09/12/08 Appunti sul processo ordinario

L'ultima settimana di lezioni, dal 9/12 sino al 12/12, saranno dedicate alla trattazione del processo ordinario, comparando il rito ordinario con il rito del lavoro e societario, si pubblicano in anteprima gli appunti.

Il processo ordinario comparato nei diversi riti by Claudio Cecchella

Il processo ordinario comparato nei diversi riti

Il processo ordinario di cognizione.

1. Diversificazione dei riti.

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Ratio: la tutela giurisdizionale differenziata, il rito del lavoro introdotto con la legge 533/73.

Poi, diffusione dei riti speciali senza plausibile spiegazione, come nel caso del rito locativo dovuto alla legge n. 353/90 o il rito societario dovuto al d. lgs. n. 5/03 o il rito della separazione e del divorzio dovuto alla legge n. 80/2005 o infine il rito fallimentare dovuto ai dd. lgs. n. 5/06 e 169/07.

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2. Ambiti di applicabilità.

Rito ordinario o comune: in relazione ad ogni rapporto ove non è stabilito un rito speciale (disciplina di chiusura del sistema; ma anche disciplina a cui attingono i riti speciali in caso di mancata disciplina espressa).

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Rito del lavoro: art. 409 c.p.c.

- rapporti di impiego privato anche estranei all'impresa;

- rapporti agrari (generale attribuzione alla sezione specializzata agraria, dopo la legge 320/90)

- rapporti parasubordinati, con i requisiti del coordinamento, della professionalità e del carattere prevalentemente personale.

- rapporti di impiego con enti pubblici economici;

- rapporti di impiego con lo Stato, che non siano attribuiti ad altra giurisdizione (come i rapporti con i magistrati, i dirigenti del Ministero degli Interni, i professori universitari, i militari)

- controversie previdenziali e delle assicurazioni obb. art. 448

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Rito locatizio, modellato sul rito del lavoro, art. 447 - bis

- locazioni e comodati di immobili urbani;

- affitto di aziende.

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Rito societario, art. 1 d. lgs. n. 5/03

- controversie che hanno titolo in un rapporto sociale;

- controversie che hanno titolo nella compravendita di partecipazioni societarie;

- controversie che hanno titolo in rapporti parasociali;

- controversie che hanno titoli in negozi aventi ad oggetto valori mobiliari o di intermediazione mobiliare;

- controversie bancarie;

- controversie sulla proprietà industriale (marchi, privative, invenzioni, licenze) (d. lgs. 30/2005), dichiarata incostituzionale con sentenza del 2007.

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Rito della separazione e divorzio (artt. 706 ss.; art. 4 legge n. 898 del 1970), in relazione alle controversie sulla separazione personali o di scioglimento del matrimonio.

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Rito fallimentare camerale ibrido: accertamento presupposti fallibilità; crediti e diritti reali, impugnative atti organi giurisdizionali, omologa concordato.

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3. Il cambiamento di rito.

Sdrammatizzazione: esclusione del carattere di presupposto processuale, conversione mediante ordinanza.

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426 da rito ordinario a rito speciale: fissazione di un termine per la integrazione a pena di decadenza delle difese;

427 da rito speciale a rito ordinario: regolarizzazione fiscale e sopravvivenza degli atti che hanno identità di disciplina: il problema delle prove, alla luce dell'art. 421, 2° comma, c.p.c.

Artt. 1/6 e 16/6 d. dlgs n. 5/03

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Se è implicato anche un problema di competenza, l'ordinanza ha il valore di sentenza ed è impugnabile con regolamento. Altrimenti non è impugnabile e la questione può essere riesaminata in sede di decisione.

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La mancanza di un cambiamento di rito nel caso del rito camerale fallimentare, dove potrebbe ipotizzarsi una pronuncia di inammissibilità in caso di errore sul rito.

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4. Lo sviluppo generale del rito a cognizione piena. Elementi comuni.

- le fasi:

Fase introduttiva;

Fase di trattazione;

Eventuale fase istruttoria;

Fase di decisione.

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- la necessità che le domande sia formulate con gli atti introduttivi (comprese le chiamate di terzi che sono domande rivolte a terzi). Le altre difese sono soggette a diversa disciplina.

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- la possibilità di deroga alle preclusioni, nella fase di trattazione, per esigenze di contraddittorio, per ius poenitendi e per errore scusabile.

a) esigenza di contraddittorio: nuove difese nella pienezza, nuove domande, eccezioni e richieste di prova.

b) ius poenitendi: solo modifica, nel solco della difesa (emendatio e non mutatio) secondo la dizione normativa di modifica di domande, eccezioni e conclusioni. Ipotesi per la domanda: - riduzioni qualitative o quantitative del petitum; - allegazione di nuovi fatti quando non identificano il diritto (d. autoindividuati); allegazione di fatti secondari; per l'eccezione: - allegazione di fatti secondari; - riduzione della portata della eccezione.

c) errore scusabile (art. 184 bis c.pc.), quando la perde incorre nella decadenza involontariamente, ovvero per fatto dell'avversario o per forza maggiore.

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- la necessità di passare subito alla decisione sul fondamento di una questione pregiudiziale di rito (per le questioni di merito assorbenti, diversa disciplina dell'art. 420/4 c.p.c.).

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- provvedimenti anticipatori incidentali relativi alle somme non contestate o all'ingiunzione incidentale di pagamento o, infine, alla provvisionale (artt. 186 bis e ss.,278 e 423 cpc).

5. Possibili modelli:

a) rito privo di preclusioni: ammissibilità di difese sino all'udienza di precisazione delle conclusioni, salvo le domande. Il rito ordinario del codice, dopo la novella del 1950;

b) riti a preclusioni rigide o governato dal principio di eventualità. E' necessario dire tutto subito: le preclusioni maturano con gli atti introduttivi. Rito lavoro e locazioni;

c) riti a preclusioni progressive: le domande o le eccezioni riservate agli atti introduttivi; le prove nel termine fissato all'udienza di trattazione. Rito ordinario vigente;

d) riti misti, sia con preclusioni progressive e sia con preclusioni immediate. L'esperienza del rito societario: l'alternativa posta dalla istanza di fissazione di udienza che su iniziativa di parte fa scattare immediatamente le preclusioni (art. 10 d. lgs. 5/03), possibilità di instare per l'udienza sin dagli atti iniziali, art. 8. In difetto di istanza e nel progredire dello scambio delle memorie, maturarsi progressivo delle preclusioni, art. 6 d. lgs. 5/03.

Il rito ordinario

1. Il modello a fasi separate e necessariamente progressive.

Il rito ordinario si presenta come il rito generale, ovvero applicabile nelle materie nelle quali non è previsto un rito speciale o comunque applicabile in genere, come disciplina generale, quando non esiste una disciplina del rito speciale espressamente derogativa.

La riforma del 1990 (legge n. 353) e ancor più quella del 2005 (legge n. 80) ha radicalmente modificato il regime del codice del 1942, dovuto alla novella del 1950, ove - salvo la preclusione alla formulazione della domanda e coincidente con gli atti introduttivi - nessuna preclusione era fissata alle altre attività difensive, come la formulazione delle eccezioni e le deduzioni probatorie, con la conseguenza che - innanzi alla nuova eccezione o al nuovo mezzo probatorio deducibile sino alla udienza di precisazione delle conclusioni - il processo poteva in ogni momento regredire alla fase di trattazione, dalla fase istruttoria o decisoria a cui era stato condotto.

Il nuovo regime ha imposto al rito una cesura netta tra le fasi, decorsa l'una il processo deve necessariamente condurre all'altra, senza possibilità di regredire alla precedente.

Esiste una sola possibilità di regresso, che andrà approfondita - come eccezione al regime generale, dettata per esigenze di contraddittorio - costituito dall'eventuale iniziativa officiosa, nella rilevazione dell'eccezione o del mezzo probatorio, la quale non è soggetta a limiti preclusivi (espressamente l'art. 183, 4° e 8° comma c.p.c.) e quindi può concretizzarsi anche nelle fasi successive a quelle di trattazione e può perciò condurre ad una nuova fase di trattazione.

Lo stesso fenomeno deve ipotizzarsi pure per il caso della rilevazione di questioni d'ufficio diverse dalla quaestio facti, secondo quanto stabilisce l'art. 183, 4° comma c.p.c., che impone la fissazione di un termine per replica e deduzione delle parti: quindi il fenomeno può originarsi anche dalla individuazione di una quaestio iuris (ad esempio il rilievo di una norma imperativa che provoca la nullità del contratto).

La giurisprudenza, dettata sotto il rito della riforma degli anni 1990-1995, quando la trattazione si svolgeva in tre udienze (artt. 180, 183 e 184 cpc), proprio al fine di esaurire tutti i termini preclusivi fissati alle allegazioni e deduzioni delle parti tendeva, tuttavia, a dare svolgimento pedissequo alle udienze della fase di trattazione, con lo svolgimento anche di quattro udienze iniziali (in tale senso a titolo esemplificativo cfr. Trib., Modena 6 marzo 1996, in Giur. it., 1998, I, 2, 690; in senso contrario v. invece Pret. Torino 3 giugno 1996, in Giur. it., 1998, I, 2, 690), ancorché esistesse una questione preliminare di merito o una questione pregiudiziale di rito che ex art. 187 c.p.c. avrebbe reso opportuna una immediata rimessione alla fase della decisione. Al contrario una corretta applicazione di tale disposizioni avrebbe reso necessario il transito alla fase di decisione, anche eventualmente sin dalla udienza di prima comparizione (e l'ipotesi è regolata dall'art. 187, 4° comma c.p.c., ove nel caso in cui il giudice ritenendo successivamente infondata la questione preliminare deve nel rimettere alla fase di trattazione rifissare i termini di cui all'art. 184 c.p.c., qualora non fossero stati fissati dal giudice nella fase anteriore; invero si deve dire peraltro che l'art. 187 c.p.c. è richiamato per la prima volta soltanto nell'art. 184 c.p.c.; tutto ciò fa pensare ad un potere di rimettere in decisione solo a partire da tale udienza e non nelle udienze di trattazione precedenti). Anche questa ipotesi può essere all'origine di un regresso alla fase di trattazione.

La S.C. in proposito, in caso di contumacia della parte, aveva ritenuto necessario lo svolgimento della udienza di prima comparizione e di quella di prima trattazione, con fissazione del termine anteriore per la deduzione di eccezioni riservate, anche se l'attore chiedeva l'immediata fissazione di udienza di conclusioni (Cass. 24 maggio 2000, n. 6808, Corr. giur. 2000, fasc. 10, con nota di Consolo). Sul consenso di entrambe le parti la giurisprudenza ha tuttavia ritenuto possibile l'immediata fissazione del termine per le deduzioni istruttorie, con rinuncia alle fasi anteriori previste dal legislatore (Trib. Lecce 14 settembre 1996, in Giur. it., 1998, I, 2, 708). Infine una più recente pronuncia sempre della S.C. aveva ritenuto non ammissibile un differimento tout court della udienza ex art. 183 cpc all'udienza ex art. 184 cpc, senza richiesta espressa di concessione dei termini per lo scambio di memorie dettato dal 5° comma.

Perciò è intervenuta la riforma del 2005, riconducendo tutto ad un unica udienza di trattazione e comprimendo la progressività in una sola duplice fase e non più in una triplice fase: attività asservite da un lato e attività probatorie dall'altro.

2. Il modello a preclusioni progressive.

Oltre alla progressività necessaria delle fasi del processo a cognizione piena, il rito ordinario si caratterizza per la progressività delle preclusioni, che non maturano tutte contestualmente in relazione ad un certo atto o termine o udienza della fase di trattazione. Al contrario le preclusioni si perfezionano prima per le attività di individuazione del thema decidendum; solo successivamente maturano le preclusioni che sono dettate alle iniziativa volte ad individuare il thema probandum, distinguendosi l'attività di allegazione dei fatti dall'attività di deduzione dei mezzi probatori.

Le domande devono a pena di preclusione essere formulate con gli atti introduttivi: la citazione e la comparsa di costituzione e risposta (il principio si desume dall'art. 167, 2° e 3° comma c.p.c., che regola la posizione del convenuto, ma che simmetricamente deve ritenersi per parità di armi applicabile anche all'attore, come si è ritenuto nella interpretazione sistematica degli artt. 414 e 416 c.p.c. per il rito del lavoro). Per domande devono intendersi non soltanto quelle rivolte alle parti, ma anche ai terzi quando danno origine ad una chiamata in giudizio ex art. 106 c.p.c.

Le eccezioni riservate alla parte (quelle d'ufficio sono rilevabili in ogni momento), siano esse di merito che processuali sono deducibili a pena di decadenza anch'esse nell'atto introduttivo, ovvero nella comparsa del convenuto, art, 167, 2° comma cpc.

Le deduzioni istruttorie riservate alla parte (l'iniziativa probatoria d'ufficio non ha limiti temporali) si precludono qualora non vengano dedotte nel duplice termine che nella prima udienza di trattazione il giudice fissa ai sensi dell'art. 183, 6° comma c.p.c., su istanza di parte, dopo il termine per l'esercizio dello ius poenitendi.

Certamente non è accettabile, ed è per buona sorte lettura minoritaria (v. nel senso criticato, Trib. Roma 14 luglio 1997, in Giust. civ., 1998, I, 2957), l'indirizzo secondo il quale le deduzioni istruttorie di cui all'art. 183, 6° comma c.p.c. devono originarsi esclusivamente dalle novità discendenti dalle iniziative prese alla udienza del medesimo art. 183 c.p.c. (donde la necessità di una deduzione istruttoria sin dagli atti introduttivi a pena di decadenza). Nel senso maggioritario, tra le tante, v. Trib., Milano 3 febbraio 1999, in ß, 1999, 711 e tutta la dottrina).

La formazione progessiva del thema probandum (fermo restando la formazione ab initio del thema decidendum) è soluzione che ha dimostrato nonostante tutto un impatto positivo sul processo di rito ordinario e corrisponde alla caratteristica delle fattispecie in esso dedotte.

Si tratta, infatti, per effetto del principio di autonomia privata di fattispecie atipiche ove non è semplice non soltanto identificare i fatti rilevanti, ma anche collocarli tra quelli costitutivi del diritto o al contrario impeditivi del medesimo, gli uni che aprono l'onere probatorio di chi agisce e i secondi di chi resiste. Ne risulta una maggior difficoltà di allegazione e deduzione probatoria, il cui onere è attenuato dalla progressività del termine preclusivo e quindi dalla possibilità di beneficiare del contraddittorio svoltosi in occasione della allegazione dei fatti (poi, come vedremo, è regolato pure uno ius poenitendi che attenua il rigore della perentorietà del termine che grava la parte).

I riti speciali, in specie quello del lavoro e delle locazioni, ma anche quello societario, si vengono per lo più a calare in fattispecie tipiche, i cui elementi sono intesamente regolati dalla disposizione imperativa di legge, per cui il compito della parte è meno gravoso (essendo più facile cogliere i fatti rilevanti e la loro qualificazione) ed è giustificato un regime a preclusioni iniziali coincidenti con gli atti introduttivi per ogni difesa (per le controversie societarie questo regime, come vedremo, dipende dall'iniziativa delle parti).

Le difese mere (contestazioni sui fatti e gli effetti giuridici dedotti dall'avversario) non sono assoggettate a preclusioni, anche se l'art. 167, 1° comma c.p.c. impone alla parte di prendere posizione precisa sui fatti dedotti dall'altra. La difesa tardiva di una parte, in tal caso, può dare origine ad una riapertura dei termini ex art. 184-bis per l'altra, poiché l'eventuale preclusione maturata ha ragione di essere per la pacificità del fatto risultante dal comportamento dell'altra parte, che non ha provveduto alla contestazione.

3. Le deroghe per esigenze di contraddittorio.

La riforma del rito ordinario è pregievole anche per l'equilibrio delle soluzioni offerte alla necessità di riapertura dei termini in via di deroga in relazione ad esigenze postulate dal contraddittorio, dalla incolpevole inerzia della parte e infine dallo ius poenitendi. Si tratta ora di esaminare queste deroghe.

Anzitutto è opportuno ricordare come quando l'esigenza è postulata dal contraddittorio alla parte deve essere concessa la facoltà di integrare in modo del tutto innovativo (e non semplicemente modificativo) la controdifesa: alla domanda del convenuto, l'attore potrà replicare con una nuova domanda o con la formulazione di un'eccezione; alla eccezione del convenuto, ancora con una domanda e con una controeccezione. Ad una prova si potrà replicare con una controprova. Naturalmente si dovrà trattare di una difesa che si giustifica come conseguenza della difesa avversaria (ad esempio la domanda dovrà avere una comunanza almeno per titolo o per oggetto con la domanda dedotta ex adverso).

Questa eventualità è molto precisamente regolata nell'art. 183, 5° comma c.p.c., come reazione dell'attore alle difese del convenuto (anche se non espressa, deve essere concesso anche al convenuto di replicare alle novità introdotte dall'attore in esercizio del contraddittorio e ciò nel termine concessogli per memorie ex art. 183, 6° comma c.p.c.).

Questa è la prospettiva postulata dalla formulazione di domande ed eccezioni. Tuttavia, il problema si pone pure per l'iniziativa probatoria e ad esso risponde l'art. 183, 6° comma c.p.c., il quale fissa alle parti un duplice termine, il secondo dei quali, in replica alle deduzioni istruttorie dell'altra parte, si deve intendere nella pienezza delle facoltà di deduzione anche di nuove prove.

Se poi l'iniziativa è dell'ufficio, il termine dovrà essere concesso in ogni momento del processo, nella fase in cui l'iniziativa officiosa ha avuto espressione (art. 183, 7° comma c.p.c.). La disposizione contempla il solo caso dell'iniziativa probatoria del giudice, ma deve postularsi pure per il caso della rilevazione degli effetti giuridici di un fatto: la norma ricondotta al principi di cui all'art. 183, 4° comma c.p.c., ha quindi una portata più ampia. Anche in tal caso l'iniziativa della parte è pienamente innovativa.

5. Lo ius poenitendi.

Ancora con grande sensibilità alle esigenze, non soltanto del contraddittorio ma anche del diritto di difesa (che è concetto più lato del contraddittorio, poiché si esprime come diritto della parte anche non in replica alle iniziative dell'altra), il rito ha ritenuto di favorire nella progressività del maturarsi delle preclusioni inevitabili adattamenti delle difese della parte che non sempre sono indotti dalla necessità di replicare alle difese dell'altra.

Sono questi gli adattamenti consentiti dallo ius poenitendi, ovvero dalla facoltà delle parti di pentirsi rispetto alle deduzioni difensive precedentemente formulate.

A questo proposito è bene subito sottolineare che tale straordinaria facoltà non ammette la parte ad un'attività difensiva interamente innovativa, ma soltanto modificativa di una difesa che resta sostanzialmente nel solco della precedente.

L'ipotesi è codificata nell'art. 183, 5° e 6° comma c.p.c., ove è consentito (si badi bene nell'udienza di prima trattazione o nel termine per lo scambio di memorie in essa fissato) la modifica o precisazione di domande, eccezioni e conclusioni (ne consegue che tali attività emendative e di precisazione non sono consentite nelle fasi successive e certamente non lo sono in occasione della udienza di precisazione delle conclusioni). Il regime è sotto questo aspetto troppo severo poiché un'emendatio dovrebbe essere consentita sino alla udienza di precisazione delle conclusioni.

Lo stesso principio non pare codificato invece in relazione alle iniziative probatorie, ove manca un espresso ius poenitendi (il tutto sarà in tal caso assorbito dalla rimessione in termini per decadenze insolpevoli).

6. La rimessione in termini.

Infine la prospettiva delle deroghe alle preclusioni si chiude con le necessità imposte dalla decadenza incolpevole, ovvero dell'errore difensivo scusabile.

Il concetto noto nel diritto amministrativo, in relazione al processo impugnatorio del provvedimento, ha iniziato progressivamente a penetrare nel processo civile. L'art. 184 bis ne è una testimonianza.

Quando la parte è incorsa nella decadenza per fatto non imputabile, ovvero per fortuito o per fatto dell'avversario, deve essere rimessa in termini e ciò non solo in relazione (come nella originaria previsione) delle deduzioni istruttorie, ma per qualsiasi altra difesa.

Anche in tal caso la difesa può essere del tutto innovativa e non soltanto emendativa di una difesa già introdotta (con la stessa ampiezza delle difese consentite in esercizio del contraddittorio).

La disposizione invero, almeno per il caso della prova documentale, era già conosciuta nel n. 3 dell'art. 395 c.p.c.; oggi vale per qualsiasi difesa.

La fattispecie può essere originata dal fortuito per non conoscere l'esistenza del fatto da allegare o del mezzo di prova da indicare e di non averli potuto conoscere usando della normale diligenza. In proposito può essere decisivo il comportamento dell'altra parte che con azioni o omissioni cela la fonte di conoscenza alla parte (ad esempio solo a seguito di un giudizio di rendiconto è possibile conoscere, quando ormai i termini conclusivi sono maturati, il documento necessario).

Altro caso di rimessione, in ordine alle iniziative istruttorie, può discendere dalla contestazione tardiva dell'altra parte sulla esistenza del fatto rilevante.

Naturalmente sia la sopravvenienza del fatto storico come lo ius superveniens (da quale può desumersi una rilevanza di un elemento fattuale della fattispecie prima irrilevante), rendono necessaria la rimessione nei termini, non potendo la parte allegare e dedurre quanto non esiste al momento del maturarsi della preclusione (il momento ultimo per l'allegazione della sopravvenienza è l'udienza di precisazione delle conclusione che com'è noto fissa la preclusione del giudicato in ordine alla quaestio facti).

Non è necessario invece che la rimessione in termini discenda da una nullità di un atto processuale, come in vari luoghi regola il codice di rito, cfr. l'art. 650 e 668 c.p.c.; l'art. 294 c.p.c. Quest'ultima disposizione relativa al contumace può avere rilievo anche nella fase di trattazione. In tal caso è opportuno sottolineare al contumace è consentita una riapertura generalizzata (invece nella rimessione in esame la riapertura riguarda esclusivamente le difese a cui involontariamente la parte è decaduta). Dell'art. 294 c.p.c., tuttavia la disposizione in esame richiama le forme per il provvedimento di rimessione, rendendo necessaria un'istanza della parte.

Nella rimessione in termini in esame sono rilevanti i poteri di deduzione per così dire "interni" al processo, per lo più relativi a difese di merito; non hanno invece rilievo rispetto ai poteri esterni, come quello di impugnare (Cass., 23 ottobre 1998, n. 10537) o di proseguire o riassumere la causa o di instaurare un giudizio di opposizione (per il caso di opposizione a sanzione amministrativa, ancorché la sanzione non indichi il termine per la impugnazione, cfr. tra le ultime, Cass., 8 maggio 2000, n. 5778; Cass., 15 ottobre 1997, n. 10097, in Foro it., 1998, I, 2659, nt. Capponi; per il caso di opposizione a sentenza dichiaratrice di fallimento, Trib. Pistoia 31 luglio 1998, in Foro it., 1999, I, 2395; per il caso di opposizione a decreto ingiuntivo, Cass., 23 ottobre 1998, n. 10537, in Giust. civ., 1999, I, 727).

8. Il regime della rilevazione della preclusione.

Le disposizione indicano come perentori i termini di decadenza, in tal modo sancendo il rilievo officioso della preclusione, che il giudice deve dichiarare a prescindere dalla istanza dell'altra parte. In giurisprudenza, tra le tante Trib. Milano, 8 maggio 1997, in Giur. it., 1998, 2309.

3 Il rito dei processi familiari e fallimentari

3.1. Le ragioni del problema interpretativo.

Il legislatore della riforma generale del processo civile, con la legge n. 353 del 1990, non si è avveduto della necessità di coordinare il nuovo rito con procedimenti che seguono, in relazione alla fase a cognizione piena le regole generali, ma che si caratterizzano per una tecnica introduttiva che segue un regime speciale, per lo più caratterizzato dalla introduzione mediante ricorso e dallo svolgimento necessario di una fase sommaria di cognizione che precede quella a cognizione piena, senza che vi sia una soluzione di continuità tra il processo sommario necessario preliminare e il processo a cognizione piena successivo.

E' il caso, da un lato, dei procedimenti in materia di diritto di famiglia e particolarmente dei procedimenti per separazione e divorzio, ove ai sensi dell'art. 706 c.p.c. il processo si introduce mediante ricorso e necessariamente mediante una fase sommaria innanzi al presidente del tribunale, al fine di offrire ai coniugi con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti, cui segue senza soluzione di continuità la nomina del giudice istruttore e la fissazione di udienza innanzi a questi affinché il processo prosegua nelle forme della cognizione piena (art. 708, 3° comma c.p.c. e art. 4, 3° e 8° comma, legge n. 898 del 1970). La disciplina poc'anzi ricordata evidenzia una tecnica di introduzione del processo a cognizione piena assai diversa da quella usuale (citazione con l'immediato avviarsi di un procedimento a cognizione piena).

Lo stesso tema si profilava - essendo oggi con la riforma dovuta al d. lgs n.5/06 tutto il rito fallimentare di cognizione regolate da forme speciali per lo più camerali, ma ibride, che appaiono assai più simili ad un nuovo rito speciale - in relazione ai giudizi di cognizione soggetti allo speciale regime della legge fallimentare, come il giudizio di opposizione alla sentenza dichiaratrice di fallimento (art. 18 l. fall.) o allo stato passivo (art. 98 l. fall.), i giudizi relativi a domande tardive e l'impugnazione dei crediti ammessi (artt. 100 e 101 l.fall.), i giudizi di revocazione dei crediti ammessi (art. 102 l.fall.), i giudizi di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili (art. 130 l. fall.). Sino alla originale tecnica del giudizio di omologazione del concordato, ove la domanda introduttiva assumeva la forma del ricorso (art. 161 l. fall.), a cui seguiva una fase sommaria ai fini dell'ammissione alla procedura (art. 163 l. fall.) nella quale, con una tecnica molto simile al giudizio per separazione e divorzio, una volta raggiunta la maggioranza dei creditori, lo stesso giudice delegato fissava un'udienza innanzi a sé per lo svolgimento nelle forme della cognizione piena del giudizio di omologa (art. 180 l. fall.).

Il problema che si pone è quello di individuare, nello svolgimento della fase di trattazione, a quale udienza si deve fare riferimento nei procedimenti in esame, in relazione all'udienza di prima comparizione ex art. 183 c.p.c., con tutte le conseguenze poste dal maturarsi delle preclusioni già in vista di tale udienza e nel croso di essa: si tratta dell'udienza innanzi al presidente nei giudizi di separazione e divorzio? si tratta dell'udienza che segue il deposito del ricorso nei giudizi fallimentari? oppure l'udienza fissata dal giudice delegato a seguito dell'approvazione della proposta di concordato ai creditori o l'udienza fissata dal presidente in sede di separazione e divorzio?

Queste domande sono di estrema importanza poichè una risposta diversificata alle stesse provoca un differente regime anche dei riferimenti necessari al maturarsi delle preclusioni e decadenze tipici della fase di trattazione.

3.2. I procedimenti per separazione e divorzio.

In relazione ai procedimenti per separazione e divorzio si è manifestato un orientamento volto a inserire forzatamente la fase sommaria nella fase a cognizione piena e quindi a considerare coincidente l'atto introduttivo, in occasione del quale matura la preclusione in relazione alle domande, con il ricorso e con la memoria di costituzione del resistente nella fase sommaria e, quindi, in coerenza di considerare l'udienza presidenziale già come udienza ex art. 183 c.p.c., a cui segue innanzi al giudice istruttore una fase ormai coincidente con l'ulteriore trattazione, prima della novella del 2005. Tale orientamento è stato fatto proprio dalla giurisprudenza del tribunale di Milano (Trib. Milano 27 giugno 1997, in Diritto di famiglia delle persone, 1998, 1009).

Tale orientamento non è assolutamente da condividere, poichè, per un verso manca l'avvertimento di cui all'art. 163 c.p.c. al convenuto di costituirsi entro 20 giorni anteriori all'udienza presidenziale, potendo tra l'altro questa tenersi, come spesso accade nei tribunali minori, con una dilazione anche inferiore ai 20 giorni, e, per altro verso, la fase presidenziale si caratterizza per uno svolgimento estraneo alla cognizione piena essendo esso funzionale ai provvedimenti anticipatori sommari dettati per ragioni temporanee ed urgenti e di carattere anticipatorio.

E' proprio la specialità del regime introduttivo, con le particolarità poc'anzi evidenziate, a far ritenere errata la prospettiva milanese e preferibile una ricostruzione che identifichi l'udienza dell'art. 183 c.p.c. nell'udienza che si svolge innanzi al G.I. nominato al termine della fase presidenziale (è l'orientamento assolutamente prevalente, cfr. Cass. 7 febbraio 2000, n. 1332; Cass. 3 dicembre 1996, n. 10780, in Famiglia e diritto, 1997, 247). In tal modo le parti avranno agio, depositando memorie entro 20 giorni anteriori a tale udienza, di poter dedurre anche nuove domande e da quella udienza inizierà a maturare la sequela delle preclusioni secondo le regole generali.

Questa peraltro, dopo la legge n. 80 del 2005, è la soluzione adottata con la riscrittura dell'art. 709 c.p.c.: il presidente al termine della fase sommaria fissa alle parti un termine perentorio per il deposito di memorie integrative delle difese soggette a preclisione e innanzi al g.i. udienza ex artt. 183 c.p.c.

3.3 I procedimenti fallimentari.

In relazione ai procedimenti fallimentari permaneva la problematicità della introduzione per ricorso, senza avviso al convenuto di costituirsi entro termine perentorio a pena di decadenza dalle domande e particolarmente per il procedimento per la dichiarazione tardiva dei crediti, esiste la specialità di un'udienza nella quale deve essere preliminarmente verificato l'eventuale accordo ai fini di un'immediata ammissione con decreto oppure la necessità di proseguire nelle forme della cognizione piena.

Si è profilato un indirizzo volto a ritenere che l'udienza dell'art. 180/183 c.p.c. coincidesse con l'udienza fissata dal giudice mediante il decreto in calce al ricorso, salvo il caso della domanda di insinuazione tardiva dei crediti, nella quale per la specialità di tale udienza, si preferiva ritenere che l'udienza dell'art. 180 c.p.c. coincidesse con la successiva udienza fissata dal giudice istruttore in occasione della quale iniziavano a maturano le preclusioni.

Era preferibile, invece, seguire la prassi di numerosi tribunali secondo la quale l'udienza di comparizione delle parti fissata dal giudice delegato era mera udienza di comparizione personale del curatore, nella quale veniva poi stabilita l'udienza ex art. 180/183 c.p.c., rispetto alla quale decorrevano i termini di legge.

Tale carattere preliminare dell'udienza consentiva al curatore assai spesso di farsi autorizzare la costituzione in giudizio oppure di evitarla quando vi erano ragioni per preferire un accoglimento immediato della domanda o per una conciliazione, particolarmente nei giudizi di opposizione o di insinuazione tardiva dei crediti.

Il tema fa parte ormai della storia poiché oggi, dopo le riforme con i dd.lgs. nn. 5/06 e 169/07 il modello è tutto diverso, avendo il legislatore preferito l'adozione di un processo camerale ibrido, che del rito camerale ha poco più dell'etichetta, essendo in realtà un processo ordinario di rito speciale, tanto sono le peculiarito normative che depongono in tal sensi , cfr. gli artt. 15, 18, 26, 99 e ss. l. fall.

3.4. Il processo possessorio.

Problematica assai simile pone il processo possessorio, il quale richiama nella sua prima fase necessaria il regime del processo cautelare uniforme (art. 703, 2° e 3° comma c.p.c.) e perciò è introdotto con ricorso, cui segue all'esaurimento di una fase sommaria, il provvedimento interinale nel quale il giudice fissava, prima della novella del 2005, una successiva udienza innanzi a sé per la prosecuzione, nelle forme della cognizione piena.

Esclusa la fondatezza di quelle tesi estreme volte a negare un giudizio a cognizione piena sul possesso e secondo le quali l'iter procedimentale si esaurirebbe esclusivamente con la fase sommaria, era da ritenere che in realtà con il provvedimento interinale il giudice fissasse l'udienza per la prosecuzione nelle forme ordinarie e che questa udienza coincidesse con l'udienza ex art. 183 c.p.c. (Cass. S.U. 24 febbraio 1998, n. 1984, in Foro it. 1998, I, 1054), venti giorni prima della quale potevano essere proposte eccezioni riservate dalle parti e non domande riconvenzionali o domande nei confronti di terzi mediante chiamata le quali devono già essere formulate con gli atti introduttivi che preludono la fase sommaria (contra Pret. Bologna 9 aprile 1998, in Giur. it. 1998, I, 2, 2069; conf. Pret. Nola 17 luglio 1998, in Gius., 1999, I, 2, 132).

La diversa soluzione prospettata si giustificava per il fatto che non esisteva una domanda sommaria diversificata da una domanda di merito, poichè con il ricorso introduttivo si introduceva nella sostanza una domanda di merito e quindi con essa possono consumarsi - già negli atti che avviano la fase sommaria - i poteri relativi alla formulazione delle domande.

La novella del 2005 ha riscritto l'art. 703, 4° comma cpc, prevede la sola eventualità del giudizio di merito su istanza - in termine perentorio di sessanta giorni - di una delle parti. In difetto non vi sarà più merito possessorio (e quindi giudicato), tutto risolvendosi nella stabilità della sola tutela interinale sommaria.

Con la istanza di introduzione del merito il giudice fissa il termine per la integrazione delle attività assertive delle parti e l'udienza innanzi a sé ai sensi dell'art. 183 c.p.c, soluzione quest'ultima che si impone nonostante il silenzio della disposizione.

4. Il rito del lavoro.

4.1. Ambito di applicabilità.

A differenza del rito ordinario, di generale applicabilità in relazione alle materie non escluse e comunque mediante procedimenti di interpretazione analogica, il rito del lavoro ha un ambito di applicabilità fissato rigorosamente nell'art. 409 c.p.c. e nell'art. 447 bis c.p.c., coinvolgendo per lo più rapporti di lavoro in senso stretto (n. 1 dell'art. 409 cit., nell'ambito privato, anche se non inerenti l'esercizio dell'impresa e nn. 4 e 5 nell'ambito del diritto pubblico, sia in relazione ad enti pubblici economici, sia in relazione allo Stato e ad enti pubblici in senso stretto, quest'ultima materia particolarmente a seguito della legge n. 80 del 1998 che ha devoluto il pubblico impiego alla giurisdizione ordinaria del giudice del lavoro) oppure rapporti agrari assimilabili a quelli del lavoro (n. 2 dell'art. 409 c.p.c.) oggi tutti confluiti nell'affitto a coltivatore diretto, e con esclusione dell'affitto non a coltivatore diretto, a seguito della conversione ex lege dei patti agrari e devoluti, quanto alla competenza, per quanto stabilito dall'art. 9 legge n. 29 del 1990, alla competenza della sezione specializzata agraria) e ai rapporti di lavoro autonomo c.d. parasubordinati, caratterizzati oltre che dalla continuità del rapporto (da intendersi come non occasionalità) e dal suo coordinamento con le finalità dell'organizzazione dell'imprenditore, soprattutto dalla prevalente personalità della prestazione rispetto ad ogni altro possibile fattore della stessa (n. 3 dell'art. 409).

In relazione ad oscillazioni sul corretto inquadramento del rapporto che lega il socio d'opera con la cooperativa di produzione e lavoro circa il prevalere di un carattere subordinato del rapporto oppure di un carattere societario del medesimo, in quest'ultimo caso destinato ad escludere l'applicabilità del rito ordinario del lavoro, con la legge n. l. 452 del 2001 il legislatore ha definitivamente inquadrato il rapporto del socio lavoratore nel contesto dei rapporti certamente sussumibili nell'art. 409 n. 1 o n. 3 c.p.c.

Il rito è poi applicabile ai sensi dell'art. 447 bis, alle controversie in materia di locazione e di comodato (in entrambi i casi di immobili urbani) e quelle di affitto di aziende.

Non si deve poi dimenticare che il rito speciale è richiamato nei giudizii di opposizione a sanzione amministrativa, nei giudizi agrari e in alcune speciali azioni disciplinate dalla legge fallimentare, nelle controversie fallimentari che hanno titolo nel rapporto di lavoro o nelle procedure sulle grandi imprese in crisi e, quindi, ha vissuto una fase di particolare successo e diffusione come soluzione alle lentezze prima della riforma del 1990 del processo civile ordinario.

4.2 La concentrazione delle preclusioni

La caratteristica del rito speciale del lavoro è costituita dalla concentrazione delle preclusioni, le quali maturano tutte, sia per la domanda che per l'allegazione dei fatti costituenti eccezioni riservate sia, infine, per le deduzioni probatorie, al momento del compimento degli atti introduttivi.

Tale regime si giustifica per le peculiarità delle fattispecie dedotte e costituite per lo più da fatti la cui rilevanza è tipizzata dal legislatore, come anche in taluni casi la distribuzione dell'onere della prova nella allegazione e nell'accertamento dei fatti medesimi (si pensi alla disciplina in materia di licenziamento). Tale tipizzazione scaturisce da materie, come quella del lavoro e delle locazioni, che sono rette prevalentemente da norme imperative di legge con una forte contrazione degli spazi consentiti all'autonomia privata, conseguendone per lo più una tipizzazione della fattispecie negoziali rilevanti in giudizio che facilita il compito difensivo delle parti in ordine a domande eccezioni e deduzioni probatorie. Tutto ciò si esprime in una normativa con preclusioni concentrate negli atti introduttivi e nell'abbandono del modello di preclusioni a formazione successiva proprie del rito ordinario di cognizione.

Se questa è l'esigenza, tuttavia, la disciplina dovuta alla riforma del 1973 (legge n. 533) manifesta un livello di precisione tecnica assai inferiore rispetto alla riforma del 1990 relativa al rito ordinario. In primo luogo il sistema preclusioni immediate per ogni tipo di attività difensiva scaturisce dall'art. 416 c.p.c., che regola la memoria predisposta dal convenuto, mentre manca di ogni riferimento all'art. 414 c.p.c. che regola invece il ricorso introduttivo dell'attore. Il profilo è stato denunciato, per disparità di trattamento, al giudice costituzionale, il quale ha risolto il problema escludendo l'incostituzionalità e ritenendo interpretativamente che la norma debba applicarsi in simmetria con l'art. 416 c.p.c., ovvero il ricorso implicare le stesse decadenze fissate con il convenuto con la memoria di costituzione. Risulta pertanto che le stesse decadenze per domande eccezioni e prove subisce l'attore al momento in cui deposita il ricorso.

4.3 Le deroghe alle preclusioni.

La disciplina si presenta poi particolarmente carente, comparata con le regole del rito ordinario, per le eccezionali ipotesi in cui si impone una deroga alle preclusioni quando la decadenza non è colpevole, quando vi sono esigenze di ius poenitendi, quando si pone la necessità di contraddire alle iniziative dell'altra parte e del giudice.

La prima ipotesi non è neppure codificata e quindi non resta che prevedere un'applicazione analogica dell'art. 184 bis, da ritenersi perfettamente compatibile con le peculiarità del rito del lavoro.

Quanto alla seconda, sembra consentita solo quando ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice. Essa inoltre si sostanzia solo nella modifica di domande, eccezioni e conclusioni, ovvero soltanto come ius poenitendi (il legislatore sembrerebbe essersi dimenticato delle esigenze postulate dal contraddittorio). D'altra parte anche avere assoggettato lo ius poenitendi a "gravi motivi" di cui non è facile individuare i presupposti che il giudice deve valutare nella sua autorizzazione, lascia eccessivamente nelle mani dell'ufficio il potere di impedire quell'adattamento alle difese che il rito ordinario consente con una maggiore (e corretta) larghezza.

In relazione al contraddittorio, poi:

a) il problema si pone meno drammaticamente, poichè le iniziative volte ad incrementare oggettivamente o soggettivamente il giudizio (domande riconvenzionali e chiamate di terzi in causa) provocano necessariamente ai sensi dell'art. 418 c.p.c. e, secondo la pronuncia della Corte costituzionale n. 193 del 23 giugno 1983, dell'art. 419, relativo all'intervento volontario, un differimento dell'udienza di discussione. L'attore avrà così, in vista della nuova udienza differita, la possibilità, mediante memoria da depositarsi entro dieci giorni anteriori, di poter replicare e contraddire alle domande e chiamate del convenuto.

b) Ulteriore ipotesi disciplinata si rinviene nel 5° e 7° comma dell'art. 420 c.p.c., ove si ipotizza che in udienza di discussione si deducano nuove prove "che le parti non abbiano potuto proporre prima". Si tratta delle prove indotte per l'attore dalle novità consentite al convenuto con la sua memoria, per il convenuto dall'attore con la memoria depositata anteriormente alla udienza differita per riconvenzionale o chiamata del terzo e per entrambi dalle nuove deduzioni in fatto indotte in udienza di discussione per uno svolgimento corretto del contraddittorio. In tutti questi casi il giudice deve fissare alla parte che può contraddire un termine a difesa rinviando l'udienza e la replica ha svolgimento mediante il deposito di memoria anteriore alla udienza. La norma è stata ritenuta applicabile anche nel caso di decadenza incolpevole (Cass., 5 settembre 1995, n. 4638) o nel caso di contestazione tardiva (Cass. 11 febbraio 1995, n. 1509, in Giur. it., 1996, i, 1, 132).

c) Resta, invece, la necessità di adattare la normativa, con una forzatura assolutamente inevitabile, alla esigenza di consentire la introduzione di nuove domande o eccezioni dell'attore in relazione alle eccezioni del convenuto in memoria o del convenuto in relazione alle domande o eccezioni dell'attore nella memoria depositata anteriormente alla udienza differita e ciò senza necessità di autorizzazione del giudice, trattandosi di un diritto costituzionalmente consacrato.

d) Poi esiste il problema del contraddittorio necessitato dalle iniziative del giudice, mancando una disposizione perentoria e chiara come quella contenuta nell'art. 183, 7° comma c.p.c. Ciò particolarmente in un contesto ove sono più accentuate, almeno a livello di previsione generale contenuta nell'art. 421, 2° comma c.p.c. le iniziative dell'ufficio, particolarmente in relazione alle prove.

Qui la imperfezione tecnica impera, poiché il comma da ultimo citato richiama il comma sesto dell'art. 420 c.p.c., quando invece doveva essere richiamato il comma settimo, che consente innanzi alle nuove iniziative istruttorie della parte in prima udienza (per le prove non potute proporre prima) la concessione di un termine per controdedurre in replica. Questa fissazione di un termine per replica con facoltà di controdedurre costituisce la via corretta sul piano normativo per garantire il contraddittorio verso le in iziative officiose. All'interprete non resta che una forzatura al dettato della legge.

4.4 Le prove precostituite.

Si è profilato in giurisprudenza un orientamento molto discutibile e caratteristico del rito del lavoro. Quello della insussistenza di un limite preclusivo alle prove precostituite come quelle documentali, le quali, non avendo l'effetto di far differire il processo e quindi rallentarlo (perché precostituite) non sarebbero soggette a preclusioni (Cass. 30 maggio 1989, n. 2619; Cass. 16 dicembre 1988, n. 6867).

Trattasi di una interpretazione abrogatrice della norma assolutamente inaccettabile e che rischia di contaminare anche il rito ordinario (vi sono alcune pronunce in tal senso).

La concentrazione della trattazione e l'assoggettamento a preclusione delle attività difensive si giustifica per un razionale e logico svolgimento del processo e attiene ad esigenze pubblicistiche cui non è possibile prestare deroga.

La corte di cassazione, con alcune pronunce dell'aprile 2005 ha invertito la rotta sottoponendo al regime della indispensabilità anche la prova documentale.

4.5 Rilevabilità delle eccezioni di tardiva deduzione del mezzo difensivo.

Anche il mancato rispetto dei termini decadenziali fissati alle attività difensive nel rito del lavoro è rilevabile d'ufficio (tra le tante e da ultimo, Cass. 7 marzo 1986, n. 1545).

5. Il rito societario.-

5.1. Premessa.

Con il dlgs n. 5 del 2003, in parallelo alla generale riforma delle società dovuto al dlgs n. 6 del 2003, il legislatore offre uno speciale rito alle controversie societarie ed assimilate.

La scelta può apparire un nuovo episodio di involuzione del sistema di tutela giurisdizionale civile, nella sua recente dinamica storica verso la prolificazione dei riti, ordinari e sommari, ma, si deve dire in questo caso, il nuovo rito doveva costituire la palestra degna dei più ampi scenari cui doveva condurre, per quanto è dato conoscere dopo i lavori della c.d. Commissione Vaccarella di riforma, l’intero processo civile, auspicabilmente nella prospettiva di un unico rito a cognizione piena che soppiantasse la pluralità esistente.

Con il nuovo rito ordinario, e nella stessa prospettiva di un’espansione in tutte le materie, si segnala il rito sommario anticipatorio autonomo introdotto con l’art. 19 e la nuova disciplina del rito cautelare, con gli articoli 23 e 24 del dlgs.

Al contrario la riforma degli anni 2005 e 2006, con il ritorno ad una forma più simile a quella del rito ordinario delle riforme degli anni 1990/1995, ha interrotto questo disegno e relegato il rito societario ad una forma del tutto avulsa dalle peculiarità della materia. Mentre ha avuto modo di espandersi la soluzione adottata per il rito cautelare, con la minore strumentalità dei provvedimenti anticipatori.

5.2 L’ambito di applicazione del nuovo rito.

L’art. 1 del dlgs. definisce l’ambito di applicazione del nuovo rito ordinario (ma anche, salvo deroghe espresse, dei nuovi riti sommari), con una soluzione che non contempla le sole controversie delle società commerciali in senso stretto, ovvero che hanno come titolo il contratto sociale, siano esse destinate ad accertarlo (anche il rapporto di società di fatto) oppure a risolverlo oppure, ancora, ad attuarlo, nelle azioni di impugnativa degli atti sociali o di responsabilità degli organi sociali (lett. a).

Infatti rientrano nelle controversie assoggettate al nuovo rito anche quelle che hanno come titolo l’atto di cessione o qualunque atto dispositivo concernente le partecipazioni sociali (lett. b). Si tratta di controversie che hanno per lo più come titolo una compravendita e non un contratto sociale.

Vi rientrano pure le controversie che non hanno titolo nel contratto sociale in senso stretto, come quelle che muovono dai patti parasociali, intesi in senso estensivo e quindi non soltanto quelli che sono destinati ad influenzare il diritto di voto oppure a porre limiti alla cessione delle partecipazioni sociali o che pongono un’influenza dominante sulla società, destinati ex artt. 2341 – bis c.c. ad un regime speciale.

Si può generalmente ritenere che il nuovo rito sia applicabile alle controversia che hanno titolo nel contratto sociale e nei contratti affini, quali i contratti parasociali e i contratti di cessione delle partecipazioni sociali.

Tuttavia il legislatore va oltre, ed assimila, agli effetti della applicazione del nuovo rito, alle controversie sociali pure le controversie che hanno titolo in negoziazioni di intermediazione mobiliare, ove la raccolta del capitale sociale di rischio può essere una delle ipotesi, ma per lo più la casistica esula dall’ambito sociale in senso stretto (lett. d) per penetrare in quello finanziario in senso lato; tanto che, in un ulteriore estensione, sono ricomprese le controversie tra banche o tra banca e associazioni dei consumatori (lett. e e f).

(b) Le questioni di rito. Con una soluzione già adottata in relazione alle controversie di lavoro, le questioni relative al rito applicabile non vengono decise con sentenza, ma rilevate d’ufficio con ordinanza che muta il rito. Risulta, con uno strumento duttile, che aveva dato buona prova di sé negli artt. 426 e 427 c.p.c., scongiurato il rischio di impugnative e dei conseguenti ritardi del processo impegnato sulle questioni di rito.

Tuttavia la profonda diversità della trattazione del rito delle controversie sociali, che si conduce attraverso attività delle sole parti private cui resta estraneo il giudice, impone che il processo si liberi dal “governo” del giudice e perciò viene cancellato dal ruolo, riprendendo le mosse, una volta che è disciplinato dalle nuove regole, dalla fase successiva allo scambio mediante notifica di citazione e comparsa di costituzione (art. 1, 5° comma). La disposizione deve tuttavia essere correttamente interpretata, trattandosi non di una cancellazione dal ruolo che rende necessaria una riassunzione del giudizio, ma di una cancellazione del ruolo del giudice (il processo resta iscritto nel ruolo generale delle cause civili e non è necessaria una nuova iscrizione).

I profili del rito possono sorgere anche nella direzione inversa, quando in sede di udienza di discussione innanzi al collegio la causa incontra per la prima volta il giudice con poteri pienamente decisori e anche in tal caso il rito si converte con ordinanza, limitandosi il collegio a designare il giudice istruttore e l’udienza, salvo che oltre ad una questione di rito si ponga una questione di competenza, poiché in tal caso risulta inevitabile, sempre con ordinanza, la rimessione al giudice competente, previa riassunzione di una delle parti (art. 16, 6° comma).

E’ il caso di evidenziare che quando per connessione tra cause destinate a riti diversi l’ordinamento favorisce il simultaneus processus (artt. 31 e ss. c.p.c.), prevale sempre il rito delle società, a cui conseguentemente si piegano sia quello ordinario sia quello speciale c.d. del lavoro (art. 1, 1° comma).

5.4. La trattazione “privata”. Secondo un modello affatto originale, perché proprio dell’esperienza anglosassone, ma costituente certamente una novità nell’europa continentale, la peculiarità più evidente della nuova trattazione è la estraneità in essa del giudice.

La rigidità dell’originario modello di trattazione, nel susseguirsi meccanico di udienze di prima comparizione, prima trattazione, seconda trattazione e così via (artt. 180, 183 e 184 c.p.c.), in coincidenza delle quali e nei termini in esse fissati maturano progressivamente le preclusioni alle attività difensive delle parti, dalle domande, alle allegazioni e infine ai mezzi istruttori, non ha dato prova positiva di sé soprattutto a causa della incapacità del giudice di dominare la causa, non conoscendone i contenuti in vista della udienza di prima trattazione e non avendo perciò gli strumenti per guidarne effettivamente gli sviluppi, anche anticipati, verso un immediata decisione sul fondamento di questioni pregiudiziali o preliminari (art. 187 c.p.c., possibile solo come già veduto nell'udienza dell'art. 184 c.p.c. per richiamo espresso). Nel suo concreto svolgimento il giudice conosce della causa solo al suo termine, al momento della decisione, salvo che debba preliminarmente valutare l’ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova richiesti dalle parti, quando vi è opposizione, e, pertanto, nell’esperienza concreta, ispirata ad un malcostume anche della classe forense, la causa si trascina stancamente, anche per alcuni anni, nella successione meccanica delle udienze di trattazione.

Se questa è la realtà, il legislatore processuale ne deve prendere atto e pertanto assegnare al giudice le attività del processo coincidenti con il momento della decisione, quando ormai il thema decidendum e probandum è ormai tutto rovesciato sul suo tavolo, dovendo la fase di trattazione preliminare al formarsi di tale materiale essere interamente dominata dalle parti e dal loro dibattito, mediante scambio di atti e memorie, a cui il giudice resta estraneo.

Nello stesso tempo il processo conquista un’economia non indifferente di attività dell’organo giudicante, il quale non è più assorbito quotidianamente in udienze di mero rinvio o nelle quali vengono solo dispensati termini al maturarsi delle decadenze, dovendo il giudice essere invitato ad intervenire soltanto nella attività di cognizione in senso stretto ovvero di decisione o istruttoria, nella prospettiva di un miglioramento quantitativo e qualitativo della sua produzione.

Perciò il rito si dipana attraverso una trattazione “privata” e soltanto quando, per iniziativa della parte che dovrebbe replicare, se per la compiutezza del materiale decisorio e istruttorio non è più necessario contraddire, è richiesta la fissazione della udienza di discussione, la causa entra in contatto con il giudice per la prima volta, solo per essere decisa.

5.5 Il contraddittorio mediante scambio di atti e il diritto di instare per la fissazione della udienza.

Gli artt. 2 a 7 regolano la trattazione privata preliminare, sancendo la notifica di citazione e di comparsa di risposta (artt. 2 e 4), della memoria di replica dell’attore (art. 6) e delle repliche ulteriori (art. 7), in termini fissati dalle parti o in difetto dalla legge, e si svolge esclusivamente mediante scambio di attività delle parti, uniche protagoniste della fase iniziale.

Naturalmente tali atti non sono infiniti e lo scambio è consentito sino a ottanta giorni dallo scambio della memoria di replica del convenuto ex art, 7, 3° comma cpc, termine che consente entro i successivi venti giorni il deposito della istanza di fissazione di udienza, in mancanza della quale il processo si estingue.

Lo scambio di atti, è bene sottolineare, non avviene soltanto con le formalità degli artt. 137 ss. c.p.c. (notifica), ma in alternativa è ammesso lo scambio per fax oppure per posta elettronica (tanto che negli atti iniziali le parti devono indicare i loro rispettivi indirizzi, artt. 2 e 4), oppure lo scambio diretto con sottoscrizione per ricevuta dell’originale (art. 17). In sostanza i difensori tecnici opereranno sempre di più dalle loro sedi, con l’uso dei sistemi elettronici, entrando il meno possibile in contatto con gli uffici pubblici. Quanto alla comunicazione per fax sarà necessario comunque l'uso dell'ufficiale giudiziario che attribuisca certezza all'operazione e la notifica per posta elettronica necessita del rispetto delle regole per la trasmissione di atti per via elettronica e particolarmente della firma digitale.

La stessa costituzione in giudizio delle parti non è funzionale, com’è oggi, a creare i presupposti del contatto con l’organo giudicante, bensì ha lo scopo di consentire l’esame delle produzioni nell’esercizio pieno dei diritti di difesa e di contraddire, detto contatto è soppiantato dal diverso istituto dell’istanza per la fissazione della udienza (artt. 3 e 5). Ne consegue che il fascicolo d’ufficio viene formato dal cancelliere solo a seguito di detta istanza, dopo il suo deposito a seguito di notifica alle altre parti (art. 12, 1°comma).

Lo scambio degli atti tra le parti, poi, forma progressivamente i temi della decisione del giudice sull’oggetto della causa, sui fatti che vi rilevano e sulle prove da assumere, ma – differentemente dall’attuale modello di formazione progressiva della fattispecie della quale dovrà conoscere il giudice –la parte non potrà mai adagiarsi sul maturarsi solo progressivo delle preclusioni e quindi sarà indotta a dire tutto e subito.

L’altra parte potrebbe infatti rinunciare ai suoi diritti di replica e chiedere subito la fissazione dell’udienza, facendo scattare le preclusioni che da tale iniziativa discendono (dopo detta istanza le parti possono solo precisare conclusioni di merito e istruttorie, ma non introdurne di nuove né modificarle, cfr. gli artt. 9, 1° comma e 10, 1° comma).

Ne consegue che nessuna parte può riservare al prosieguo alcuna attività difensiva e nel compiere l’atto deve esaurire gli oneri di allegazione e di prova che incombono alla sua posizione di attore o di convenuto, non potendo per l’iniziativa dell’altra, che rinuncia ai diritti di replica e chiede subito la fissazione della udienza, più rimediare alle lacune di una difesa deficitaria (anzi è da pensare che il processo si consumi attraverso un’ abile partita a scacchi, ove la parte più avveduta può inchiodare l’altra alle sue omissioni).

L’istanza di fissazione di udienza, che chiude la prima fase c.d. preparatoria del giudizio, può essere infatti formulata dall’attore dopo la comparsa di costituzione del convenuto se non intende replicare ad essa o addirittura dal convenuto dopo la citazione, se non intende replicare a tale atto e l’alternativa è concessa alle parti ogni qual volta esse non intendano replicare alle difese dell’altra anche nel corso dello scambio delle memorie successive (art. 8, 2°e 3°comma).

Pertanto, se si volesse razionalizzare questa delicata partita dove si consuma la tutela giurisdizionale dei diritti, ogni qualvolta la parte intenda svolgere una mera difesa, ovvero contestare i fatti o gli effetti giuridici dedotti dall’altra, avrà agio di richiedere immediatamente la fissazione dell’udienza; diversamente qualora in replica deve formulare una domanda o modificare le conclusioni della domanda già formulata o allegare nuovi fatti o infine dedurre nuovi mezzi di prova deve esercitare con pienezza il suo diritto di replica e quindi innescare il meccanismo, dopo lo scambio dell’atto, del nuovo termine di replica a favore dell’altra.

5.6 Le preclusioni.

Il sistema di preclusioni non è più governato dal criterio di progressività che ispira l’attuale regime (in funzione delle diverse attività assertive della parte) e dalla fissità dei termini dettati dalla legge o dal giudice, esso è assoggettato a un regime misto abbandonato all’iniziativa dell’altra parte e quindi destinato a mutare in relazione all’atteggiamento di quest’ultima: dall’ipotesi estrema in cui la parte rinunci ab initio ai suoi diritti di replica e inchiodi subito l’altra alle preclusioni, all’ipotesi più liberale in cui tutti intendano dare pieno svolgimento allo scambio di citazione e comparsa, memoria di replica dell’attore e memoria di replica del convenuto, sino alle successive ed ultimative memorie di cui all’art. 7.

La soluzione appare a prima vista affascinante e destinata ad esaltare le doti dei difensori più abili e preparati, ma lascia perplessi sul piano della opportunità, calata nelle singole fattispecie che si possano presentare al giudice civile.

Infatti la possibilità che, per l’iniziativa dell’altra parte, la preclusione maturi nella sua interezza e per tutte le possibili difese (domande, allegazioni e prove) con l’atto introduttivo, rischia di soffocare in modo eccessivo la difesa in relazione a fattispecie governate dal principio di atipicità, quali sono quelle destinate al rito in esame (a differenza dei riti speciali del lavoro e delle locazioni, rivolte a contratti fortemente tipizzati). Si pensi ad esempio alle controversie sui patti parasociali o sui negozi di intermediazione mobiliare, per le quali quindi la dinamica di un dibattito con una progressività di maturarsi delle preclusioni, come nel regime attualmente vigente, pare più idoneo. Si tratta ovviamente di una considerazione di mera opportunità sulla soluzione adottata.

Senza, poi, dimenticare il compito spesso ingrato del difensore nell’istruire l’impostazione della causa innanzi alle reticenze del cliente o all’ignoranza anche inconsapevole di quest’ultimo. Non pare all’uopo sufficiente la remissione in termini di cui all’art. 13, 5° comma, in occasione della udienza di discussione, che presuppone una “irregolarità” del procedimento (tutto essendo abbandonato alla rimessione in termine per errore scusabile di cui all’art. 184 bis c.p.c., applicabile per il generale richiamo al codice di rito, contenuto nell’art. 1, 4° comma).

Il risutato di tale disciplina è dato dall’assoggettamento anche del rito ordinario, dal lato dell’attore, al rischio di una preclusione che matura dall’atto introduttivo, poiché un’eventuale lacuna difensiva potrebbe ispirare il convenuto nel richiedere subito la fissazione della udienza (e specularnente lo stesso deve dirsi quando il convenuto, con una domanda riconvenzionale, assume il ruolo anche dell’attore)

Si deve anche dire che la preclusione, nella sua efficacia totalizzante, consegue certamente dall’iniziativa e volontà dell’altra parte di non replicare e di chiedere la fissazione della udienza di discussione, ma può maturare anche prima, pure nel caso in cui il dibattito preparatorio si svolga con lo scambio completo di atti, sino a quelli regolati nell’art. 7.

Infatti il convenuto potrà formulare domande (anche verso terzi), allegare fatti costituenti eccezione e dedurre prove solo in comparsa (art.4, 1° comma c.p.c.), potendo nella successiva memoria di replica alla replica dell’attore (art. 7) dedurre solo nuovi mezzi di prova, mentre nuove domande o allegazioni di fatti potranno aversi solo in stretto esercizio del diritto di contraddire alle difese dell’attore in replica alla comparsa (art. 6).

A sua volta l’attore potrà formulare liberamente domande, allegare fatti e dedurre mezzi di prova solo in citazione; dopo la comparsa del convenuto, in sede di replica con memoria (art. 7), potrà soltanto esercitare un limitato ius poenitendi modificatorio delle conclusioni già assunte (in termini di stretta e limitata emendatio libelli) e formulare nuove domande o eccezioni soltanto in sede di stretto esercizio del diritto di contraddire alle difese del convenuto. In tale sede potrà solo svolgere senza limite iniziative probatorie.

Con le memorie successive (art. 7) attore e convenuto possono solo dare svolgimento ad allegazioni che già hanno avuto modo di svolgersi negli atti precedenti, ovvero non possono aversi novità, essendo il thema decidendum ormai definitivamente fissato. Possono in difetto di diversa previsione negli articoli in commento solo dedurre nuovi mezzi di prova o produrre nuovi documenti.

Ovviamente dopo la notifica dell’istanza di fissazione della udienza le parti possono solo confermare domande, allegazioni e mezzi di prova già dedotti nella fase preparatoria.

Restano esclusi al rilevato regime di preclusione i mezzi che sono nel potere di rilievo officioso, sia quanto alla rilevazione di fatti, sia quanto alla individuazione dei mezzi istruttori e ciò rende necessario ammettere una rimessione in termini delle parti in esercizio del diritto di contraddire (art. 10, 2° comma; l’eventualità avrebbe potuto essere espressamente contemplata dalla norma). Questa soluzione attenua in modo significativo il sistema di preclusioni delineato dal nuovo rito, poiché com’è noto la maggior parte delle eccezioni solo rilevabili d’ufficio e i poteri istruttori del giudice sono stati ampliati (penso alla prova testimoniale) anche se nel rito monocratico.

La tardività del mezzo difensivo (in senso lato e quindi anche per il caso della formulazione di nuove domande) è vizio deducibile dalla parte nella prima difesa ed è quindi nella piena disposizione delle parti (art. 10, 2° comma). Si tratta di una differenza di non poco conto rispetto al regime vigente.

5.7 Gli incidenti sulle questioni di rito o preliminari di merito. La lacuna in relazione ai provvedimenti anticipatori.

E’ possibile che la causa giunga al giudice anche per un incidente di cognizione, su iniziativa di una delle parti o su iniziativa congiunta di entrambe.

Nel primo caso (iniziativa unilaterale) quando si discuta dell’ammissibilità dell’intervento di un terzo (art. 14, 3° comma), è possibile con istanza di fissazione di udienza che sia stimolata un’immediata decisione del giudice, con ordinanza reclamabile nelle forme del reclamo cautelare (in ultima analisi, per il suo carattere decisorio, con ricorso per legittimità innanzi alla Corte di Cassazione).

Nel secondo caso (istanza congiunta) le parti, senza che il giudice possa impedirlo (oggi invece la questione pregiudiziale e preliminare conduce ad una decisione immediata solo se rilevata dal giudice e a sua discrezione, art. 187, 2° e 3° comma c.p.c.), possono devolvere all’immediato giudizio una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito e tra le prime anche le questioni sull’ammissibilità dell’intervento di terzi o sull’ammissibilità dei mezzi di prova.

Il tribunale decide con sentenza se conclude il processo o con ordinanza se dispone la sua prosecuzione (in tal caso l’ordinanza sulla questione di competenza è impugnabile con il regolamento).

Se decide con ordinanza, riprendono i termini per lo scambio degli atti che contraddistingono la fase preparatoria (art. 11, 3° comma).

Con una certa sorpresa il contatto con il giudice, prima dell’esaurimento della fase di trattazione, era limitato solo a queste ipotesi, per cui è da domandarsi lite pendente come sia possibile ottenere una pronuncia anticipatoria (artt. 186 bis e ss. c.p.c.). Si deve infatti tenere conto che fuori dei casi previsti l’istanza per la fissazione della udienza è inammissibile (art. 8, 5° comma).

Peraltro la lacuna era sorprendente vista la sensibilità del legislatore nella introduzione di un nuovo mezzo sommario anticipatorio autonomo (art. 19) che certamente non potrà diminuire l’ambito di esperibilità della tutela anticipatoria non cautelare in corso di causa.

Alla lacuna sembrava possibile dare risposta con l’applicazione delle regole ordinarie, la parte interessata depositerà un ricorso a cui seguirà la fissazione di udienza per la discussione sulla misura richiesta, previa instaurazione del contraddittorio con tutte le parti costituite.

Oggi questa soluzione interpretativa è fatta propria dalla legge, grazie ad interventi successivi:

con novella del 2004, su istanza di parte il giudice può pronunciare i provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 cpc;

dopo la novella 80 del 2006, negli artt. 186 bis e ss. è ammessa anche un'istanza fuori udienza che impone al giudice di fissare l'udienza per la trattazione della misura anticipatoria.

5.8 La contumacia.

Alcuni istituti vengono regolati in modo originale e assai difforme dal regime corrente.

In primo luogo la contumacia del convenuto, se questi non notifica nei termini la comparsa, l’attore può chiedere (in alternativa alla notifica di un ulteriore memoria) la immediata fissazione dell’udienza “in quest’ultimo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto si sia tardivamente costituito, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa” (salva la possibilità, nel caso di persistente dubbio del tribunale, del differimento del giuramento suppletorio), art. 13.

La regola è veramente forte, poiché la ficta confessio persiste anche nel caso di tardiva costituzione del convenuto, il quale contesti la verità dei fatti allegati dall’attore. Non vi è dubbio che il regime attuale della contumacia sia carente, ma che si possa privare di effetti la mera contestazione (sempre possibile) del convenuto costituitosi tardivamente è regola che non condividiamo, ovviamente sul piano della opportunità (il risultato è che le mere difese sono anch’esse soggette a preclusione con il primo atto difensivo, non avendo rilievo quelle dedotte in sede di costituzione tardiva).

La disposizione, per eccesso di delega, è stata dichiarata incostituzionale da una recentissima sentenza della Corte cost.

5.9. L’intervento dei terzi.

L'incongruenza di un intervento volontario consentito nel rito ordinario sino alla udienza di precisazione delle conclusione con la soggezione dell'interveniente alle preclusioni già maturate dalle parti (art. 268 c.p.c.), in modo indistinto per l'intervento innovativo rispetto all'intervento adesivo, è risolto dalla disciplina societaria.

Articolata e originale è perciò la disciplina dell’intervento volontario dei terzi, collocata (finalmente) sulla distinzione tra intervento innovativo (art. 105, 1° comma c.p.c.) e non (l’intervento adesivo dipendente di cui all’art. 105, 2°comma, c.p.c.).

Nel primo caso (art. 14), salvo che l’intervento avvenga per integrazione del contraddittorio oppure per chiamata originata da un’iniziativa officiosa ex art. 107 c.p.c. (nel qual caso non vi è alcun limite temporale all’intervento), l’intervento è consentito non oltre il termine per la notifica della comparsa di risposta del convenuto e esso sul piano formale si realizza, in coerenza con le regole della trattazione, con la notifica alle altre parti di una comparsa di intervento, che da origine ad un termine per il pieno svolgimento della facoltà di replica di queste ultime, e successiva costituzione in cancelleria.

Nel secondo caso (art. 15) l’intervento è possibile sino al deposito dell’istanza di fissazione della udienza (quindi per l’intera fase di trattazione della causa), ma il terzo è assoggettato alle preclusioni sino a quel momento maturate, salva rimessione in termini quando dimostri il dolo o la collusione delle parti a suo danno (forma anticipata perfetta della opposizione revocatoria alla sentenza) e si realizza ugualmente con la notifica della comparsa e il successivo suo deposito in cancelleria.

In entrambi i casi il terzo che interviene potrà impugnare la sentenza con i poteri della parte (e non più con l’opposizione di terzo), anche nel caso di intervento non innovativo.

La cesura tra trattazione e istruttoria e decisione.

Il provvedimento del giudice

a) Rito ordinario.

1. Provvedimento di invito alle parti a precisare le conclusioni (decisione senza istruttoria);

a) processo in diritto o documentale (art. 187, 1° comma);

b) questione pregiudiziale di rito, carenza di un presupposto processuale insanabile;

c) questione preliminare di merito assorbente: inesistenza di un fatto costitutivo o esistenza di un fatto che costituisce eccezione.

2. Provvedimento istruttorio: ammissibilità (controllo preventivo di legalità della prova) e rilevanza (controllo di utilità della prova condotta sul suo oggetto: fatto principale e secondario), art. 188.

b) Rito del lavoro.

Ai fini dell'immediata decisione rilevanza delle sole ipotesi sub a e b, con esclusione delle questioni preliminari di merito: lettera dell'art. 420/4

c) Rito societario.

a) Solo le parti possono suscitare innanzi a q. pregiudiziale o preliminare la decisione immediata, art. 11.

b) altrimenti si giunge alla decisione del giudice relatore con l'istanza di fissazione di udienza, nella quale possono essere ammessi i mezzi di prova o indicate le questioni preliminari o pregiudiziali (tale provvedimento è revocabile innanzi al colleggio, artt. 12/3 e 16/4).

Per l'istruttoria si rinvia alle regole sulle prove autonomamente trattate.

Peculiarità in ordine ai poteri istruttori,

Rito ordinario e soc. art. 115, principio dispositivo.

Rito lavoro (non locatizio): art. 421/2, accentuazioni poteri istruttori.

Carattere programmatico delle previsioni: - poteri rispetto alla prova testimoniale nel r.o. (281-ter) - poteri ispettivi (artt. 118; 421/3).

In relazione ai poteri istruttori:

-mancanza di limiti cronologici (il problema del contraddittorio);

- superamento dei limiti di ammissibilità dettati dal cod. civ., distinzione tra limiti sostanziali e limiti processuali;

- sopravvivenza della regola sull'onere della prova, art 2697 cc.

d) Provvedimenti anticipatori. Per tutti i riti

1) tutela cautelare incidentale anticipatoria (art. 669 quater)

2) misure in relazione al decreto ingiuntivo (artt. 648 e 649) e alla convalida (art. 665)

3) pagamento delle somme non contestate (art. 186bis e 423/1), a) non contestazione in parte del diritto b) della parte costituita c) prima delle conclusioni e su istanza di parte. Titolo esecutivo, stabile anche in caso di estinzione, senza che acquisisca la stabilità del giudicato.

4) ordinanza ingiuntiva: per il solo caso del n. 1), 633 cpc e in ogni stato su istanza di parte. Esecutiva sui presupposti dell'art. 642 e 648 (salvo disconoscimento) e stabilità in caso di estinzione (ma non passa in giudicato). Lo speciale regime del contumace.

5) la provvisionale, con ordinanza nel rito lav. art. 423/3 con sentenza nel rito ordinario (art. 278, comprensiva della condanna generica che consente la iscrizione ipotecaria).

Le ordinanze a chiusura di istruttoria ex art. 186 quater.

Per i diritti aventi ad oggetto pagamenti o consegna o rilascio.

Sentenza in forma di ordinanza,

a) perché fondate sulla cognizione ordinaria e non sommaria: "nei limiti in cui ritiene raggiunta la prova".

b) perché pronunciano sulle spese;

c) perché si convertono in sentenza appellabile: - nel caso di estinzione; - nel caso di mancata istanza della parte destinataria del provvedimento perché sia pronunciata sentenza.

La tutela sommaria autonoma dell'art. 19 d lgs. n. 5/03

Rientra in una tutela sommaria anticpatoria, inidonea al giudicato (5° comma).

- Tutela crediti al pagamento di somme o diritti di consegna di beni mobili (esclusione azioni di responsabilità degli amministratori);

- Cognizione sommaria: manifesta infondatezza della contestazione;

- Dubbio del giudice: conversione nel rito a cognzione piena;

- appello (soluzione ibrida).

La fase decisoria

a) Rito ordinario

- giudizio collegiale (ambito art. 50 - bis): art. 189, la precisazione delle conclusioni; art. 190, scambio di comparse conclusionali e memorie di replica.

- giudizio monocratico: art. 281-quinquies decisione a seguito di trattazione scritta (1° comma); art. 281-quinquies decisione a seguito di trattazione mista (2° comma); art. 281-sexies decisione a seguito di trattazione orale (sentenza a verbale).

Pubblicazione mediante deposito in cancelleria della sentenza in tutte le sue componenti entro sessanta giorni, art. 275, 1° comma, c.p.c.

b) Rito lavoro

- decisione alla udienza di discussione dopo trattazione orale (art. 429, 1° comma);

- decisione ad udienza differita dopo trattazione scritta (art. 429, 2° comma);

in entrambi i casi lettura del dispositivo in udienza e deposito dei motivi entro quindici giorni (art. 430 c.p.c.).

c) Rito societario

- art. 12, il decreto del giudice designato;

- art. 16, l'udienza di discussione e gli sviluppi verso l'istruttoria e la decisione (4° comma).

Trattazione orale e decisione a verbale, salvo complessità della controversia (5° comma), particolare forma della motivazione

Esiti:

n. 1, 2 e 3, art. 279 sentenza su questioni di rito o sul merito che definisce il giudizio;

n. 4, art. 279, sentenza parziale: pentimento del giudice su questione pregiudiziale o preliminare: sentenza + ordinanza di rimessione in istruttoria;

n. 5, art. 279, sentenza parzialmente definitiva, quando il giudice decide una causa delle cause cumulate in un processo litisconsortile, separando le altre per ragioni di economicità.