La nuova giurisprudenza

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SU e incidentale tardiva

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 9741 del 14 aprile 2008, risolvono un contrasto di pronunce sull’art. 334, 2 comma, c.p.c. in ordine alla estensione della sanzione di inammissibilità dell’impugnativa incidentale tardiva quando è dichiarata inammissibile quella principale, al caso invece in cui sia dichiarata quest’ultima improcedibile o improponibile.

La S.C. offre una lettura estensiva del disposto, attraverso il ricorso ad una interpretazione logico-sistematica (e non analogica, come nelle motivazioni di alcune sentenze dello stesso segno), che individua la ratio nella rimessione in termini dell’impugnante in via incidentale quando, in caso di soccombenza reciproca, l’impugnante principale impugni a ridosso della scadenza dei termini mettendo fuori gioco l’impugnante incidentale, che si era adagiato sui contenuti anche a lui sfavorevoli della pronuncia.

Se tuttavia questa ragione viene meno perché l’impugnazione principale non può essere trattata nel merito (causa la sua inammissibilità, ma anche improcedibilità o improponibilità) è evidente che non vi è più ragione di una rimessiomne in termini dell’impugnante incidentale.

In particolare la S.C. non condivide l’indirizzo dell’orientamento restrittivo fondato sull’idea che "all'impugnazione incidentale tardiva non è assegnata una mera funzione riequilibratrice, ma una forza espansiva illimitata, cioè un potere processuale autonomo e, come tale, non condizionato nel suo esercizio dalla condotta processuale del primo impugnante".

Si riproduce di seguito la motivazione della sentenza.

Cassazione – Sezioni unite civili – sentenza 18 marzo – 14 aprile 2008, n. 9741

Presidente Carbone – Relatore Triola

Pm Nardi – conforme - Ricorrente De Liso – Controricorrente Chiari

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 9 febbraio 1996 Maria De Liso conveniva, davanti al Tribunale di Napoli, il notaio Leopoldo Chiari ed il Ministero delle Finanze ed esponeva:

- di essere nuda proprietaria, in base ad atto del 27 luglio 1993, di un immobile donatole dalla zia Concetta De Liso, che si era riservata l'usufrutto;

- che Concetta De Liso, con atto in data 26 ottobre 1994, rogato dal notaio Leopoldo Chiari, aveva concesso ipoteca in favore del Ministero delle Finanze sulla piena proprietà dell'immobile in questione;

- che con contratto preliminare in data 10 giugno 1995 essa attrice aveva promesso in vendita l'immobile in questione a Francesco Cacciapuoti, che, venuto a conoscenza dell'ipoteca, era receduto dal contratto, chiedendo il pagamento del doppio della caparra;

sulla base di tali premesse l'attrice chiedeva che venisse dichiarata inefficace l'ipoteca iscritta in favore del Ministero delle Finanze, con condanna del notaio Leopoldo Chiari al risarcimento dei danni.

Il notaio Leopoldo Chiari, costituitosi, resisteva alla domanda proposta nei suoi confronti.

Il giudizio veniva riunito a quello instaurato da Francesco Cacciapuoti nei confronti di Maria De Liso con atto notificato il 22 aprile 1996, per ottenere il risarcimento dei danni.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 2 febbraio 2000, per quello che interessa in questa sede, accoglieva la domanda nei confronti del notaio Leopoldo Chiari, condannando lo stesso al pagamento a titolo di risarcimento dei danni della somma di lire 60.000.000.

Il notaio Leopoldo Chiari proponeva appello, che veniva parzialmente accolto della Corte di appello di Napoli, con sentenza in data 5 marzo 2002, la quale confermava la responsabilità professionale del notaio, ma riduceva l'importo del risarcimento dei danni ad euro 5.164,57.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione, con un unico motivo, Maria De Liso.

Non risultando il ricorso notificato al notaio Leopoldo Chiari, all'udienza del 21 febbraio 2006 veniva disposta la rinotifica del ricorso.

Maria De Liso provvedeva alla nuova notifica, ma non depositava il ricorso nei termine di venti giorni successivi, e in data successiva alla scadenza di tale termine presentava istanza per la rimessione in termini, deducendo che nel termine in questione non era rientrata in possesso dell'originale del ricorso notificato né degli avvisi di ricevimento attestanti l'avvenuta notifica.

A seguito della notifica del ricorso il notaio Leopoldo Chiari aveva proposto ricorso incidentale, con nove motivi.

La causa veniva rimessa alle Sezioni unite in considerazione di un contrasto giurisprudenziale in ordine agli effetti della improcedibilità del ricorso principale sul ricorso incidentale tardivo.

Maria De Liso ed il notaio Leopoldo Chiari hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi.

Per quanto riguarda il contrasto in relazione al quale la causa è stata rimessa a queste S.U., l'argomento principale a sostegno dell'orientamento che si potrebbe definire restrittivo viene desunto, dalla sentenza 22 settembre 1978, n. 4269, dal fatto che, da un lato, l'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. , non fa alcun riferimento alla categoria dell'improcedibilità, e dall'altro, "all'impugnazione incidentale tardiva non è assegnata una mera funzione riequilibratrice, ma una forza espansiva illimitata, cioè un potere processuale autonomo e, come tale, non condizionato nel suo esercizio dalla condotta processuale del primo impugnante".

A tale "precedente" rinviano varie decisioni successive (sent. 29 maggio 1980, n. 3556; 9 novembre 1983, n. 6626; 6 marzo 1985, n. 1845; 17 luglio 1987, n. 6294; 24 maggio 1993, n. 5817; 2 giugno 1997, n. 4894; 30 settembre 2005, n. 19177).

Un ulteriore argomento è stato individuato dalla sentenza 9 dicembre 1989, n. 5455, la quale, oltre ad osservare che, mentre l'inammissibilità dipende da cause precedenti o contemporanee alla notificazione dell'impugnazione, l'improcedibilità è determinata da eventi posteriori alla notifica stessa, ha rilevato che l'estensione della portata applicativa dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. al caso dell'improcedibilità avrebbe l'effetto di far dipendere la decisione sul ricorso incidentale tardivo dall'iniziativa, esclusiva e potenzialmente arbitraria, dell'impugnante principale. In altre parole, poiché l'improcedibilità si collega "all'inattività, il ricorrente principale potrebbe decidere - dando o facendo mancare il proprio impulso processuale - se gli convenga o meno consentire al giudice di pronunciarsi sulla propria ma, di conseguenza, anche sull'altrui impugnazione.

All'orientamento fin qui descritto se ne contrappone un altro, che si potrebbe definire estensivo, in base al quale la regola contenuta nell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. dovrebbe estendersi anche al caso di improcedibilità del ricorso principale. Questo secondo filone giurisprudenziale si ricollega, innanzitutto, alla pronuncia di questa S.C. a Sezioni Unite 28 luglio 1986, n. 4818, la quale, affrontando un problema leggermente diverso, ossia quello dell'acquiescenza all'impugnazione e, di conseguenza, dell'improponibilità della medesima in base a quanto disposto dall'art. 329 cod. proc. civ., ha affermato che non possano nutrirsi dubbi sull'equivalenza tra improponibilità ed inammissibilità dell'impugnazione principale ai fini dell'applicazione estensiva dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ.; le due fattispecie, infatti, "hanno in comune il dato essenziale della ratio della norma: nel senso che l'esistenza ab origine, del difetto che preclude l'impugnazione principale si riflette sull'impugnazione incidentale che da essa dipende, quando questa sia tardiva". La sentenza, quindi, non si occupa della figura dell'improcedibilità, bensì di quella dell'improponibilità e, partendo dal dato obiettivo costituito dall'art. 329 cod. proc. civ., equipara l'improponibilità all'inammissibilità, almeno per ciò che concerne il riverberarsi di tali vicende sull'impugnazione incidentale tardiva.

Sulla scia della pronuncia delle Sezioni Unite appena richiamata si pone la successiva sentenza 29 maggio 1997, n. 4760, la quale si sofferma diffusamente sul problema in esame e perviene alla conclusione secondo cui la portata dell'art, 334, secondo comma, cod. proc. civ. non può essere limitata al solo caso di inammissibilità dell'impugnazione principale, dovendo invece essere estesa anche ai casi di improcedibilità ed improponibilità. Le argomentazioni utilizzate per pervenire a siffatta conclusione sono essenzialmente di due tipi: da un lato, si osserva che l'interesse all'impugnazione incidentale tardiva "in tanto persiste e trova tutela da parte dell'ordinamento, in quanto può venire esaminata l'impugnazione principale"; in altre parole, è solo l'esistenza di un'impugnazione principale idonea ad essere scrutinata a dare senso ad un'impugnazione - quella incidentale tardiva, appunto - che altrimenti non potrebbe neppure esistere. D'altro lato, poi, la sentenza richiama e completa un'argomentazione già contenuta nella sentenza delle Sezioni Unite, ossia quella della sostanziale equiparabilità, ai fini che interessano, delle diverse categorie della inammissibilità, improcedibilità ed improponibilità. Queste tre diverse figure avrebbero "in comune il dato essenziale della ratio della norma: l'esistenza ab origine di un difetto che preclude l'esame dell'impugnazione principale si riflette sull'impugnazione incidentale che da essa dipende, quando questa sia tardiva". Il nesso di dipendenza dall'impugnazione principale, naturalmente, vale nei confronti della sola impugnazione incidentale tardiva, mentre non è configurabile verso quella tempestiva.

Anche la sentenza 5 luglio 2004, n. 12249 afferma che l'inammissibilità, l'improcedibilità e l'improponibilità hanno in comune "il dato essenziale consistente in una carenza o vizio formale del procedimento di impugnazione tale da precludere l'esame nel merito dell'impugnazione stessa", il che imporrebbe di pervenire ad un'interpretazione estensiva dell'art. 334, secondo comma, del codice di rito. Sarebbe, in sostanza, l'esistenza di elementi comuni a questi tre vizi processuali a determinare la coincidenza delle conseguenze in ordine all'efficacia dell'impugnazione incidentale tardiva.

Tali argomentazioni sono state recepite dalla successiva sentenza 14 marzo 2002, n. 3743, per la quale l'interpretazione estensiva dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. si collega in modo armonioso con quello che è il fondamento stesso dell'impugnazione incidentale tardiva, ossia "rendere possibile l'accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l'avversario tenga analogo comportamento"; da ciò la Corte desume che è irragionevole "consentire, peraltro senza limiti di ammissibilità, l'impugnazione tardiva anche nelle ipotesi in cui, sia pure per ragioni oggettive, si è determinata la stabilità delle statuizioni favorevoli a colui che impugna in via incidentale".

Si collocano nel solco di questi precedenti le sentenze 6 giugno 2003, n. 9056 e 22 dicembre 2005, n. 28422.

Più di recente la sentenza 21 aprile 2006, n. 9452, dopo avere ribadito la fondamentale argomentazione posta a base della sentenza n. 4760 del 1997, e cioè che "l'interesse al ricorso incidentale tardivo può trovare tutela nell'ordinamento se ed in quanto può venire esaminato il ricorso principale, la cui regolare proposizione rappresenta la insuperabile condizione che legittima l'eccezionale superamento dei termini di impugnazione", ha ripreso - allo scopo evidente di confutarla - una delle argomentazioni utilizzate dalla sentenza n. 6220 del 2005 per giungere all'opposta conclusione, ossia quella del carattere eccezionale del disposto dell'art. 334, secondo comma, del codice di rito. Osserva in proposito tale decisione che, pur dovendosi concordare sul carattere di norma eccezionale dell'art. 334 cod. proc. civ., "ciò può farsi rispetto al primo comma della disposizione, e non al secondo comma, che appare, invece, costituire il limite dell'eccezione sancita nel precedente alinea, il punto di ritorno alle regole generali sulla proponibilità delle impugnazioni". In altre parole, eccezionale sarebbe il disposto del primo comma dell'art. 334 cod. proc. civ., che sancisce la legittimità di un'impugnazione proposta fuori termine, mentre la norma del secondo comma non farebbe che tornare alle regole generali sui termini per impugnare, il cui superamento stabilisce il passaggio in giudicato della sentenza. E poiché il sistema tende naturalmente a favorire il formarsi del giudicato, per ovvi motivi di certezza giuridica, l'interpretazione estensiva dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. "appare non solo possibile, ma anzi doverosa, in quanto funzionale ad assicurare un'interpretazione (questa sì necessariamente) restrittiva dell'eccezione, sancita nel primo comma, al rispetto dei termini per l'impugnazione".

La sentenza stessa, infine, utilizza, a favore della propria tesi, un ulteriore argomento del tutto innovativo, richiamando, cioè, la sentenza 5 luglio 1991, n. 7431, delle Sezioni Unite in base alla quale la declaratoria di improcedibilità del ricorso deve essere effettuata con priorità anche con riguardo all'inammissibilità del medesimo, poiché l'improcedibilità non consente alcun esame ulteriore del ricorso stesso, argomento ripreso dalla decisione 20 gennaio 2006 n. 1104. Ne conseguirebbe, che, "se l'improcedibilità non consente alcun ulteriore esame del ricorso, precludendo anche una eventuale pronuncia di inammissibilità, è davvero difficile negare che essa - comportando una situazione che, in modo più radicale, esclude la possibilità di valutare l'impugnazione principale persino sotto il profilo dell'ammissibilità - non determini l'inefficacia dell'impugnazione incidentale tardiva secondo la ratio della regola espressa dall'art. 334 cod. proc. civ.".

Ritiene il collegio che se il problema dovesse risolversi sulla base di una possibile applicazione analogica dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. anche alla improcedibilità del ricorso principale, la risposta non potrebbe che essere negativa.

Occorre, in proposito, partire dalla considerazione che il ricorso alla interpretazione analogica non è consentito ogni volta in cui una fattispecie astratta non sia in concreto espressamente disciplinata; ai fini di tale ricorso è necessaria la individuazione di una lacuna nell'ordinamento, cioè una incompletezza dello stesso contrastante col disegno generale, da colmare sulla base di quanto disposto da norme specifiche (analogia legis) o desumibile dai principi (analogia iuris).

Ove tale presupposto non sussista, ai fini della esclusione del ricorso all'analogia è sufficiente il cd. ragionamento a contrario.

Ciò sarebbe sufficiente ai fini della esclusione della applicabilità dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. nel caso di improcedibilità del ricorso principale, dal momento che tale disposizione fa riferimento espresso solo alla inammissibilità del ricorso principale, nulla disponendo per quanto riguarda la improcedibilità.

E' evidente che, in tale prospettiva, diventa irrilevante la uniformità tra acquiescenza e inammissibilità affermata dalle sentenze 28 luglio 1986, n. 4818, 29 maggio 1997, n. 4760, 5 luglio 2004, n. 12249 (a prescindere dalla considerazione che la prima è ricollegata ad un comportamento della parte precedente l'impugnazione e risponde al principio secondo il quale nemo potest venire contra factum proprium e la seconda è ricollegata ad un vizio nell'esercizio del potere di impugnazione).

Ugualmente irrilevante diventa la natura eccezionale o meno dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., in quanto, come già detto, la natura non eccezionale di una norma non è sufficiente a giustificarne l'applicazione in via analogia a fattispecie non espressamente disciplinate.

Né può essere utile la sentenza 5 luglio 1991, n. 7431, in base alla quale la declaratoria di improcedibilità del ricorso deve essere effettuata con priorità anche con riguardo all'inammissibilità del medesimo, poiché l'improcedibilità non consente alcun esame ulteriore del ricorso stesso (argomento ripreso dalla sentenza 20 gennaio 2006 n. 1104), in quanto non risolve il problema della sorte della impugnazione incidentale tardiva nel caso di dichiarazione di improcedibilità della impugnazione principale.

L'esclusione della possibilità di una applicazione analogica dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. all'ipotesi di improcedibilità del ricorso principale, non significa, però, che la inefficacia del ricorso incidentale tardivo non possa essere desunta sulla base di una interpretazione logico-sistematica.

Occorre, in proposito, partire dalla considerazione che la ratio della previsione della impugnazione incidentale tardiva consiste nel rimettere in termini, a seguito della impugnazione proposta dalla controparte, la parte che, pur non essendo stata totalmente vittoriosa, si considera comunque soddisfatta dall'esito del giudizio e ha lasciato, di conseguenza, decorrere i termini di cui agli art. 325 e 327 cod. proc. civ., e che si troverebbe esposta al rischio del passaggio in giudicato dei capi della sentenza a lei sfavorevoli e dell'accoglimento della impugnazione per quanto riguarda i capi ai lei favorevoli.

Ove tale rischio venga successivamente meno, perché il ricorso principale non può essere esaminato, viene meno anche l'interesse al ricorso incidentale tardivo, essendo illogico ritenere che una impugnazione (tra l'altro anomala) possa trovare tutela nell'ordinamento in caso di mancanza sopravvenuta del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità, non potendosi condividere, perché contraria alla ratio sopra esposta, l'affermazione della sentenza 22 settembre 1978, n. 4269, secondo la quale "all'impugnazione incidentale tardiva non è assegnata una mera funzione riequilibratrice, ma una forza espansiva illimitata, cioè un potere processuale autonomo e, come tale, non condizionato nel suo esercizio dalla condotta processuale del primo impugnante".

Per le stesse considerazioni non si può condividere l'affermazione della sentenza 9 dicembre 1989, n. 5455, secondo la quale, poiché l'improcedibilità si collega all'inattività, il ricorrente principale potrebbe decidere - dando o facendo mancare il proprio impulso processuale - se gli convenga o meno consentire al giudice di pronunciarsi sulla propria ma, di conseguenza, anche sull'altrui impugnazione, A parte il fatto che adducere incumveniens non est solvere argumentum, il ricorrente incidentale tardivo non avrebbe motivo di dolersi del mancato esame della propria impugnazione, dipendente dal comportamento del ricorrente in via principale, dal momento che verrebbe comunque assicurato il passaggio in giudicato della sentenza delle cui statuizioni non aveva inizialmente avuto motivo di dolersi.

Alla luce di tali considerazioni, la disposizione di cui all'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. non solo non è eccezionale (come intuito dalla sentenza 21 aprile 2006, n. 9452), ma è superflua, nel senso che la "inefficacia" del ricorso incidentale tardivo, nel caso di inammissibilità del ricorso principale, sarebbe stata comunque desumibile dal sistema.

Ne consegue ulteriormente che l'affermazione secondo la quale la "inefficacia" (intesa nel senso di inammissibilità sopravvenuta per difetto di interesse) del ricorso incidentale tardivo nel caso di improcedibilità del ricorso principale costituisce non l'applicazione analogica di una norma eccezionale, ma l'effetto di una interpretazione logico-sistematica.

Applicando tale principio ne consegue che nella specie va dichiarato improcedibile il ricorso principale e va dichiarato inefficace il ricorso incidentale.

In considerazione del contrasto giurisprudenziale con riferimento al quale la causa è stata rimessa alle Sezioni unite, ritiene il collegio di compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte, riuniti i ricorsi, dichiara improcedibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale; compensa le spese.