14/09/07 2° Convegno Jaccheri sul dirit

La sezione Pisana dell'Osservatorio del diritto di famiglia ha promosso, con il patrocinio dell'Ordine degli Avvocati di Pisa, della scuola di specializzazione per le professioni legali dell'università di Pisa, della scuola di formazione forense, la seconda giornata di Studi dedicata alla memoria dell'Avv. Mario Jaccheri sul tema: <>, con relazioni di docenti universitari (Luiso, Danovi, Cecchella), di magistrati (Martinelli, De Simone, Martinelli) e di Avvocati (Dosi)

Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti sommari by Claudio Cecchellabis
Sentenza non definitiva di separazione e rapporti tra separazione e divorzio. by Gianfranco Dosi
L’appello nel giudizio di separazione e di divorzio by Gioacchino Massetani
Questioni varie in tema di impugnazione by Francesco Paolo Luiso
Saluti e Introduzione by Carlo De Pasquale
Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti sommari by Paolo Martinelli
Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti sommari by Filippo Danovi
Saluti dell'Avv. David Cerri by David Cerri
Introduzione by Claudio Cecchella

Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti sommari

Sommario. 3.1 Il problema. 3.2 La nuova categoria dei provvedimenti sommari anticipatori e il regime relativo. 3.3 I condizionamenti di una interpretazione costituzionalmente orientata. 3.4 Il regime previgente e le ragioni della disciplina codicistica. 3.5. Il passaggio dovuto alla novella del 1990 sul rito cautelare uniforme. 3.6 Le reazioni della giurisprudenza. 3.7. Il regime attuale. 3.8. Il reclamo avverso i provvedimenti presidenziali. 3.9. Rapporti con revoca e modifica innanzi al giudice istruttore 3.10. Reclamabilità, revocabilità e modificabilità dei provvedimenti del giudice istruttore. 3.11. La stabilità in caso di estinzione.

3.1. Il problema.-

La storia di questo scorcio di secolo, con un'accentuazione estrema nei primi anni del secolo nuovo, è la storia della dinamica generata dalle regole della società civile sull'ordinamento giuridico statuale, di cui l'istituzione familiare sul piano del diritto positivo ha risentito più di ogni altra categoria civilistica: dalla legge del 1970 sul divorzio o dalla legge del 1975 sulla famiglia oppure, ancora, dalla legge del 1987 che interviene sulla prima, con importanti ricadute sul procedimento per separazione, sino all'ultimo episodio, a noi contemporaneo, delle leggi n. 80 del 2005 e n. 54 del 2006.

Per quello che in questa sede interessa, i riflessi processuali dei corrispondenti istituti di diritto sostanziale riformati - l'affidamento, il mantenimento, l'assegnazione della abitazione -, nonostante che la dialettica tra diritto e costume si sia risolta storicamente a favore della seconda con fondamentali interventi nell'ambito del diritto sostanziale nell'incontenibile dinamica di cui sono espressione le leggi poc'anzi menzionate, non hanno vissuto una stagione altrettanto feconda, con interventi frammentari, assistematici e, nell'ultima esperienza, tecnicamente errati.

La contingenza storica ha condotto all'apice questa involuzione, almeno nel diritto processuale della famiglia, già evidente a partire dagli anni settanta e mai come oggi necessitante, con l'ausilio di studiosi e operatori e non con la fretta degli ultimi episodi indotti forzatamente ai limiti estremi di una legislatura, un intervento di razionalizzazione legislativa, ove siano risolte una volta per tutte le dicotomie tra una giurisdizione ordinaria e una giurisdizione minorile, tra un rito ordinario di cognizione e un rito speciale della famiglia, tra un rito sommario anticipatorio cautelare e un rito sommario anticipatorio familiare, tra un'esecuzione ordinaria e le frammentarie e incoerenti forme di esecuzione dei crediti di mantenimento o di consegna del minore.

Non si può infatti rovesciare sull'interprete, e in ultima analisi sul giudice, gli squilibri sistematici e i grossolani errori di formulazione della regola di diritto positivo.

Il compito è arduo e mai come in questa materia la babele dei linguaggi impera, segno del degrado provocato dalla più recente legislazione, in un ambito come quello processuale ove la certezza del diritto è in genere segno di civiltà giuridica e più che mai come nel processo familiare.

3.2 La nuova categoria dei provvedimenti sommari anticipatori e il regime relativo.

Il processo familiare, sin dalle originarie regole del codice di rito (art. 708 e 189 disp. att. c.p.c.), per la maggiore e inderogabile necessità che il processo si risolvesse senza dilazioni in una tutela dei diritti, ma soprattutto adeguasse la regola pronunciata in sede giurisdizionale all'evoluzione in continuo divenire della realtà familiare, aveva introdotto una misura di carattere anticipatorio, fondata su di una cognizione allo stato degli atti, affidandola al presidente del tribunale nella fase preliminare del processo per separazione e divorzio, con una peculiare stabilizzazione, e salvo revoca con contrastante misura sommaria o ordinaria in altro processo, in caso di estinzione del processo (art. 189 disp. att. c.p.c.) e comunque modulabile alla luce della mutevolezza della fattispecie nel tempo, grazie al potere di revoca e modifica attribuito al giudice della fase di merito (708 u.c. c.p.c.).

L'agonìa del processo civile, ove il giudicato si rivela un'utopia, all'esito di tre infiniti gradi di giudizio, ha travasato nel rito comune lo speciale mezzo anticipatorio , prima in via incidentale (artt. 186 - bis e ter; 423; 624; 703 c.p.c.) e poi in via principale (art. 19 d. lgs. n. 5 del 2003), o in entrambe le forme (art. 669 - octies, 4° comma), ma come spesso accade l'istituto è stato timidamente introdotto, solo per la tutela di alcuni diritti e attraverso una disciplina scarna che ha suscitato, come suscita, enormi problemi applicativi.

Presto si è messa a fuoco, sul piano positivo, una tutela anticipatoria degli effetti esecutivi della sentenza di merito, in forma di ordinanza, fondata per lo più su di una cognizione sommaria, destinata a colmare la dilazione provocata dalle forme di cognizione piena, quindi in funzione di un'esigenza latu sensu cautelare, poiché una tutela tardiva, ovvero non effettiva, provoca un pregiudizio letale al diritto, tanto che la distinzione con gli strumenti cautelari in senso stretto si rende molto evanescente.

Al conflitto si impone così una regola, che offre un minimo di certezza al rapporto controverso, a cui le parti possono medio tempore ispirare le loro condotte e sulla quale le stesse possono spegnere il conflitto, senza che l'abbandono della tutela nelle forme ordinarie che conduce al giudicato possa incidere sull'efficacia della anticipazione, che continua a porre la regola, sin tanto che in altro episodio processuale sia revocata o modificata ancora con una misura sommaria dello stesso tipo o con la pronuncia finale di merito (generalizzazione della regola dell'art. 189 disp. att. cit.). Perciò essa non è mai idonea al giudicato, né agli effetti preclusivi pro iudicato .

3.3 I condizionamenti di una interpretazione costituzionalmente orientata.

Ora il sistema di tutela anticipatoria alternativa alla tutela dichiarativa confluente nel giudicato cui conducono le riforme, sino all'ipotizzata generalizzazione nei progetti dell'attuale compagnie governativa , deve porsi in rigorosa linea con le garanzie imposte da fonte costituzionale e internazionale sul processo .

Ed è questo il vero problema, poiché allo stato della frammentata introduzione del nuovo sistema di tutela e la contraddittoria disciplina, questo allineamento può dirsi ben lungi dall'essere raggiunto e all'interprete, anche a costo di forzature indotte da un'interpretazione evolutiva, compete l'arduo compito.

La risposta della giurisprudenza è deludente, anche se con il non secondario alibi dei silenzi e delle lacune di un legislatore approssimativo.

Se, infatti, la regola deve essere riposta - in tempi accettabili - ad una cognizione sommaria e se il rito secondo le regole comuni si consuma in un tempo infinito e se, in particolare, la regola al conflitto può stabilizzarsi per un tempo altrettanto indefinito, pur non assumendo la stabilità del giudicato, è necessario concepire un riesame, ovvero un gravame che consenta ad un altro giudice, auspicabilmente collegiale, di sindacare l'operato in prime cure del collega.

Questa esigenza peraltro diventa insopprimibile necessità quando il sistema apre alcune esperienze a tale riesame, come nel caso del reclamo cautelare dell'art. 669 - terdecies c.p.c. oppure, richiamando lo stesso tipo di gravame, per i provvedimenti interinali a tutela del possesso, strumenti funzionalmente diversi, ma accomunati dalla anticipazione degli effetti della tutela del merito.

Oltre ad un garanzia di riesame, si impone, e non solo nella materia familiare, un'esigenza di adeguamento della regola dettata dalla misura sommaria alla evoluzione storica della fattispecie, proprio per la dilazione in cui si consuma sino al suo esaurimento la tutela dichiarativa che conduce al giudicato.

Si tratta di strumenti diversi, il primo fondato su di un riesame di una fattispecie immutata, il secondo su di un adeguamento ad una fattispecie in evoluzione.

3.4. Il regime previgente e le ragioni della disciplina codicistica.

Nel contesto del codice del 1865 (art. 806 ss. c.p.c.), che tramite il codice del Regno delle due Sicilie aveva eredito la regola napoleonica, era accentuata la scissione della fase presidenziale rispetto alla fase successiva dichiarativa e che conduceva al giudicato, con assimilazione della prima ad un procedimento di volontaria giurisdizione e perciò nessuna aveva mai dubitato della reclamabilità dei provvedimenti presidenziali, con reclamo camerale al presidente della corte di appello .

Ma tale impostazione era coerente con tutta una serie di garanzie che il processo liberale delle origini offriva anche ai provvedimenti interlocutori, nel corso del processo di rito ordinario, spesso aventi le forme della sentenza impugnabile.

Il codice del 1942, pur recuperando il modello bifasico delle origini, aveva preferito una continuità del procedimento, con una domanda di merito già formulata con il ricorso dell'art. 706 c.p.c. e la fase presidenziale destinata a tentare la conciliazione dei coniugi e, in difetto, a dettare le regole fondamentali della separazione, per la durata del giudizio a cognizione piena. L'appartenenza conseguente dei provvedimenti provvisori e urgenti del presidente alla giurisdizione contenziosa rompeva il cordone ombelicale con il reclamo camerale e subiva gli effetti della disciplina del rito comune che, reagendo alle impugnative incidentali di cui era costellato il rito previgente, faceva divieto di impugnativa, riconducendo tutto alla revocabilità e modificabilità dello stesso giudice pronunciante e comunque alla revocabilità discendente dalla sentenza finale (art. 177 c.p.c., se si escludevano le ordinanze espressamente reclamabili, 3° comma, n. 3, come quelle istruttorie e sulla estinzione).

Ma tale impostazione ben poteva giustificarsi in relazione a provvedimenti ordinatori volti a dare impulso e ordine allo svolgimento processuale, molto meno quando il provvedimento interlocutorio aveva modo di interferire con la tutela di merito, negli episodi cautelari o in quelli anticipatori non cautelari.

A tale sistema attingeva inevitabilmente l'ordinanza presidenziale, tutto risolvendosi nei poteri di revoca e modifica del giudice istruttore della fase di merito, peraltro nella previsione originaria presupponenti il sopravvenire di circostanze (e perciò non sindacabili in caso di identità della fattispecie), vecchio tenore dell'art. 708 u.c., c.p.c..

Vi è anche da dire che, essendo la separazione nella disciplina sostanziale originaria fondata esclusivamente sulla colpa o sul consenso, la regola processuale poneva un tertium genus di separazione : quella regolata dal presidente in difetto di una coltivazione della causa di merito sulla colpa, attraverso l'art. 189 disp. att., capace di disciplinare per un tempo indefinito la separazione ovvero sino a revoca in un autonomo episodio processuale, privandola del rilievo della colposità.

Questa regola, avente un portata più sostanziale che processuale, ha pesato negativamente su un decennio di scarsa sensibilità verso le tutele e le garanzie nella materia familiare.

3.5. Il passaggio dovuto alla novella del 1990 sul rito cautelare uniforme.

In questo contesto normativo, le riforme del 1990-1995, particolarmente con la legge n. 353 del 1990, pongono una braccia al sistema autoritario del codice del 1942 , nell'ambito ove esso produceva i maggiori danni, giungendo - come nei sequestri - a concepire una misura priva di contraddittorio revocabile solo dopo tre gradi di giudizio con il giudicato.

Il monstrum viene rimosso attraverso, non solo la generalizzazione della regola del contraddittorio (art. 669-sexies c.p.c.), ma soprattutto attraverso il regime del riesame introdotto con l'art. 669 terdecies c.p.c., della revoca e della modifica per circostanze sopravvenute (art. 669 - decies c.p.c.) e infine della prevalenza della cognizione piena sulla cognizione sommaria, sin dalla pronuncia della sentenza di primo grado (art. 669 - novies, 3° comma, c.p.c.).

Ma si tratta di una breccia che non poteva limitarsi al contesto specifico, quello delle ordinanze cautelari di accoglimento e presto l'allineamento costituzionale viene imposto all'inerzia del legislatore ordinario con l'intervento del giudice della costituzionalità delle leggi che inevitabilmente, in ossequio al principio di uguaglianza e razionalità, lo estende anche alle ordinanze di rigetto .

Ma la breccia soprattutto non può, nè poteva, conservarsi al solo "mondo" cautelare in senso stretto, poiché già penetrava in un settore, quello della tutela possessoria interinale, che non si fondava, come non si fonda affatto su presupposti cautelari e pure, per la generale richiamo al rito cautelare (art. 703 c.p.c.), è assoggettato alle stesse garanzie.

La dottrina più attenta si attendeva - senza la necessità di un nuovo intervento del giudice della costituzionalità della legge - un'interpretazione costituzionalmente orientata della giurisprudenza, che in altri ambiti, come ad esempio quello camerale, aveva dimostrato una ben diversa sensibilità.

3.6. Le reazioni della giurisprudenza.

Si assiste invece ad un fenomeno inatteso: una improvvisa soluzione di continuità di una cinquantennale qualificazione delle misure provvisorie e urgenti in termini cautelari da parte della S.C. sospinte forzatamente nel mondo delle tutele sommarie anticipatorie non cautelari . Il tutto sulla suggestione aprioristica di una deroga al regime cautelare, particolarmente alla reclamabilità della misura, sotto l'influenza di (pretesi) timori per il carico indotto ai ruoli, prospettiva che la parallela esperienza cautelare non ha affatto evidenziato. Ma si tratta di un pregiudizio che non può certo ispirare l'interpretazione del diritto positivo.

Gli argomenti sono deludenti, quello del prevalente impulso officioso della tutela che caratterizzerebbe l'ordinanza presidenziale , dimenticando che la principale esperienza cautelare fallimentare ex art. 146, 3° comma l. fall, anteriore alla riforma, era priva di una domanda oppure quello della ultrattività della ordinanza in caso di estinzione, che l'evoluzione legislativa (novellazione dell'art. 669 - octies, dovuta alla legge n. 80 del 2005) ha dimostrato non poteva essere assunto come carattere precipuo della tutela cautelare .

Il ragionamento doveva condursi su ben altre basi, ovvero sulla necessità costituzionalmente imposta di una estensione delle garanzie al vasto e prorompente fenomeno della tutela anticipatoria fondata su di una cognizione sommaria, che muovesse o meno su presupposti cautelari, rispetto alla quale la maggiore o minore strumentalità era del tutto indifferente, essendo rilevante esclusivamente la idoneità su base di cognizione sommaria ad anticipare in parte o in tutto la tutela finale .

Dal coro si distingueva, grazie alla sensibilità di processualista del magistrato che ne presiedeva i collegi, il Tribunale di Genova , il quale pur non contrastando la costruzione prevalente sulla natura non cautelare, evidenziava, secondo noi correttamente, l'analogia e quindi la necessità di un'estensione della disciplina per allineamento alle garanzie costituzionali, pur pronunciandosi per lo più in fattispecie originate da ordinanze del giudice istruttore

Si deve dire che l'orientamento genovese non si era espresso invero a favore della reclamabilità delle ordinanze presidenziali, poiché queste erano comunque revocabili o modificabili del giudice del giudizio dichiarativo di merito, bensì dei provvedimenti di quest'ultimo .

Peraltro innanzi ad un indirizzo così consolidato non è servito neppure il tentativo di sollecitare l'intervento del giudice della costituzionalità , pur essendovi più di un motivo per dubitare della costituzionalità, anche solo per il profilo del principio di razionalità del sistema, dove erano usate due pesi e due misure per provvedimenti che conducevano allo stesso risultato di tutela.

La successiva riforma - dovuta alla legge n. 80 del 2005 - del rito cautelare, che ha attenuato la funzione strumentale delle misure anticipatorie, introducendo una disciplina analoga all'art. 189 disp att. c.p.c. (art. 669 - octies) non ha inciso sull'orientamento che si è in modo stereotipato riprodotto senza soluzione di continuità.

La tutela veniva abbandonata alle sorti della istanza di revoca e modifica innanzi al giudice istruttore, che grazie alla successiva entrata in vigore della legge n. 74 del 1987 (art. 23), sulla estensione alla separazione delle regole dettate per il divorzio, non presupponeva più la necessità di circostanze sopravvenute, ma consentiva una revisione senza limiti del giudizio presidenziale .

Peraltro correttamente si era esclusa l'impugnabilità, per il carattere non decisorio della misura, nelle forme del ricorso straordinario ex art. 111 Cost. o del regolamento di competenza .

Soltanto in caso di vizi formali di nullità dell'ordinanza presidenziale, si era consentita una impugnativa nelle forme dell'actio nullitatis, eventualmente nel contesto di una opposizione alla esecuzione .

3.7. Il regime attuale.

La prima novellazione dovuta alla legge n. 80 del 2005 si preoccupa di sciogliere il nodo del processo per separazione e divorzio costituito nei rapporti tra fase sommaria e fase ordinaria, in relazione all'applicazione delle preclusioni che disciplinano il rito ordinario dopo la novella degli anni 1990-1995 (cfr. cap. 2), mentre tace sul tema delle garanzie avverso l'ordinanza presidenziale.

Il legislatore si interessa soltanto di adeguare le regole codicistiche sul processo per separazione al rito divorzile regolato dalla legge speciale n. 898 del 1970, con una soluzione che l'interprete aveva già agio di cogliere nell'art. 23 della legge n. 74 del 1987, ovvero introduce una revocabilità e modificabilità della misura presienziale a prescindere dalla sopravvenienza di fatti, e fa trasmigare la regola nell'art. 709, u.c., c.p.c.

E' dovuta invece alla successiva legge n. 54 del 2006 l'intervento sull'ultimo comma dell'art. 708 c.p.c., con una disciplina che non produce un rinvio tout court, come sarebbe stato più semplice, alla regola cautelare, bensì ricodifica un reclamo, sulla falsariga del reclamo camerale, assomigliante assai di più alla disciplina dell'art. 739 c.p.c., piuttosto che a quella dell'art. 669 - terdecies c.p.c.

Resta inalterata la soluzione, dovuta in modo esplicito e senza difficoltà interpretative alla riscrittura dell'art. 709 u.c. cit., sulla reclamabilità e modificabilità dei provvedimenti presidenziali senza i limiti della sopravvenienza.

La frammentazione e casualità degli interventi, come tra breve vedremo, è all'origine di gravi problemi di coordinamento e di una disciplina lacunosa, non facilmente colmabile, lasciando pressoché intatta la problematica suscitata nel recente passato.

3.8. Il reclamo avverso i provvedimenti presidenziali.

L'art. 708 u.c. c.p.c. affida infatti non al tribunale, nella sua articolazione collegiale il reclamo con la cautela della incompatibilità del giudice che ha pronunciato la misura, ma preferisce la soluzione di affidarlo al giudice superiore, la Corte di appello in composizione necessariamente collegiale.

La scelta pare eccessiva, forse dettata dalla necessità di evitare i condizionamenti derivanti dalla particolare posizione apicale del presidente.

Il termine, tuttavia, similmente all'art. 739 c.p.c., per il carattere contenzioso della controversia, decorre dalla notifica e coincide con i dieci giorni (contrariamente, dopo la novellazione della legge 80 del 2005, l'art. 669 - terdecies individua il dies a quo nella comunicazione e lo fissa in quindici giorni).

Per il resto la disposizione tace, rinviando genericamente al rito camerale.

Credo che l'art. 742 - bis c.p.c. sull'ambito di applicazione di tale rito, al di là dei richiami espressi, escluda un'applicazione analogica di tutta la relativa disciplina al processo di famiglia e quindi sia ancora necessario, per risolvere le lacune, un rinvio analogico alla disciplina cautelare .

E' perciò applicabile la speciale inibitoria fondata su motivi sopravvenuti e in caso di grave danno (u.c. art. 669 - terdecies) .

E' da ammettersi la reclamabilità non soltanto dell'ordinanza di accoglimento, ma anche dell'ordinanza che rigetta la domanda di una delle parti (qualche dubbio sorge in relazione al profilo della incompetenza, poiché non è ipotizzabile che il presidente decida su tale questione, che può essere oggetto soltanto di una sentenza nella fase di merito ) e quindi deve ammettersi un reclamo incidentale.

Il reclamo, che si conclude con ordinanza , può rendere necessario l'assunzione di sommarie informazioni.

Si rende necessaria una pronuncia non oltre venti giorni, con ordinanza non ulteriormente impugnabile, per la sua inidoneità al giudicato, né con il ricorso straordinario ex art. 111 Cost, né con regolamento di competenza.

Per la regola speciale introdotta dall'ultimo comma del cit. art. 708 il termine ivi regolato non ammette alternative, conteggiandosi solo dalla notifica e quindi rendendosi irrilevante la comunicazione, o la conoscenza all'udienza dell'ordinanza o, infine, l'annualità dalla pubblicazione, quest'ultima applicabile solo ai provvedimenti idonei al giudicato .

3.9. Rapporti con revoca e modifica innanzi al giudice istruttore

La stratificazione degli interventi come di consueto frammentari e scoordinati tra loro, dalla legge n. 80 del 2005 alla legge n. 54 del 2006, facevano convivere due disposizione poco coordinabili, da un lato il riesame e dall'altro la revocabilità ad libitum del giudice istruttore Sarebbe stato opportuno sul piano razionale affidare la revisione al gravame e la revoca del giudice istruttore alle sole sopravvenienze.

La normativa, almeno sul piano letterale, non ha questa sensibilità e quindi il coordinamento ricade sull'interprete.

E' opportuno anzitutto osservare come solo i provvedimenti presidenziali siano assistiti da un ampio potere di revoca e modifica del giudice istruttore con presupposti ad nutum (art. 709 u.c. c.p.c.), mentre non lo sono i provvedimenti dello stesso giudice istruttore

La norma merita pertanto una lettura restrittiva.

Ne discende che i provvedimenti dettati in sede di reclamo dalla Corte di appello, come anche i provvedimenti dello stesso giudice istruttore, per la ragione (par. 3.2) che fa ritenere normativa di riferimento generale la disciplina del processo cautelare, possono essere revocati e modificati solo in caso di sopravvenienza o della deduzione di fatti non allegati e ignorati nella fase precedente (arg. art. 669 - decies c.p.c.) .

Sono così fugati i dubbi circa un potere del giudice istruttore di rendere vana la pronuncia della Corte di appello (o anche la riforma del suo stesso provvedimento in prime cure) ed è fatto salvo il principio fondamentale dell'adeguamento della misura alla dinamica della realtà fattuale.

Saranno perciò revocabili e modificabili, ai sensi dell'art. 709 u.c., c.p.c., i soli provvedimenti presidenziali, prescindendo da sopravvenienze oppure deduzione di nuovi fatti ignorati.

Ma la perfetta astratta fungibilità di reclamo e revoca e modifica, entrambi strumenti di semplice revisione quando applicati all'ordinanza presidenziale, senza che la fattispecie dedotta sia modificata, pone seri problemi di coordinamento.

Allora non esitiamo, ancora una volta innanzi alla lacuna, a richiamare l'analoga materia cautelare, applicando l'art. 669 - terdecies, 4° comma, c.p.c. ovvero una volta che è introdotto il reclamo, questo assorbe in sé ogni tutela sia essa generata dalla semplice revisione o piuttosto dalla necessità di esaminare un fatto storicamente nuovo o semplicemente ignorato, con prevalenza del reclamo su revoca e nodifica.

Se, al contrario, è in via principale richiesta la revoca e modifica, nulla esclude che il reclamo possa essere introdotto con la sua diversa ampiezza di oggetto e in tal caso è inevitabile un intersecarsi degli ambiti di tutela.

3.10. Reclamabilità, revocabilità e modificabilità dei provvedimenti del giudice istruttore

Le due disposizioni taciono in relazione alle misure provvisorie ed urgenti che il giudice istruttore offra, sia in sede di revoca o modifica dei provvedimenti presidenziali, sia in via autonoma.

In tale contesto, non è ipotizzabile che identiche situazioni possano essere regolate in modo difforme e soprattutto che il riesame si giustifichi solo per i provvedimenti presidenziali e debba negarsi per i provvedimenti del giudice istruttore, che hanno la stessa natura, lo stesso contenuto, tanto che possono incidere sui primi in sede di revoca o modifica.

Una diversa impostazione non potrebbe non confliggere con il principio costituzionale di eguaglianza, per non parlare delle altre garanzie costituzionali.

Naturalmente, come la casistica ha subito evidenziato, è da temere un ritorno al passato, con gli argomenti stereotipati della natura non cautelare.

Resta tuttavia da intendere se tale reclamo debba essere applicato in analogia alla disciplina dell'ordinanza presidenziale o piuttosto, come saremo propensi a pensare, attraverso un richiamo alla disciplina del processo cautelare.

La specialità del mezzo di introdotto all'ultimo comma dell'art. 708 c.p.c. ci conduce ad escluderne un richiamo analogico, rendendosi inevitabile il rinvio alla disciplina generale dei rimedi avverso i provvedimenti latu sensu cautelari.

Propendiamo perciò per la piena applicazione dell'art. 669 - terdecies, c.p.c. innanzi al tribunale in formazione collegiale (con esclusione del giudice che ha pronunciato in prime cure) e secondo le forme e i termini di cui alla cit. disposizione .

Si risolvono così i problemi della revoca e modifica che, questa volta, in rigida applicazione dell'art. 669 - decies c.p.c. (peraltro senza conflitto con l'art. 709, u.c. c.p.c., che riferisce la diversa regola alla sola revoca e modifica delle ordinanze presidenziali), possono aversi soltanto in presenza di sopravvenienze o di fatti ignorati in precedenza .

Non potrà obiettarsi contro una interpretazione difficilmente contrastabile sul piano logico-giuridico, il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione oppure il richiamo dogmatico all'art. 669-quaterdecies c.p.c. e al limite imposto dalla disposizione all'ambito di applicabilità della disciplina del processo cautelare uniforme.

Quanto al primo perché applicabile ai mezzi di impugnazione in senso stretto della sentenza, ai sensi dell'art. 323 c.p.c., mentre la questione che ci impegna concerne l'ambito unitario delle tutela sommarie anticipatorie con funzione cautelare in senso lato. Quanto al secondo è troppo nota l'interpretazione estensiva offerta alla disposizione sull'ambito di applicabilità, destinata ad espandersi anche in relazione a misura regolate dal codice di rito diverse da quelle espressamente menzionate.

3.11. La stabilità e gli effetti di revoca e modifica.

Si è detto che la stabilità delle ordinanze in esame, quella presidenziale oppure quella del giudice istruttore, non consente l'irrevocabilità del giudicato, neppure in caso di estinzione del processo (differentemente dal decreto ingiuntivo regolato in modo speciale dall'art. 653 c.p.c.).

Ma neppure è da pensare ad una preclusione pro iudicato, che stabilizzi definitivamente gli atti esecutivi medio tempore perfezionati e questa è una regola che contraddistingue tutti i provvedimenti sommari anticipatori, siano essi cautelari e non .

Ne consegue che in caso di revoca o modifica pronunciata dal giudice istruttore oppure di revoca conseguente ai risultati del gravame oppure, ancora, di revoca discendente dalla sentenza dichiarativa finale di primo grado, la misura viene travolta e non soltanto non può più essere fonte di nuovi atti esecutivi, ma caduca con sé per dipendenza anche gli atti esecutivi già compiuti, concedendo alla parte un'azione di ripetizione.

Anche in tale campo, peraltro nel solo ambito del processo per separazione e divorzio, la giurisprudenza ha dimostrato di non intendere .

Si propone in giurisprudenza un'inaccettabile diversa efficacia secundum eventum litis. Quando la revoca o modifica implica un incremento del diritto tutelato (ad esempio una maggiorazione dell'assegno di mantenimento) si è ritenuta pacifica la retroatività dell'effetto di revoca e modifica .

Al contrario se l'esito della revoca e modifica è riduttivo del diritto, per una incomprensibile tutela dell'affidamento, si è costruito una portata comunque preclusiva di un'azione di ripetizione della misura benché revocata o modificata , facendosi salvo solo il caso della responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c.