08/10/10 Famiglia di fatto
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Nella strardinaria cornice di Ca' dei Carraresi, a Treviso, si è tenuto un convegno sulla famiglia di fatto, organizzato dalla sezione dell'Osservatorio, con un interessante confronto tra magistrati, come il Presidente Schiavon, il Dr. Munaro e il Dr. Oberto, da sempre impegnati anche nella ricerca, e da docenti come Paladini e Cecchella.

Lo schema della relazione sui profili processuali esecutivi by Claudio Cecchella
Il programma delle relazioni by Osservatorio Treviso

Lo schema della relazione sui profili processuali esecutivi

Crisi della convivenza rimedi esecutivi e azioni risarcitorie

di Claudio Cecchella

Treviso, 8 ottobre 2010

L’ambito della relazione

Non si intende qui esaminare la tutela giurisdizionale dei diritti tra i coniugi di fatto, rispetto ai quali non vi è alcuna diversità dalla tutela dei diritti comuni (ripetizione dell’indebito, obbligazioni naturali, donazioni, possesso) e quindi specificità che meritano di essere esaminate, quanto la tutela giurisdizionale dei diritti che fanno capo al figlio naturale.

Infatti nella disciplina del figlio naturale, la famiglia di fatto converge pienamente con la disciplina della famiglia fondata sul matrimonio (art. 261 c.c.) e dunque il processo, nella tutela dei diritti del figlio minore naturale, deve rispondere alle stesse esigenze postulate nella tutela del figlio minore legittimo.

Nonostante questo, il sistema processuale non risponde nello stesso modo, affidando la tutela del figlio minore legittimo agli strumenti cautelari, anticipatori e di merito innanzi al giudice ordinario, mentre il figlio naturale è affidato al giudice minorile, con gli strumenti della tutela camerale (che nega accesso ai mezzi cautelari, anticipatori e di merito).

Questa irrazionale e discriminatoria (e perciò incostituzionale) diversificazione si manifesta nell’ambito del processo di cognizione;

grazie ad interventi legislativi (legge n. 54 del 2006) e soprattutto a declaratorie di incostituzionalità, non si manifesta invece sul piano esecutivo, essendo estesi molti istituti speciali applicabili al figlio legittimo anche al figlio naturale.

In questo ambito dunque le tutele giurisdizionali coincidono e i loro problemi si identificano.

Le suggestioni provenienti dal diritto sostanziale nella tutela del figlio legittimo e naturale

Tutela giurisdizionale differenziata

In entrambi i casi si pone infatti un problema di una tutela giurisdizionale differenziata non solo in relazione ai profili di cognizione dei diritti, ma anche e soprattutto in relazione ai profili esecutivi dei provvedimenti conclusivi di fasi cognitive piene o sommarie.

Situazioni personali e patrimoniali

Differenziazione dovuta alle peculiarità delle situazioni coinvolte, siano esse di natura patrimoniale, che personale, perché quelle di natura patrimoniale (come il mantenimento o l’assegno, oppure l’assegnazione della casa coniugale) celano indirettamente la tutela di situazioni personali.

Vediamone i caratteri:

a) L’immanenza di un carattere urgente della tutela:il periculum è intrinseco al diritto da tutelare tanto che diventa irrilevante e tutto si traduce in una tutela anticipatoria degli effetti della sentenza di merito: i provvedimenti presidenziali, i provvedimenti del giudice istruttore. Sul piano esecutivo si rende necessario l’uso di misure che assicurino gli effetti della condanna con la stessa urgenza e rapidità, che non si rinviene nel formalismo delle procedure del libro III c.p.c. Non si può pensare che il diritto di visita o il diritto ad una contribuzione periodica mensile al mantenimento non possano essere soddisfatti lo stesso giorno in cui devono essere adempiuti.

b) La forte influenza della sopravvenienza di fatti modificativi della fattispecie che inducono sempre un adattamento della misura ai mutamenti, cui risponde un regime, sul piano cognitivo, di un giudicato rebus sic stantibus e sul piano esecutivo dalla forte interferenza tra cognizione ed esecuzione, nel senso che in sede esecutiva può rendersi ragione di mutamenti delle misure, espressione di fasi cognitive pregresse e di cui si chiede attuazione, al punto di identificare il giudice dell’esecuzione con il giudice del merito.

c) Il carattere infungibile assai spesso della prestazione dell’obbligato, in quanto la soddisfazione passa attraverso l’effettiva e puntuale ottemperanza della misura sommaria o di merito da parte dell’obbligato a cui difficilmente può rispondere la sostituzione dell’organo esecutivo, mediante le forme del libro III del codice di rito. Principio da valere per gli obblighi di consegna del minore, ma non meno per gli obblighi di contribuzione o assistenza economica.

d) Il carattere permanente delle situazioni, che difficilmente si esauriscono in un’unica prestazione, ma si caratterizzano per la loro continuità: il minore è destinatario di un diritto di vista ogni fine settimana; il contributo o l’assegno devono essere corrisposti ogni mese, e così via. In questo caso inadatto è il requisito della esigibilità del diritto come presupposto dell’azione esecutiva sancito nella norma sul titolo esecutivo ex art 474 c.p.c.: si pone l’esigenza di una tutela esecutiva anche nel futuro per diritti al momento inesigibili.

La risposta dell’ordinamento processuale.

A tali esigenze, l’ordinamento risponde in maniera contraddittoria, frammentaria, intuendo le forme processuali ma assai spesso non generalizzandole

a) La diaspora delle misure coercitive alternative alle forme esecutive

Dai mezzi coercitivi applicati all’inottemperanza delle misure economiche (i sequestri di cui agli artt. 146 e 156; art. 8, 7° comma legge n. 898 del 1970) al più recente affidamento a misure di carattere penale a tutela dei diritti economici (recente evoluzione dell’art. 12 quinquies della legge n. 898 del 1970 alla luce dell’art. 3 della legge n. 54 del 2006);

alla preferenza verso misure coercitive civili, invece, come recentissima evoluzione della materia delle situazioni personali connesse all’affidamento e alla potestà, come eloquentemente evidenzia l’art. 709 - ter c.p.c., dovuto alla recentissima legge n. 54 del 2006, applicabile ai soli profili personali ance in relazione alla filiazione naturale, e oggi l’art 614 bis c.p.c.

b) Coincidenza del giudice del merito con il giudice della esecuzione e l’esecuzione in via breve

Solo per le situazioni personali (salvo il caso della applicazione delle misure del sequestro a tutela dei crediti di mantenimento), con potere di incidere sullo stesso merito in sede esecutiva e di determinare discrezionalmente le forme della esecuzione, in deroga alle forme del libro III.

Da tempo, in tale ambito, la giurisprudenza ha abbandonato le forme del libro III, con la diversificazione tra giudice del merito e giudice della esecuzione: quella per consegna o rilascio, per l’inaccettabilità dell’idea del minore come di una res e per il rilievo in tale forma di esecuzione di un organo esecutivo cui è estraneo il giudice; con minore convinzione quelle degli obblighi di fare e non fare, dove quanto meno la esecuzione è ab initio condotta dal giudice, cui l’avente diritto deve rivolgersi ai sensi dell’art. 612 c.p.c. per la determinazione delle modalità, ma che continua ad incontrare i limiti di un intervento del solo giudice della esecuzione e non del merito, con la sua minore sensibilità verso gli interessi in gioco nella fattispecie.

Nella direzione di un’esecuzione in via breve, le cui forme sono lasciate alla discrezionalità del giudice, identificato nel giudice del merito e non nel giudice della esecuzione.

Questa giurisprudenza ha trovato una particolare e stimolante spinta dal decimo comma dell’art. 6 della legge n. 898 del 1970: <>

La norma è di estrema importanza:

1) per avere finalmente sancito che il giudice delle esecuzione è il giudice del merito, che in materia di famiglia non può esservi distinzione tra cognizione ed esecuzione e l’esecuzione può talvolta indurre al mutamento delle soluzione dettate dalla cognizione;

2) per avere introdotto una regola non soltanto sulla competenza, ma anche sulle forme, fissando forme esecutive affidate al giudice del merito, sulla falsariga dell’art. 669 duodecies c.p.c. per le misure cautelari da attivarsi in forma specifica;

3) per avere attribuito un ruolo di controllo delle forme esecutive, discrezionalmente determinate dal giudice del merito, da parte del giudice tutelare, in un condivisibile ruolo diversificato tra giudice del merito che detta le modalità esecutive e giudice tutelare che le controlla in sede esecutivo (e di cui oggi potrebbe giovarsi sia l’art. 709 ter sia l’art. 614 bis, grazie alla mancata abrogazione dell’art. 337 c.p.c.).

L’apoteosi di questa evoluzione è l’art. 709 - ter c.p.c., di cui diremo tra poco, la cui applicazione dopo la legge 54 del 2006, non è dubitabile al figlio naturale. Con la tutela oggi rafforzata dell’art. 614 - bis c.p.c.

c) le forme di tutela esecutiva pro futuro dei crediti di mantenimento

In mancanza di ogni previsione per diritti personali (se si esclude la interpretazione che sarà data all’art. 614 - bis c.p.c.), la profonda diversità delle forme di cessione ex lege dei crediti o redditi anche periodici che l’obbligato vanta nei confronti di terzi, secondo la diversificata (irragionevolmente) disciplina degli artt. 148, applicato comunemente al figlio naturale, 156 e 8 legge n. 898 del 1970 e l’efficace strumento per lo svolgimento tutto stragiudiziale contenuto in questa ultima disposizione.

L’art. 709 – ter c.p.c.

L’evoluzione finale di questo indirizzo è certamente nell’art. 709 ter c.p.c., norma criticabile sul piano della tecnica legislativa, ma facilmente comprensibile se ricostruita alla luce della dinamica poc’anzi evidenziata e applicabile al figlio naturale per scelta legislativa (legge n. 54)

a) col sancire ancora una volta la identificazione di giudice della esecuzione con il giudice del procedimento in corso (espressione ancora più forte, poiché lo fa coincidere con la persona fisica, ovvero con il giudice istruttore innanzi al quale pende la causa di merito e non il collegio), purché non penda più, poiché in tal caso è competente, se vi sono fatti sopravenuti, il giudice della revoca e modifica ex art. 710 c.p.c. e 9 legge n. 898 del 1970 , se non vi sono il giudice tutelare ex art. 337 c.c. (ad oggi non abrogato).

Nel nostro caso tutto si risolve innanzi al tribunale per i minori, con tutte le remore invero del rito relativo, ciò che fa riaffiorare un elemento di discriminazione.

“Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’art. 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore”

b) col prevedere in modo espresso e senza limiti la facoltà, se necessario alla luce delle difficoltà esecutive, di giungere pure alla modifica dei provvedimenti di merito (“può modificare i provvedimenti in vigore”);

c) col consentire, mediante provvedimento, un accertamento risolutivo dei dubbi interpretativi della misura e opportune forme di esecuzione in via breve e discrezionali, qualora vi sia spazio per un’esecuzione forzata della misura di consegna del minore (“adotta i provvedimenti opportuni”;

d) e innanzi agli ostacoli della esecuzione con pregiudizio agli interessi del minore, dovuti alla infungibilità della prestazione dell’obbligato, prevedendo idonee misure coercitive, pur con formulazioni equivoche evocanti ancora nozioni di responsabilità civile (“il risarcimento del danno”) che sono avulse ad un efficiente sistema di esecuzione indiretta, dove ciò che conta è l’inottemperanza esaminata da un punto di vista oggettivo e non il maggior o minor grado di colpa della parte o peggio ancora il nesso di causalità con una danno effettivamente indotto: il processualista non può cadere nello specchio della responsabilità civile nel quale continua a guardarsi come Narciso il civilista. Peraltro la sanzione di natura amministrativa e un danno risarcito a favore del minore che non della parte del processo, depongono nel senso dell’interpretazione qui suggerita.

e) infine col suggerire ancora la via di un procedimento ad hoc, a seguito della misura sommaria o finale, nel quale contesto offrire discrezionalmente le forme esecutive e/o le misure coercitive., secondo il modello francese.

Art. 709 - ter c.p.c. e art. 614 - bis c.p.c.: coordinamento

Il legislatore italiano non si misura con la preesistente disciplina di misure coercitive, se si esclude la sola esperienza laburistica (art. 28 e 18 St. lav.) fatta espressamente salva (ad esempio tutto il sistema delle misure coercitive note in materia industriale e, appunto, familiare).

Dopo il 614 bis che ne è del 709 ter?

Gli ambiti invero sono ben diversi:

a- le misure coercitive dell’art. 614 bis sono dettate dallo stesso giudice della cognizione nel momento in cui pronuncia sul piano cognitivo (“Con il provvedimento di condanna il giudice..fissa..”) e non costituiscono il risultato di un autonomo procedimento ad hoc successivo, come l’art. 709 ter. Vi è dunque autonomia dei procedimenti che non interferiscono tra loro (fatta salva la officiosità della misura);

b- quindi le misure coercitive per così dire generali non interferiscono modificandole sulle regole dettate dalla cognizione (sono contestuali), a differenza di quelle di cui è risultato l’art. 709 ter e che costituiscono carattere differenziato delle situazioni personali in materia di famiglia; c- le misure coercitive di cui all’art. 614 - bis offrono rilievo anche al ritardo dell’ottemperanza e non solo all’inottemperanza tout court e ipotizzano una misura coercitiva ripetuta nel tempo per ogni violazione (“la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione…”; mentre l’art. 709 ter pone un misura forfettaria ed una tantum. In tal modo potrebbe penetrare nell’ambito della tutela delle situazioni personali, una proiezione nel futuro della tutela.

Vi è dunque da pensare per la autonomia di procedimenti e di tutele, che i due mezzi sopravvivano e siano astrattamente compatibili, ammettendone anche la contestualità, salvo che potrebbe ipotizzarsi un interesse ad agire diminuito in sede di 709 ter se il giudice avesse già dettato le misure coercitive nel provvedimento di merito in sede di art. 614 bis, qualora nel primo caso la richiesta fosse limitata esclusivamente alla liquidazione della somma di denaro (diversamente se si chiedono invece le forme della esecuzione forzata o la modifica dei provvedimenti di merito o una loro interpretazione autentica).

I problemi interpretativi dell’art. 614 bis c.p.c.

La disposizione suscita problemi, più che risolverli, ma sembra adattarsi bene al diritto del minore legittimo come naturale:

- l’ambito intenso di discrezionalità, che non può non porre nell’imbarazzo il giudice più sensibile: la manifesta iniquità che la esclude; la mancanza di limiti quantitativi nella misura coercitiva, essendo i criteri del valore, della natura della prestazione e del danno provocato troppo evanescenti; al contrario il rilievo del danno nella misura coercitiva dell’art. 709 c.p.c.

“Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa su richiesta della parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento…

Il giudice determina l’ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”

- la richiesta di parte, è domanda o semplice istanza processuale, come potrebbe esserla quella di responsabilità processuale aggravata o di condanna alle spese? L’ipotesi sembra essere piuttosto la seconda (come peraltro nel caso dell’art. 709 ter c.p.c.), trattandosi di misura esclusivamente processuale al termine della controversia, dunque può essere formulata in udienza di precisazione delle conclusioni, non necessariamente in udienza di trattazione come esercizio di ius poenitendi o peggio ancora negli atti introduttivi; questo ha un certo rilievo nel diritto di famiglia, non dovendo essere introdotta in limine litis.

- esso può essere contenuta in una qualunque misura, anche non necessariamente in sede di sentenza di merito, ad esempio in occasione di un’ordinanza anticipatoria cautelare o non cautelare (provvedimento di condanna, ma anche costitutivo con voci accessorie di condanna), ciò che ha particolare rilievo in materia di famiglia, dunque nel provvedimento presidenziale oppure in quello del giudice istruttore (la minore efficacia del principio nella tutela del figlio minore naturale, presso il tribunale dei minorenni);

la esecutività fa pensare ad una spendibilità diretta sul piano esecutivo, mediante apposizione della formula e notifica del precetto, in cui la parte si limiterà ad allegare l’inottemperanza o il suo ritardo: tutto si gioca sull’iniziativa dell’obbligato in sede di opposizione alla esecuzione e l’onere della prova – secondo le più recenti pronuncia del giudice di legittimità (Cass sez. un. 30 ottobre 2001, n. 13533) in materia di obbligazioni contrattuali – di avere ben adempiuto grava sull’obbligato e non sull’avente diritto

“Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza”

- il problema della sua applicazione anche fuori dagli obblighi strettamente infungibili, nelle obbligazioni di consegnare o rilasciare o pagare, quando indirettamente è tutelato un bene personale che rende necessaria la prestazione tempestiva dell’obbligato: esiste il solo dato della rubrica e del collocamento topografico della norma. Problema particolare in materia di famiglia, in relazione ai diritti patrimoniali che sarebbero così recuperati alle misure coercitive civili, quando l’inadempimento incide sui diritti personali (la recente evoluzione a giurisprudenza sull’art. 709 ter).