzio necessario, non essendo possibile intravedere un inscindibilità dei due diritti che possono sopravvivere autonomamente, potendo forse solo interferire sul piano della loro determinazione quantitativa.

7. I diritti personali connessi all'affidamento e alla potestà sul minore nella famiglia di fatto e i mezzi giurisdizionali speciali

Infine si deve dire, per l'estensione letterale dell'art. 4, 2° comma, della legge n. 54 del 2006, degli speciali istituti processuali connessi al nuovo istituto dell'affidamento condiviso.

In tale contesto è indubitabile la estensione alla tutela dell'affidamento del figlio nella famiglia di fatto dell'art. 709 ter che introduce un nuovo procedimento, secondo le forme ordinarie del vario contesto in cui può essere introdotto, che nel nostro caso sono quelle in camera di consiglio innanzi al tribunale dei minori, ai fini, come nella rubrica, di risolvere le controversie sull'esercizio della potestà genitoriale e sulle modalità di affidamento.

L'art. 709 ter c.p.c. non introduce un procedimento di cognizione determinativo della regola sulla potestà o sull'affidamento, che deve desumersi aliunde nel procedimento per separazione e divorzio, nel procedimento camerale sulle modifiche delle condizioni di separazione e divorzio (in relazione al quale è bene sottolineare si pone una deroga alla competenza essendo in tali controversie competente il tribunale del luogo di residenza del minore) oppure nei procedimenti camerali innanzi al tribunale minorile, bensì appare essere piuttosto la forma attraverso la quale si dà svolgimento all'esecuzione dei provvedimenti sulla potestà e sull'affidamento. Quindi interferisce con la fase esecutiva.

In buona sostanza con il procedimento ex art. 709 ter c.p.c. si regolano gli incidenti di esecuzione relegati nella legge divorzile (art. 6/10) alle determinazioni del giudice del merito, mediante forme esecutive in via breve e specifica al di fuori delle regole esecutive ordinarie, inapplicabili.

Ora tale regola è razionalizzata nell'art. 709 ter c.p.c. stabilendosi che il giudice del merito se sorgono difficoltà esecutive, convocate le parti dà i provvedimenti opportuni oppure in difetto di pendenza del giudizio di merito procederà nelle forme dell'art. 710 c.p.c. Ma nel nostro caso si tratterà sempre di un'azione introdotta con ricorso in camera di consiglio innanzi al tribunale dei minori.

A rafforzare l'effettività delle misure esecutive, il 2° comma dell'art. 709 ter c.p.c. prevede una serie di sanzioni alle gravi inadempienze o agli atti che arrechino pregiudizio al minore (la madre che impedisce al padre il diritto di visita; il padre che sottrae il figlio all'affidamento materno, uno dei coniugi che sottrae il figlio all'affidamento condiviso) prevedendosi una graduazione di sanzioni dall'ammonimento, al risarcimento del danno, anche a favore del minore, ad una sanzione amministrativa.

Si tratta si badi bene di vere e proprie sanzioni civili, volte ad introdurre mezzi di esecuzione indiretta e favorire perciò una spontanea ottemperanza alla misura giurisdizionale, che non possono inquadrarsi nel contesto di un illecito ove ha rilievo oltre alla condotta dannosa, la colpa e il dolo.

Ne discende che l'avente diritto non sarà onerato della prova dell'elemento soggettivo o dell'entità del danno, discendendo la sanzione dalla semplice inottemperanza al provedimento giudiziale.

Sul piano tecnico il risarcimento dei danni a favore del minore non avrebbe potuto essere dato in un giudizio in cui il minore non è presente come parte e non ha quindi formulato domanda. Anche questo sintomo depone favorevolmente all'inquadramento di sanzione civile sul modello della astreinte francese (pagamento di somme per ogni giorno di inadempimento) alternativo ad una tutela penale del provvedimento (come peralto adottata nell'art. 3 della legge 54/06 per la violazione degli obblighi di natura economica).