04/02/11 Magistratura onoraria
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Il 4 febbraio 2011 si e' tenuta in Firenze, presso l'hotel Excelsior, organizzata dalla Camera civile, una tavola rotonda dal titolo: Il contributo dell’Avvocatura alla risoluzione della crisi del processo civile. L’esercizio della giurisdizione. Hanno partecipato e dibatutto sul tema del giudice onorario il Prof. Giuliano Scarselli, il Prof. Claudio Cecchella, insieme ad alcuni magistrati dei tribunali di Firenze, Prato e Pisa.

L'intervento by Claudio Cecchella
Il programma by Carlo Poli

L'intervento

La ricognizione delle fonti ordinarie sulla magistratura ordinaria: l’occasione persa dall’Avvocatura.

di Claudio Cecchella

Intervento alla Tavola Rotonda

organizzata dalla Camera civile di Firenze

Firenze, 4 febbraio 2011.

Sommario: 1. Il regime ottocentesco; 2, Il primo regime dell’attuale ordinamento giudiziario. 3. La legge sul giudice di pace. 4. I Goa e i Got. 5. Alcune considerazioni finali.

1. Il regime ottocentesco.

Vorrei affrontare il tema della magistratura onoraria, della quale ho avuto l’onore di appartenere come avvocato, avendo svolto dal 1987 al 1993, in un duplice triennio, le funzioni di Vice-pretore onorario presso la Pretura di Pisa, che mi sono state assegnate dal mio Ordine, e sottolineo questa espressione, nell’ultima stagione di un effettiva partecipazione dell’Avvocatura alle funzioni giurisdizionali, per trattare brevemente di questa stagione e delle leggi che l’hanno preceduta.

Il contributo dell’Avvocatura dell’epoca era una costante indiscussa, con un ruolo di prestigio, alla pari con l’altra componente insostituibile che è la magistratura togata.

Devo ricordare ai presenti e a me stesso, in proposito, il Regio decreto 6 dicembre 1865, n. 2626, la legge sull’ordinamento giudiziario dell’età liberale, dove all’art. 40 si leggeva:

“Posso essere nominati vice-pretori mandamentali i laureati in legge che abbiano l’età di anni ventuno ed i requisiti necessari per essere ammessi all’esercizio dell’avvocatura, come pure i notai esercenti da tre anni...”

e dove era previsto addirittura “un travaso” della magistratura onoraria nelle funzioni e nei ruoli di quella togata:

Art. 39:

“Possono altresì essere nominati pretori:

1° i vice-pretori mandamentali laureati in legge, dopo quattro anni di esercizio;

2° i laureati in legge, dopo cinque anni di esercizio effettivo dell’avvocatura avanti i tribunali o le corti:

3° i procuratori laureati in legge, dopo otto anni di esercizio effettivo avanti le corti o i tribunali nelle qualità di capi di ufficio;

4° I notai laureati in legge, dopo otto anni di effettivo esercizio della loro professione”

Ma aggiungeva il comma successivo:

“Tuttavia i vice-pretori, di cui al n° 1, gli avvocati che non abbiano un esercizio effettivo di sette anni, i procuratori e i notai, debbono prima di essere nominati, sottoporsi ad un esame di abilitazione...e riportarne l’approvazione”.

Dunque gli avvocati che avevano un esercizio effettivo superiore a sette anni potevano diventare pretori senza necessità di apposito esame abilitante. Sotto quella soglia, si sottoponevano ad una prova pratica, come riferiva l’art. 23 della stessa legge.

Il Conciliatore, invece, di cui si affermava solennemente la funzione onorifica:

Art. 30

“Le funzioni del conciliatore sono puramente onorifiche e servono di merito per ottenere pubblici impieghi, quando concorrano i requisiti di legge”

risentiva ancora dall’impianto napoleonico del “juge de paix”, innestato sul codice del Regno di Napoli, nella nomina elettiva indiretta:

Art. 29:

“I conciliatori sono nominati dal Re sulla proposta dei rispettivi consigli comunali, fatta mediante la presentazione di tre candidati”.

sfuggendo perciò all’Avvocatura. Ma sappiano storicamente quanto, almeno nei centri maggiori, l’Avvocatura si sia prestata anche a questo servizio.

Non può essere trascurata, nel dibattito che stiamo conducendo, una normativa come quella liberale che assegnava le funzioni giurisdizionali onorarie all’avvocatura, consentendone anche un accesso ai ruoli della magistratura pretorile, a seguito di un esame ulteriore di carattere pratico ai sensi dell’art. 23 della legge dell’ordinamento giudiziario.

Quanta acqua sotto i ponti d’Arno.

2. Il primo regime dell’attuale ordinamento giudiziario.

Con le riforme del ventennio, che hanno inciso su una legislazione tutt’ora in vigore, anche se vastamente rimaneggiata dalle riforme e dall’intervento del giudice della costituzionalità delle leggi, questa naturale propensione dell’Avvocatura verso la giurisdizione subisce una prima soluzione di continuità.

Il giudice conciliatore, che sarà definitivamente eliminato dall’ordinamento giudiziario con l’art. 47 della legge n. 374 del 1991, istitutiva del giudice di pace, con effetto dal 1° maggio 1995, viene reclutato secondo la disciplina dell’art. 23 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, tra:

“i cittadini italiani, di razza italiana, di sesso maschile, iscritti al P.N.F., residenti nel comune, che hanno età non inferiore a venticinque anni. La scelta deve cadere su elementi capaci di assolvere degnamente, per requisiti di indipendenza, carattere e prestigio, le funzioni di magistrato onorario”

La designazione muta repentinamente, cadendo l’origine indirettamente elettiva, secondo il disegno autoritario del regime:

“La nomina dei giudici conciliatori e vice-conciliatori è fatta, in virtù di regia delegazione, con decreto del Presidente della corte d'appello, su designazione del procuratore generale della Repubblica” (art. 24 della legge sull’ordinamento giudiziario).

e viene allineata poi, dopo la caduta del Regime, alle scelte della Costituzione del 1948, che istituisce l’organo di autogoverno della magistratura, il C.S.M., il quale provvede alla:” nomina e revoca dei vice pretori onorari, dei conciliatori, dei vice conciliatori, nonché dei componenti estranei alla Magistratura delle sezioni specializzate; per i conciliatori, i vice conciliatori e i componenti estranei è ammessa la delega ai presidenti delle Corti di appello” (art. 10, n. 2, legge 24 marzo 1958, n. 195).

L’esercizio dell’Avvocatura viene menzionata per introdurre un requisito negativo, quello dell’incompatibilità con l’esercizio della professione:

Art. 27 (legge sull’ordinamento giudiziario): “L'avvocato, il procuratore legale e il patrocinatore, rivestito delle funzioni di giudice conciliatore o vice-conciliatore, non può prestare assistenza, direttamente o indirettamente, alle parti, né può rappresentarle davanti all'ufficio di conciliazione al quale appartiene”.

Il reclutamento dei vicepretori muta, anch’esso:

art. 32: “Possono essere nominati vice-pretori onorari i laureati in giurisprudenza, i notai ed i procuratori esercenti che hanno compiuto l'età di anni 25”

Inizia a profilarsi il requisito della sola laurea in giurisprudenza, come alternativo a quello dell’esercizio dell’Avvocatura.

Resta, ma come estrema possibilità, per carenze di organico della magistratura togata, l’assunzione precaria della funzione del pretore, ma deve trattarsi di persone “che non esercitino la professione forense”:

“Se nelle preture indicate nella tabella M annessa al presente ordinamento mancano gli uditori giudiziari, possono essere destinati, in loro vece, se il bisogno del servizio lo richiede, vice-pretori onorari, i quali non esercitino la professione forense. In tal caso al vice-pretore onorario, fino a che dura l'incarico speciale, sono corrisposte le indennità spettanti all'uditore vice-pretore che egli sostituisce. L'incarico ha la durata di un semestre, salvo conferma, e può essere sempre revocato. Il numero dei vice-pretori onorari, ai quali può essere conferito tale incarico speciale, è determinato dal regolamento”

Presto con legge n. 449 del 1988 si aggiunge : “I vice pretori onorari non possono, di regola, tenere udienze se non nei casi di mancanza o di impedimento del titolare e degli altri pretori”

3. La legge sul giudice di pace.

A partire dal 1990, si manifesta il lungo dibattito sul giudice onorario, che vive del conflitto dell’Avvocatura con le associazioni dei Magistrati e con il potere politico, sfociato a forme estreme sino all’astensione dalla attività di udienza e alle dimissioni dei vice-pretori iscritti agli albi, in una sorta di “Aventino” dell’Avvocatura, che conduce alla fine di un’esperienza positiva dell’Avvocatura nell’ambito della giurisdizione.

L’indirizzo che prevale è contrario ad un impegno dell’Avvocatura nella giurisdizione, in una sorta di asserita incompatibilità dei due profili intorno ai quali si svolge la giurisdizione: il difensore e il giudice.

Nell’ordine del giorno del 24 novembre 1995, il Cnf così si esprime: “peraltro, la legge istitutiva del giudice di pace in maggior coerenza con le modificate condizioni della società e nel rispetto dell’imprescindibile esigenza di differenziazione del ruolo del giudice da quello dell’avvocato, ha correttamente disposto l’incompatibilità tra le due funzioni, sia pure limitatamente all’ambito del circondario” e ancora :” appare assolutamente necessario ribadire il principio della incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e quello della funzione giurisdizionale: ciò, a garanzia del diritto dei cittadini ad avere un giudice che sia imparziale e distaccato e tale appaia all’opinione pubblica”.

Quindi il Cnf: “rivolge

al Parlamento ed al Governo un fermo invito affinché:

1. sia eliminato dalla normativa in vigore il lamentato diffuso ricorso ai vice-pretori onorari, con accoglimento delle richieste dell’avvocatura sul punto della incompatibilità tra la funzione giudicante con ogni altra che appaia con essa in contrasto;

2. siano istituite le sezioni stralcio nel rispetto dei surrichiamati principi;

raccomanda

ai Consigli degli Ordini di uniformarsi ai criteri sopra evidenziati, esprimendo, ove ne siano richiesti, parere negativo alla nomina di vice-pretori onorari nelle persone che esercitano la professione forense”

L’evoluzione legislativa successiva accoglie il così accorato, ma sia consentito dire “miope” appello: l’abrogazione della normativa sul vicepretore (con quella del Pretore) attraverso l’art. 30, d. lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, ma anche l’introduzione di una serie di normative sul giudice onorario, nelle quali l’Avvocatura è posta ai margini.

Anzitutto il giudice di pace, con i suoi requisiti, ove l’esercizio dell’avvocatura non è più esclusivo:

art. 5:

“h) avere superato l'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense.

2. Il requisito di cui alla lettera h) del comma 1 non è richiesto per coloro che hanno esercitato:

a) funzioni giudiziarie, anche onorarie, per almeno un biennio;

b) funzioni notarili;

c) insegnamento di materie giuridiche nelle università;

d) funzioni inerenti alle qualifiche dirigenziali e alla ex carriera direttiva delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie.”.

Ai fini del reclutamento non si passa più per il Consiglio dell’Ordine:

Art. 4 “Il presidente della corte d'appello trasmette le domande pervenute al consiglio giudiziario. Il consiglio giudiziario, integrato da cinque rappresentanti designati, d'intesa tra loro, dai consigli dell'ordine degli avvocati del distretto di corte d'appello, formula le motivate proposte di ammissione al tirocinio sulla base delle domande ricevute e degli elementi acquisiti.

Le domande degli interessati e le proposte del consiglio giudiziario sono trasmesse dal presidente della corte d'appello al Consiglio superiore della magistratura.

Il Consiglio superiore della magistratura delibera l'ammissione al tirocinio di cui all'articolo 4-bis per un numero di interessati non superiore al doppio del numero di magistrati da nominare”.

Art. 4-bis: I magistrati onorari chiamati a ricoprire l'ufficio del giudice di pace sono nominati, all'esito del periodo di tirocinio e del giudizio di idoneità di cui al comma 7, con decreto del Ministro della giustizia, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura.

Sono invece ben messe a fuoco le incompatibilità e tra queste in particolare l’esercizio dell’Avvocatura:

Art. 8.

1-bis. Gli avvocati non possono esercitare le funzioni di giudice di pace nel circondario del tribunale nel quale esercitano la professione forense ovvero nel quale esercitano la professione forense i loro associati di studio, il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado.

1-ter. Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice di pace non possono esercitare la funzione forense dinanzi all'ufficio del giudice di pace al quale appartengono e non possono rappresentare, assistere o difendere le parti di procedimenti svolti dinanzi al medesimo ufficio, nei successivi gradi di giudizio. Il divieto si applica anche agli associati di studio, al coniuge, ai conviventi, ai parenti entro il secondo grado e agli affini entro il primo grado

4. I Goa e i Got.

L’impostazione non muta, quando il legislatore disciplina le figure dei giudizi onorari di Tribunale e dei giudici onorari aggregati, i primi come figura istituzionale, che rimpiazza il vecchio vice-pretore, la seconda eccezionale, allo scopo di diminuire l’arretrato, nella fase di stesura della sentenza ad integrare le c.d. sezioni stralcio.

All’art. 2 della legge n. 296 del 1997, sui Giudici onorari aggregati (definiti con una sigla dal vago sapore zoologico), tra i requisiti non è più contemplato, come ipotesi generale, l’abilitazione alla professione forense, e anzi, quando al 2° comma dello stesso articolo si ipotizza la candidatura di un avvocato, i presupposti appaiono palesemente meno favorevoli:

“Gli avvocati, per essere nominati giudici onorari aggregati, oltre a possedere i requisiti di cui al comma 1, devono aver patrocinato, anche quali iscritti in albi speciali, cause civili negli ultimi 15 anni ed avere maturato il periodo prescritto per il diritto al pensionamento di anzianità o vecchiaia, ovvero, nel caso di cancellazione dall'albo, maturarlo nei quindici anni successivi alla data di effettivo inizio di attività delle sezioni stralcio”.

Nella nomina, il parere del Consiglio dell’Ordine è previsto solo se la candidatura per la nomina è di un avvocato, mentre quest’ultima è formalizzata dal C.s.m., su proposta del Consiglio giudiziario, solo integrato con i rappresentanti degli Ordini.

Le incompatibilità si dilatano:

“Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice onorario aggregato, quando la nomina non comporta la cancellazione dall'albo degli avvocati, a norma del comma 1 dell'articolo 9, non possono esercitare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari del distretto o della sezione distaccata di corte di appello, ove esistente, nel cui ambito ha sede il tribunale al quale appartengono, e non possono rappresentare, assistere o difendere in procedimenti svolti dinanzi ai

Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice onorario aggregato non possono altresì rappresentare, assistere o difendere, anche presso uffici di altri distretti, parti di procedimenti in relazione ai quali hanno svolto tali funzioni. Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice onorario aggregato certificano personalmente l'inesistenza nei loro confronti delle cause di incompatibilità di cui al precedente periodo”.

Conferme non potevano non mancare nella legge sui giudici onorari del tribunale, ove l’esercizio della professione forense non viene neppure contemplato come titolo presupposto alla nomina, ma diventa soltanto titolo preferenziale nella comparazione dei candidati, art. 42-bis della legge sull’ordinamento giudiziario (nella formulazione dovuta al d. lgs. 19 febbraio 1998, n. 51). L’ultimo decreto attuativo (d.m. 3 giugno 2009), ribadisce la competenza del Consiglio giudiziario nella scelta, nel controllo e nelle misure disciplinari, pur integrato dalla componente forense, ma i Consigli dell’Ordine esprimono parere solo se il candidato è iscritto all’albo forense.

E’ a tutti noto come nell’esperienza odierna la statistica ci dice che non esiste quasi un’esperienza di iscritti all’albo forense che esercita funzioni onorarie nel contesto dei giudici onorari del Tribunale ed è a tutti nota la qualità degli atti e provvedimenti resi dai Got, a cui spesso sono assegnate materie di grande delicatezza.

5. Alcune considerazioni finali.

Questo il desolante quadro normativo alle soglie del primo decennio concluso, del duemila.

Io credo che l’Avvocatura, con l’indirizzo “aventiniano” e non collaborativo degli anni novanta abbia interrotto una tradizione “storica” – di cui ho dato prova – che ha contraddistinto sin dall’epoca liberale il suo impegno nella tutela dei diritti, non soltanto come paladino della difesa, ma anche, quando è necessario (e quanto è necessario oggi è sotto gli occhi di tutti), come giudice, certamente onorario, ma come giudice.

Certo è necessario disciplinare l’incompatibilità tra avvocato esercente e avvocato giudice onorario, ma non mi pare giustificato il timore che l’Avvocatura aveva espresso con la determinazione del Consiglio Nazionale forense del 1995, in una sorta di incompatibilità assoluta tra avvocato e funzioni onorarie della giustizia.

E’ lo stesso timore, che non intravedo questa volta nelle determinazioni degli esponenti istituzionali dell’Avvocatura, quanto nella base dell’Avvocatura di massa, che si è fatta sentire in occasione dell’ultimo Congresso, ma nutro rispetto alla nuova disciplina della mediazione, dove certo una scarsa attenzione del legislatore e dell’esecutivo sul ruolo dell’Avvocatura nelle fasi precontenziose, particolarmente quando in esse sono in gioco i diritti dei cittadini o comunque atti e condotte che tanto condizioneranno il successivo corso della giurisdizione, ma dove l’avvocatura non deve chiudersi ancora nell’Aventino della non collaborazione, avendo gli strumenti (gli Ordini), le strutture (i Tribunali) per monopolizzare uno strumento, con cui volere o non volere dobbiamo si deve confrontare

Spero che la Camera civile, possa essere occasione e spinta per un nuovo impegno dell’avvocatura anche nella giurisdizione onoraria, che torni agli antichi fulgori di un monopolio di tale delicata e fondamentale funzione dello Stato.