14/12/07 Conclusione delle lezioni
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Con la lezione del 13 dicembre 2007 si è concluso il corso di Diritto processuale civile per l'anno accademico 2007/2008, si pubblicano gli ultimi appunti e schemi. Appuntamento agli esami che si tengono il 21/12/07, 18/01/08 e 15/02/08.

lettera n.8 by Claudio Cecchella
Appunti sulla cognizione piena5 by Claudio Cecchella
Appunti sulla cognizione piena4 by Claudio Cecchella
Appunti sulla cognizione piena3 by Claudio Cecchella

Appunti sulla cognizione piena4

Lezioni di diritto processuali civile

Anno accademico 07/08

(Prof. Claudio Cecchella)

5. Il rito societario.-

5.1. Premessa.

Con il dlgs n. 5 del 2003, in parallelo alla generale riforma delle società dovuto al dlgs n. 6 del 2003, il legislatore offre uno speciale rito alle controversie societarie ed assimilate.

La scelta può apparire un nuovo episodio di involuzione del sistema di tutela giurisdizionale civile, nella sua recente dinamica storica verso la prolificazione dei riti, ordinari e sommari, ma, si deve dire in questo caso, il nuovo rito doveva costituire la palestra degna dei più ampi scenari cui doveva condurre, per quanto è dato conoscere dopo i lavori della c.d. Commissione Vaccarella di riforma, l’intero processo civile, auspicabilmente nella prospettiva di un unico rito a cognizione piena che soppiantasse la pluralità esistente.

Con il nuovo rito ordinario, e nella stessa prospettiva di un’espansione in tutte le materie, si segnala il rito sommario anticipatorio autonomo introdotto con l’art. 19 e la nuova disciplina del rito cautelare, con gli articoli 23 e 24 del dlgs.

Al contrario la riforma degli anni 2005 e 2006, con il ritorno ad una forma più simile a quella del rito ordinario delle riforme degli anni 1990/1995, ha interrotto questo disegno e relegato il rito societario ad una forma del tutto avulsa dalle peculiarità della materia. Mentre ha avuto modo di espandersi la soluzione adottata per il rito cautelare, con la minore strumentalità dei provvedimenti anticipatori.

5.2 L’ambito di applicazione del nuovo rito.

L’art. 1 del dlgs. definisce l’ambito di applicazione del nuovo rito ordinario (ma anche, salvo deroghe espresse, dei nuovi riti sommari), con una soluzione che non contempla le sole controversie delle società commerciali in senso stretto, ovvero che hanno come titolo il contratto sociale, siano esse destinate ad accertarlo (anche il rapporto di società di fatto) oppure a risolverlo oppure, ancora, ad attuarlo, nelle azioni di impugnativa degli atti sociali o di responsabilità degli organi sociali (lett. a).

Infatti rientrano nelle controversie assoggettate al nuovo rito anche quelle che hanno come titolo l’atto di cessione o qualunque atto dispositivo concernente le partecipazioni sociali (lett. b). Si tratta di controversie che hanno per lo più come titolo una compravendita e non un contratto sociale.

Vi rientrano pure le controversie che non hanno titolo nel contratto sociale in senso stretto, come quelle che muovono dai patti parasociali, intesi in senso estensivo e quindi non soltanto quelli che sono destinati ad influenzare il diritto di voto oppure a porre limiti alla cessione delle partecipazioni sociali o che pongono un’influenza dominante sulla società, destinati ex artt. 2341 – bis c.c. ad un regime speciale.

Si può generalmente ritenere che il nuovo rito sia applicabile alle controversia che hanno titolo nel contratto sociale e nei contratti affini, quali i contratti parasociali e i contratti di cessione delle partecipazioni sociali.

Tuttavia il legislatore va oltre, ed assimila, agli effetti della applicazione del nuovo rito, alle controversie sociali pure le controversie che hanno titolo in negoziazioni di intermediazione mobiliare, ove la raccolta del capitale sociale di rischio può essere una delle ipotesi, ma per lo più la casistica esula dall’ambito sociale in senso stretto (lett. d) per penetrare in quello finanziario in senso lato; tanto che, in un ulteriore estensione, sono ricomprese le controversie tra banche o tra banca e associazioni dei consumatori (lett. e e f).

(b) Le questioni di rito. Con una soluzione già adottata in relazione alle controversie di lavoro, le questioni relative al rito applicabile non vengono decise con sentenza, ma rilevate d’ufficio con ordinanza che muta il rito. Risulta, con uno strumento duttile, che aveva dato buona prova di sé negli artt. 426 e 427 c.p.c., scongiurato il rischio di impugnative e dei conseguenti ritardi del processo impegnato sulle questioni di rito.

Tuttavia la profonda diversità della trattazione del rito delle controversie sociali, che si conduce attraverso attività delle sole parti private cui resta estraneo il giudice, impone che il processo si liberi dal “governo” del giudice e perciò viene cancellato dal ruolo, riprendendo le mosse, una volta che è disciplinato dalle nuove regole, dalla fase successiva allo scambio mediante notifica di citazione e comparsa di costituzione (art. 1, 5° comma). La disposizione deve tuttavia essere correttamente interpretata, trattandosi non di una cancellazione dal ruolo che rende necessaria una riassunzione del giudizio, ma di una cancellazione del ruolo del giudice (il processo resta iscritto nel ruolo generale delle cause civili e non è necessaria una nuova iscrizione).

I profili del rito possono sorgere anche nella direzione inversa, quando in sede di udienza di discussione innanzi al collegio la causa incontra per la prima volta il giudice con poteri pienamente decisori e anche in tal caso il rito si converte con ordinanza, limitandosi il collegio a designare il giudice istruttore e l’udienza, salvo che oltre ad una questione di rito si ponga una questione di competenza, poiché in tal caso risulta inevitabile, sempre con ordinanza, la rimessione al giudice competente, previa riassunzione di una delle parti (art. 16, 6° comma).

E’ il caso di evidenziare che quando per connessione tra cause destinate a riti diversi l’ordinamento favorisce il simultaneus processus (artt. 31 e ss. c.p.c.), prevale sempre il rito delle società, a cui conseguentemente si piegano sia quello ordinario sia quello speciale c.d. del lavoro (art. 1, 1° comma).

5.4. La trattazione “privata”. Secondo un modello affatto originale, perché proprio dell’esperienza anglosassone, ma costituente certamente una novità nell’europa continentale, la peculiarità più evidente della nuova trattazione è la estraneità in essa del giudice.

La rigidità dell’originario modello di trattazione, nel susseguirsi meccanico di udienze di prima comparizione, prima trattazione, seconda trattazione e così via (artt. 180, 183 e 184 c.p.c.), in coincidenza delle quali e nei termini in esse fissati maturano progressivamente le preclusioni alle attività difensive delle parti, dalle domande, alle allegazioni e infine ai mezzi istruttori, non ha dato prova positiva di sé soprattutto a causa della incapacità del giudice di dominare la causa, non conoscendone i contenuti in vista della udienza di prima trattazione e non avendo perciò gli strumenti per guidarne effettivamente gli sviluppi, anche anticipati, verso un immediata decisione sul fondamento di questioni pregiudiziali o preliminari (art. 187 c.p.c., possibile solo come già veduto nell'udienza dell'art. 184 c.p.c. per richiamo espresso). Nel suo concreto svolgimento il giudice conosce della causa solo al suo termine, al momento della decisione, salvo che debba preliminarmente valutare l’ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova richiesti dalle parti, quando vi è opposizione, e, pertanto, nell’esperienza concreta, ispirata ad un malcostume anche della classe forense, la causa si trascina stancamente, anche per alcuni anni, nella successione meccanica delle udienze di trattazione.

Se questa è la realtà, il legislatore processuale ne deve prendere atto e pertanto assegnare al giudice le attività del processo coincidenti con il momento della decisione, quando ormai il thema decidendum e probandum è ormai tutto rovesciato sul suo tavolo, dovendo la fase di trattazione preliminare al formarsi di tale materiale essere interamente dominata dalle parti e dal loro dibattito, mediante scambio di atti e memorie, a cui il giudice resta estraneo.

Nello stesso tempo il processo conquista un’economia non indifferente di attività dell’organo giudicante, il quale non è più assorbito quotidianamente in udienze di mero rinvio o nelle quali vengono solo dispensati termini al maturarsi delle decadenze, dovendo il giudice essere invitato ad intervenire soltanto nella attività di cognizione in senso stretto ovvero di decisione o istruttoria, nella prospettiva di un miglioramento quantitativo e qualitativo della sua produzione.

Perciò il rito si dipana attraverso una trattazione “privata” e soltanto quando, per iniziativa della parte che dovrebbe replicare, se per la compiutezza del materiale decisorio e istruttorio non è più necessario contraddire, è richiesta la fissazione della udienza di discussione, la causa entra in contatto con il giudice per la prima volta, solo per essere decisa.

5.5 Il contraddittorio mediante scambio di atti e il diritto di instare per la fissazione della udienza.

Gli artt. 2 a 7 regolano la trattazione privata preliminare, sancendo la notifica di citazione e di comparsa di risposta (artt. 2 e 4), della memoria di replica dell’attore (art. 6) e delle repliche ulteriori (art. 7), in termini fissati dalle parti o in difetto dalla legge, e si svolge esclusivamente mediante scambio di attività delle parti, uniche protagoniste della fase iniziale.

Naturalmente tali atti non sono infiniti e lo scambio è consentito sino a ottanta giorni dallo scambio della memoria di replica del convenuto ex art, 7, 3° comma cpc, termine che consente entro i successivi venti giorni il deposito della istanza di fissazione di udienza, in mancanza della quale il processo si estingue.

Lo scambio di atti, è bene sottolineare, non avviene soltanto con le formalità degli artt. 137 ss. c.p.c. (notifica), ma in alternativa è ammesso lo scambio per fax oppure per posta elettronica (tanto che negli atti iniziali le parti devono indicare i loro rispettivi indirizzi, artt. 2 e 4), oppure lo scambio diretto con sottoscrizione per ricevuta dell’originale (art. 17). In sostanza i difensori tecnici opereranno sempre di più dalle loro sedi, con l’uso dei sistemi elettronici, entrando il meno possibile in contatto con gli uffici pubblici. Quanto alla comunicazione per fax sarà necessario comunque l'uso dell'ufficiale giudiziario che attribuisca certezza all'operazione e la notifica per posta elettronica necessita del rispetto delle regole per la trasmissione di atti per via elettronica e particolarmente della firma digitale.

La stessa costituzione in giudizio delle parti non è funzionale, com’è oggi, a creare i presupposti del contatto con l’organo giudicante, bensì ha lo scopo di consentire l’esame delle produzioni nell’esercizio pieno dei diritti di difesa e di contraddire, detto contatto è soppiantato dal diverso istituto dell’istanza per la fissazione della udienza (artt. 3 e 5). Ne consegue che il fascicolo d’ufficio viene formato dal cancelliere solo a seguito di detta istanza, dopo il suo deposito a seguito di notifica alle altre parti (art. 12, 1°comma).

Lo scambio degli atti tra le parti, poi, forma progressivamente i temi della decisione del giudice sull’oggetto della causa, sui fatti che vi rilevano e sulle prove da assumere, ma – differentemente dall’attuale modello di formazione progressiva della fattispecie della quale dovrà conoscere il giudice –la parte non potrà mai adagiarsi sul maturarsi solo progressivo delle preclusioni e quindi sarà indotta a dire tutto e subito.

L’altra parte potrebbe infatti rinunciare ai suoi diritti di replica e chiedere subito la fissazione dell’udienza, facendo scattare le preclusioni che da tale iniziativa discendono (dopo detta istanza le parti possono solo precisare conclusioni di merito e istruttorie, ma non introdurne di nuove né modificarle, cfr. gli artt. 9, 1° comma e 10, 1° comma).

Ne consegue che nessuna parte può riservare al prosieguo alcuna attività difensiva e nel compiere l’atto deve esaurire gli oneri di allegazione e di prova che incombono alla sua posizione di attore o di convenuto, non potendo per l’iniziativa dell’altra, che rinuncia ai diritti di replica e chiede subito la fissazione della udienza, più rimediare alle lacune di una difesa deficitaria (anzi è da pensare che il processo si consumi attraverso un’ abile partita a scacchi, ove la parte più avveduta può inchiodare l’altra alle sue omissioni).

L’istanza di fissazione di udienza, che chiude la prima fase c.d. preparatoria del giudizio, può essere infatti formulata dall’attore dopo la comparsa di costituzione del convenuto se non intende replicare ad essa o addirittura dal convenuto dopo la citazione, se non intende replicare a tale atto e l’alternativa è concessa alle parti ogni qual volta esse non intendano replicare alle difese dell’altra anche nel corso dello scambio delle memorie successive (art. 8, 2°e 3°comma).

Pertanto, se si volesse razionalizzare questa delicata partita dove si consuma la tutela giurisdizionale dei diritti, ogni qualvolta la parte intenda svolgere una mera difesa, ovvero contestare i fatti o gli effetti giuridici dedotti dall’altra, avrà agio di richiedere immediatamente la fissazione dell’udienza; diversamente qualora in replica deve formulare una domanda o modificare le conclusioni della domanda già formulata o allegare nuovi fatti o infine dedurre nuovi mezzi di prova deve esercitare con pienezza il suo diritto di replica e quindi innescare il meccanismo, dopo lo scambio dell’atto, del nuovo termine di replica a favore dell’altra.

5.6 Le preclusioni.

Il sistema di preclusioni non è più governato dal criterio di progressività che ispira l’attuale regime (in funzione delle diverse attività assertive della parte) e dalla fissità dei termini dettati dalla legge o dal giudice, esso è assoggettato a un regime misto abbandonato all’iniziativa dell’altra parte e quindi destinato a mutare in relazione all’atteggiamento di quest’ultima: dall’ipotesi estrema in cui la parte rinunci ab initio ai suoi diritti di replica e inchiodi subito l’altra alle preclusioni, all’ipotesi più liberale in cui tutti intendano dare pieno svolgimento allo scambio di citazione e comparsa, memoria di replica dell’attore e memoria di replica del convenuto, sino alle successive ed ultimative memorie di cui all’art. 7.

La soluzione appare a prima vista affascinante e destinata ad esaltare le doti dei difensori più abili e preparati, ma lascia perplessi sul piano della opportunità, calata nelle singole fattispecie che si possano presentare al giudice civile.

Infatti la possibilità che, per l’iniziativa dell’altra parte, la preclusione maturi nella sua interezza e per tutte le possibili difese (domande, allegazioni e prove) con l’atto introduttivo, rischia di soffocare in modo eccessivo la difesa in relazione a fattispecie governate dal principio di atipicità, quali sono quelle destinate al rito in esame (a differenza dei riti speciali del lavoro e delle locazioni, rivolte a contratti fortemente tipizzati). Si pensi ad esempio alle controversie sui patti parasociali o sui negozi di intermediazione mobiliare, per le quali quindi la dinamica di un dibattito con una progressività di maturarsi delle preclusioni, come nel regime attualmente vigente, pare più idoneo. Si tratta ovviamente di una considerazione di mera opportunità sulla soluzione adottata.

Senza, poi, dimenticare il compito spesso ingrato del difensore nell’istruire l’impostazione della causa innanzi alle reticenze del cliente o all’ignoranza anche inconsapevole di quest’ultimo. Non pare all’uopo sufficiente la remissione in termini di cui all’art. 13, 5° comma, in occasione della udienza di discussione, che presuppone una “irregolarità” del procedimento (tutto essendo abbandonato alla rimessione in termine per errore scusabile di cui all’art. 184 bis c.p.c., applicabile per il generale richiamo al codice di rito, contenuto nell’art. 1, 4° comma).

Il risutato di tale disciplina è dato dall’assoggettamento anche del rito ordinario, dal lato dell’attore, al rischio di una preclusione che matura dall’atto introduttivo, poiché un’eventuale lacuna difensiva potrebbe ispirare il convenuto nel richiedere subito la fissazione della udienza (e specularnente lo stesso deve dirsi quando il convenuto, con una domanda riconvenzionale, assume il ruolo anche dell’attore)

Si deve anche dire che la preclusione, nella sua efficacia totalizzante, consegue certamente dall’iniziativa e volontà dell’altra parte di non replicare e di chiedere la fissazione della udienza di discussione, ma può maturare anche prima, pure nel caso in cui il dibattito preparatorio si svolga con lo scambio completo di atti, sino a quelli regolati nell’art. 7.

Infatti il convenuto potrà formulare domande (anche verso terzi), allegare fatti costituenti eccezione e dedurre prove solo in comparsa (art.4, 1° comma c.p.c.), potendo nella successiva memoria di replica alla replica dell’attore (art. 7) dedurre solo nuovi mezzi di prova, mentre nuove domande o allegazioni di fatti potranno aversi solo in stretto esercizio del diritto di contraddire alle difese dell’attore in replica alla comparsa (art. 6).

A sua volta l’attore potrà formulare liberamente domande, allegare fatti e dedurre mezzi di prova solo in citazione; dopo la comparsa del convenuto, in sede di replica con memoria (art. 7), potrà soltanto esercitare un limitato ius poenitendi modificatorio delle conclusioni già assunte (in termini di stretta e limitata emendatio libelli) e formulare nuove domande o eccezioni soltanto in sede di stretto esercizio del diritto di contraddire alle difese del convenuto. In tale sede potrà solo svolgere senza limite iniziative probatorie.

Con le memorie successive (art. 7) attore e convenuto possono solo dare svolgimento ad allegazioni che già hanno avuto modo di svolgersi negli atti precedenti, ovvero non possono aversi novità, essendo il thema decidendum ormai definitivamente fissato. Possono in difetto di diversa previsione negli articoli in commento solo dedurre nuovi mezzi di prova o produrre nuovi documenti.

Ovviamente dopo la notifica dell’istanza di fissazione della udienza le parti possono solo confermare domande, allegazioni e mezzi di prova già dedotti nella fase preparatoria.

Restano esclusi al rilevato regime di preclusione i mezzi che sono nel potere di rilievo officioso, sia quanto alla rilevazione di fatti, sia quanto alla individuazione dei mezzi istruttori e ciò rende necessario ammettere una rimessione in termini delle parti in esercizio del diritto di contraddire (art. 10, 2° comma; l’eventualità avrebbe potuto essere espressamente contemplata dalla norma). Questa soluzione attenua in modo significativo il sistema di preclusioni delineato dal nuovo rito, poiché com’è noto la maggior parte delle eccezioni solo rilevabili d’ufficio e i poteri istruttori del giudice sono stati ampliati (penso alla prova testimoniale) anche se nel rito monocratico.

La tardività del mezzo difensivo (in senso lato e quindi anche per il caso della formulazione di nuove domande) è vizio deducibile dalla parte nella prima difesa ed è quindi nella piena disposizione delle parti (art. 10, 2° comma). Si tratta di una differenza di non poco conto rispetto al regime vigente.

5.7 Gli incidenti sulle questioni di rito o preliminari di merito. La lacuna in relazione ai provvedimenti anticipatori.

E’ possibile che la causa giunga al giudice anche per un incidente di cognizione, su iniziativa di una delle parti o su iniziativa congiunta di entrambe.

Nel primo caso (iniziativa unilaterale) quando si discuta dell’ammissibilità dell’intervento di un terzo (art. 14, 3° comma), è possibile con istanza di fissazione di udienza che sia stimolata un’immediata decisione del giudice, con ordinanza reclamabile nelle forme del reclamo cautelare (in ultima analisi, per il suo carattere decisorio, con ricorso per legittimità innanzi alla Corte di Cassazione).

Nel secondo caso (istanza congiunta) le parti, senza che il giudice possa impedirlo (oggi invece la questione pregiudiziale e preliminare conduce ad una decisione immediata solo se rilevata dal giudice e a sua discrezione, art. 187, 2° e 3° comma c.p.c.), possono devolvere all’immediato giudizio una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito e tra le prime anche le questioni sull’ammissibilità dell’intervento di terzi o sull’ammissibilità dei mezzi di prova.

Il tribunale decide con sentenza se conclude il processo o con ordinanza se dispone la sua prosecuzione (in tal caso l’ordinanza sulla questione di competenza è impugnabile con il regolamento).

Se decide con ordinanza, riprendono i termini per lo scambio degli atti che contraddistingono la fase preparatoria (art. 11, 3° comma).

Con una certa sorpresa il contatto con il giudice, prima dell’esaurimento della fase di trattazione, era limitato solo a queste ipotesi, per cui è da domandarsi lite pendente come sia possibile ottenere una pronuncia anticipatoria (artt. 186 bis e ss. c.p.c.). Si deve infatti tenere conto che fuori dei casi previsti l’istanza per la fissazione della udienza è inammissibile (art. 8, 5° comma).

Peraltro la lacuna era sorprendente vista la sensibilità del legislatore nella introduzione di un nuovo mezzo sommario anticipatorio autonomo (art. 19) che certamente non potrà diminuire l’ambito di esperibilità della tutela anticipatoria non cautelare in corso di causa.

Alla lacuna sembrava possibile dare risposta con l’applicazione delle regole ordinarie, la parte interessata depositerà un ricorso a cui seguirà la fissazione di udienza per la discussione sulla misura richiesta, previa instaurazione del contraddittorio con tutte le parti costituite.

Oggi questa soluzione interpretativa è fatta propria dalla legge, grazie ad interventi successivi:

con novella del 2004, su istanza di parte il giudice può pronunciare i provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 cpc;

dopo la novella 80 del 2006, negli artt. 186 bis e ss. è ammessa anche un'istanza fuori udienza che impone al giudice di fissare l'udienza per la trattazione della misura anticipatoria.

5.8 La contumacia.

Alcuni istituti vengono regolati in modo originale e assai difforme dal regime corrente.

In primo luogo la contumacia del convenuto, se questi non notifica nei termini la comparsa, l’attore può chiedere (in alternativa alla notifica di un ulteriore memoria) la immediata fissazione dell’udienza “in quest’ultimo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto si sia tardivamente costituito, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa” (salva la possibilità, nel caso di persistente dubbio del tribunale, del differimento del giuramento suppletorio), art. 13.

La regola è veramente forte, poiché la ficta confessio persiste anche nel caso di tardiva costituzione del convenuto, il quale contesti la verità dei fatti allegati dall’attore. Non vi è dubbio che il regime attuale della contumacia sia carente, ma che si possa privare di effetti la mera contestazione (sempre possibile) del convenuto costituitosi tardivamente è regola che non condividiamo, ovviamente sul piano della opportunità (il risultato è che le mere difese sono anch’esse soggette a preclusione con il primo atto difensivo, non avendo rilievo quelle dedotte in sede di costituzione tardiva).

La disposizione, per eccesso di delega, è stata dichiarata incostituzionale da una recentissima sentenza della Corte cost.

5.9. L’intervento dei terzi.

L'incongruenza di un intervento volontario consentito nel rito ordinario sino alla udienza di precisazione delle conclusione con la soggezione dell'interveniente alle preclusioni già maturate dalle parti (art. 268 c.p.c.), in modo indistinto per l'intervento innovativo rispetto all'intervento adesivo, è risolto dalla disciplina societaria.

Articolata e originale è perciò la disciplina dell’intervento volontario dei terzi, collocata (finalmente) sulla distinzione tra intervento innovativo (art. 105, 1° comma c.p.c.) e non (l’intervento adesivo dipendente di cui all’art. 105, 2°comma, c.p.c.).

Nel primo caso (art. 14), salvo che l’intervento avvenga per integrazione del contraddittorio oppure per chiamata originata da un’iniziativa officiosa ex art. 107 c.p.c. (nel qual caso non vi è alcun limite temporale all’intervento), l’intervento è consentito non oltre il termine per la notifica della comparsa di risposta del convenuto e esso sul piano formale si realizza, in coerenza con le regole della trattazione, con la notifica alle altre parti di una comparsa di intervento, che da origine ad un termine per il pieno svolgimento della facoltà di replica di queste ultime, e successiva costituzione in cancelleria.

Nel secondo caso (art. 15) l’intervento è possibile sino al deposito dell’istanza di fissazione della udienza (quindi per l’intera fase di trattazione della causa), ma il terzo è assoggettato alle preclusioni sino a quel momento maturate, salva rimessione in termini quando dimostri il dolo o la collusione delle parti a suo danno (forma anticipata perfetta della opposizione revocatoria alla sentenza) e si realizza ugualmente con la notifica della comparsa e il successivo suo deposito in cancelleria.

In entrambi i casi il terzo che interviene potrà impugnare la sentenza con i poteri della parte (e non più con l’opposizione di terzo), anche nel caso di intervento non innovativo.