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Intervento cred. proc es

I CREDITORI LEGITTIMATI ALL’INTERVENTO NEL PROCESSO ESECUTIVO:

I PROFILI PROBLEMATICI DELLE RECENTI NOVITÀ LEGISLATIVE

Il succedersi delle Leggi 14 maggio 2005, n. 80, 28 dicembre 2005, n. 263 e 24 febbraio 2006 n. 52 ha ridisegnato la disciplina dell’intervento dei creditori, sia per quanto concerne l’individuazione dei creditori legittimati all’intervento, sia per quanto concerne la procedura per espletarlo. La nuova normativa che ne è risultata presenta una serie di profili problematici che pongono dubbi di legittimità costituzionale.

a cura di Elena Occhipinti∗

LA QUESTIONE

E’ costituzionalmente legittima la norma che limita l’intervento nell’esecuzione ai soli creditori che si possano avvalere di un credito fondato su un titolo esecutivo, ai creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri, ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.?

INTRODUZIONE

Le Riforme degli anni 2005 e 2006 hanno profondamente inciso sul processo esecutivo, modificandolo sotto molteplici profili e, in particolare, rivedendo la disciplina dell’intervento dei creditori sia dal punto di vista dei soggetti legittimati all’intervento, sia dal punto di vista della procedura che essi dovranno praticare. Infatti, mentre fino alle recenti novità legislative, tutti i creditori, ancorché non privilegiati, potevano intervenire nel processo esecutivo, oggi detta facoltà è riconosciuta soltanto ai creditori che, nei confronti del debitore, si possano avvalere di un credito fondato su un titolo esecutivo nonché ai creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri, ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.

Si tratta di una scelta che denota la precisa volontà legislativa di conferire maggiore fluidità al processo esecutivo che non potrà più essere interrotto da parentesi cognitive volte all’accertamento dell’esistenza o dell’ammontare del credito fatto valere.

La soluzione offerta dal nuovo art. 499 c.p.c. pone, tuttavia, una serie di questioni in ordine alla corretta individuazione dei soggetti legittimati all’intervento, e di quelli che appaiono – più o meno giustificatamente – esclusi.

Analizziamo di seguito le singole figure di creditori legittimati all’intervento.

LE NORME

Codice di procedura civile

Art. 498 – Avviso ai creditori iscritti

Art. 499 – Intervento

Art. 500 – Effetti dell’intervento

Art. 510 – Distribuzione della somma ricavata

Art. 512 – Risoluzione delle controversie

LA FATTISPECIE

1. L’avviso ai creditori iscritti

La vendita forzata determina il cd. effetto “purgativo”, cioè estintivo di tutti i diritti di prelazione gravanti sul bene in liquidazione; per tale ragione il legislatore ha prescritto all’art. 498 c.p.c. che il creditore pignorante si oneri di avvertire dell’espropriazione i creditori che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante da pubblici registri. Pertanto, non tutti i creditori muniti di una ragione di prelazione possono vantare il diritto all’avviso, in quanto la disposizione lo attribuisce soltanto a coloro il cui diritto di prelazione risulti da pubblici registri, come avviene per i titolari di un’ipoteca immobiliare o automobilistica, per i creditori che vantano un privilegio iscritto o trascritto, e per i titolari di un diritto di servitù, uso, usufrutto e abitazione costituiti dopo l’iscrizione dell’ipoteca (art. 2812, comma secondo, c.c.).

L’art. 158 disp. att. c.p.c. prevede altresì che, quando dall’atto di pignoramento o dai pubblici registri risulta l’esistenza di un sequestro conservativo sui beni pignorati, il creditore pignorante deve far notificare al sequestrante l’avviso del pignoramento a norma dell’art. 498 c.p.c. Se il sequestro conservativo ha ad oggetto un credito pignorato, il terzo deve rilasciare la dichiarazione di cui al comma secondo dell’art. 547 c.c. e il creditore pignorante deve chiamare nel processo il sequestrante nel termine stabilito dal giudice (art. 547, comma terzo, c.p.c.).

La limitazione dei soggetti destinatari dell’avviso soltanto in coloro che posseggono una prelazione risultante da pubblici registri mira a sollevare il creditore procedente dal gravoso onere di ricercare i creditori prelazionari dei quali non consti alcuna pubblicità .

Nonostante il secondo comma dell’art. 498 c.p.c. preveda che la notifica dell’avviso debba essere effettuata entro cinque giorni dal pignoramento, detto termine non è perentorio: il suo mancato rispetto comporta l’impossibilità per il giudice dell’esecuzione di provvedere sull’istanza di assegnazione o di vendita (terzo comma), e qualora egli vi provveda ugualmente, il debitore potrà esperire il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c. .

Il creditore procedente, che ometta di notificare l’avviso, risponde ai sensi dell’art. 2043 c.c. .

In caso d’inerzia del creditore pignorante, l’avviso può comunque essere notificato da qualsiasi creditore intervenuto munito di titolo.

L’avviso deve contenere l’indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate.

2. I creditori muniti di titolo esecutivo

Hanno piena legittimazione ad intervenire nel processo esecutivo i creditori muniti di titolo esecutivo.

Nonostante sia stato abrogato il comma primo dell’art. 525 c.p.c. e l’art. 563 c.p.c., ove era prescritta la certezza, la liquidità e l’esigibilità del credito per il quale si procedeva, oggi dette condizioni risultano in ogni caso consacrate all’art. 474 c.p.c., secondo cui “l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile” .

Ai sensi del comma secondo dell’art. 499 c.p.c. il ricorso per intervenire nel processo esecutivo deve, innanzitutto, contenere “l’indicazione del credito e quella del titolo di esso”.

Prima dei recenti interventi riformatori, tra gli interpreti si erano formati due indirizzi: secondo la giurisprudenza maggioritaria, con l’espressione “titolo del credito” il legislatore avrebbe inteso condizionare l’intervento del creditore alla produzione di una prova scritta del credito ; ad avviso della dottrina e della più recente giurisprudenza , invece, la domanda d’intervento sarebbe risultata proponibile anche in mancanza della suddetta prova scritta, attraverso la mera affermazione del credito da parte di creditori che intendessero intervenire .

Gli esiti tratti da queste due opposte tesi apparivano del tutto divergenti. Se, infatti, si aderiva all’indirizzo giurisprudenziale, occorreva concludere che non sarebbero potuti intervenire tutti quei creditori che non avessero avuto la prova scritta del loro credito, comportando un’ingiustificata discriminazione, resa ancora più grave dalla difficoltà a far accertare giudizialmente l’esistenza del loro credito prima che il processo esecutivo fosse giunto al termine, con palese violazione del principio della par condicio creditorum.

Diversamente, seguendo l’impostazione della dottrina, che ritiene sufficiente la semplice affermazione del credito da parte del creditore che voleva prender parte all’esecuzione, risultava pienamente rispettato il disposto dell’art. 2741 c.c., mantenendosi in ogni caso ferma la facoltà di procedere ad un accertamento incidentale della sussistenza del credito a norma dell’art. 512 c.p.c.

La soluzione che oggi appare preferibile è quella che ammette la prova documentale del titolo esecutivo; perdurano, tuttavia, incertezze sull’interpretazione del testo della norma, atteso che il legislatore ha prescritto la produzione documentale espressamente per le sole scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c., sicché per le altre ipotesi si potrebbe anche fare a meno di detta produzione ai fini di un valido intervento: «è infatti evidente che la “verifica” dei crediti non potrà riguardare gli intervenuti in possesso di titolo, che potrebbero così limitarsi ad indicare la causa del loro credito (il “titolo”) riservandosi di produrre il documento in un momento successivo» .

3. I creditori sine titulo

Pur privi di un titolo esecutivo, possono intervenie nel processo esecutivo anche i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri, ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.

I creditori sine titulo legittimati all’intervento, oltre a dover depositare – analogamente ai creditori muniti di titolo esecutivo - un ricorso contenente l’indicazione del credito e del suo titolo, la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente, devono altresì notificare, entro i dieci giorni successivi al deposito, una copia del ricorso al debitore, e una copia dell’estratto autentico notarile attestante il credito se l’intervento nell’esecuzione ha luogo in forza di essa (art. 499, comma terzo, c.p.c.).

3.1. I creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati

Il legislatore del 2005, in continuità con quanto previsto al comma secondo dell’art. 686 c.p.c., ha dunque accordato la facoltà d’intervenire anche ai creditori che, al momento dell’intervento, abbiano eseguito un sequestro sui beni pignorati. Detta previsione condiziona, tuttavia, la partecipazione del creditore sequestrante alla circostanza che l’esecuzione del sequestro sul bene pignorato sia avvenuta prima dell’inizio del pignoramento, attuando in tal modo una disciplina sospetta di illegittimità costituzionale attesa l’ingiustificata disparità di trattamento tra questi creditori e gli altri, sine titulo, contemplati al comma primo dell’art. 499 c.p.c., per i quali non è imposta alcuna limitazione temporale .

3.2. I creditori che vantano un pegno, un’ipoteca o un diritto di prelazione risultante da un pubblico registro.

Possono intervenire – a prescindere dal possesso del titolo esecutivo – anche i creditori che vantano un pegno, un’ipoteca o un diritto di prelazione risultante da un pubblico registro. La dottrina ha espresso la propria perplessità in ordine alla legittimità costituzionale dell’esclusione dei creditori privilegiati non iscritti dal novero dei creditori legittimati all’intervento : è stato, in particolare, sollevato con preoccupazione il rilievo che i prestatori di lavoro subordinato, ai quali – secondo la legge sostanziale - è riconosciuto privilegio generale sui crediti indicati all’art. 2751-bis c.c. che, quindi, permette loro di essere soddisfatti prima degli altri creditori, di fatto non siano processualmente legittimati ad intervenire nel processo esecutivo. Il lavoratore che vanti un credito relativo a retribuzioni non percepite dal proprio datore di lavoro potrà intervenire nel processo esecutivo instaurato da altri creditori contro quest’ultimo solo dopo essersi munito di un titolo esecutivo, con il rischio che, nel tempo occorrente per ottenerlo, i beni del debitore siano esauriti a favore dei creditori legittimati ai sensi della nuova disciplina dettata all’art. 499 c.p.c. E’ evidente l’ingiustificato scarto che in tal modo si crea tra diritto sostanziale e diritto processuale; “la scelta del legislatore della riforma tradisce il principio della par condicio, il quale non è un optional rimesso alle scelte del legislatore ordinario, ma costituisce l’attuazione di un ben preciso principio costituzionale: quello in virtù del quale il processo deve essere strumento di attuazione, e non di distorsione del diritto sostanziale” .

3.3. I creditori titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.

Poiché a seguito della riforma possono intervenire anche i creditori titolari di un credito di somma di denaro che risulti dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c., la dottrina ne ha evidenziato il contrasto con i principi costituzionali in quanto detta previsione creerebbe un trattamento ingiustificatamente differenziato tra i creditori che siano detentori delle suddette scritture contabili e i creditori che non lo siano, ma che possano comunque ostentare delle scritture private che, seppur non autenticate, sono in ogni caso munite della stessa efficacia probatoria dei quelle ex art. 2214 c.c.

Per i creditori titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili il comma secondo dell’art. 499 c.p.c. richiede, quale ulteriore adempimento, l’allegazione, a pena d’inammissibilità, dell’estratto autentico notarile relativo alle menzionate scritture contabili ex art. 2214 c.c. .

3.4. L’udienza di comparizione e il procedimento di riconoscimento

Con l’ordinanza con cui è disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli articoli 530, 552 e 569 il giudice fissa altresì udienza di comparizione davanti a sé del debitore e dei creditori privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a cura di una delle parti. Tra la data dell’ordinanza e quella fissata per l’udienza non possono decorrere più di sessanta giorni.

L’udienza di comparizione costituisce un’importante opportunità per i creditori sine titolo, i quali parteciperanno alla distribuzione del ricavato con modalità diverse a seconda che il debitore, in tale sede, indichi, o meno, i crediti che intenda riconoscere in tutto o in parte, specificando in quest’ultimo caso la relativa misura.

Potranno dunque realizzarsi le seguenti situazioni dipendenti dal comportamento del debitore.

Se il debitore riconosce i crediti totalmente o parzialmente, i creditori intervenuti senza titolo esecutivo concorreranno alla distribuzione del ricavato per l’intero, ovvero limitatamente alla parte del credito per la quale vi sia stato un riconoscimento parziale.

Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti per i quali hanno avuto luogo interventi senza titolo esecutivo.

Sia nel caso in cui il riconoscimento sia direttamente effettuato dal debitore, sia nel caso in cui esso operi ex lege a causa della mancata comparizione del debitore, il riconoscimento rileva ai soli fini dell’esecuzione, con efficacia dunque meramente endo-processuale.

Se, invece, il debitore compare, ma disconosce espressamente i crediti, i creditori intervenuti senza titolo esecutivo hanno diritto – ai sensi del comma terzo dell’art. 510 c.p.c. – all’accantonamento delle somme che spetterebbero loro, sempre che ne facciano istanza e che dimostrino di avere proposto, nei trenta giorni successivi all’udienza di comparizione, l’azione necessaria affinché essi possano munirsi di titolo esecutivo . E’ stata oggetto di critica la riconosciuta discrezionalità del debitore nell’individuare i crediti che intenda soddisfare sollecitamente e quelli che invece preferisca rimandare all’esito del sub-procedimento conseguente all’accantonamento .

LA GIURISPRUDENZA

Questioni processuali

La giurisprudenza ha recentemente rilevato che, nel processo esecutivo, come disciplinato prima della novella di cui al d.l. n. 35 del 2005, conv. con modificazioni con l. n. 80 del 2005, per intervenire non occorreva che il credito risultasse da titolo esecutivo, ma era sufficiente che lo stesso fosse liquido, certo ed esigibile (salva la speciale previsione per l'espropriazione immobiliare, in cui era consentito l’intervento per un credito sottoposto a termine o condizione); qualora il giudice non esaminasse d’ufficio tali requisiti, né il debitore od alcuno dei creditori ne contestasse la mancanza, proponendo opposizione agli atti esecutivi, la preclusione nel prosieguo del procedimento per la questione dell'ammissibilità dell’intervento, non si estendeva alla questione sostanziale dell'esistenza e dell'ammontare del credito, che era proponibile nella fase di distribuzione del ricavato ex art. 512 c.p.c. Tale conclusione era confermata dalla giurisprudenza della stessa Suprema Corte secondo cui la mancata opposizione, in modo rituale ex art. 617 c.p.c., da parte dei creditori o del debitore all'intervento nel processo esecutivo di altro creditore preclude soltanto la questione relativa al profilo formale di ammissibilità dell'intervento medesimo, ma non si estende alle questioni di merito relative alla sussistenza o all'ammontare di uno o più crediti ovvero alla sussistenza di diritti di prelazione, tutte proponibili in fase di approvazione del progetto di distribuzione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 512 c.p.c. .

Anche dopo le recenti riforme il rapporto tra le controversie distributive e quelle ex art. 617 c.p.c., in linea di principio, non dovrebbe porsi un’eventuale concorrenza tra le due impugnazioni: mentre l’opposizione agli atti esecutivi ha come oggetto il controllo della regolarità formale e, tutt’al più, secondo un altro indirizzo interpretativo , anche dell’opportunità di ogni singolo atto esecutivo, l’impugnativa di cui all’art. 512 c.p.c. riguarda questioni di “merito”, afferenti al diritto di partecipare alla distribuzione del ricavato.

Ancora oggi controverso appare, invece, il rapporto tra le impugnazioni degli artt. 512 e 615 c.p.c., le quali, per l’oggetto che le contraddistingue, presentano dei possibili motivi di frizione: può, infatti, accadere che una medesima controversia possa essere risolta ricorrendo sia all’uno che all’altro rimedio processuale. In realtà, come autorevole dottrina ha evidenziato , la sovrapposizione tra i due istituti può realizzarsi soltanto parzialmente: il rimedio di cui all’art. 512 c.p.c., infatti, presenta un ambito applicativo senz’altro più ampio, riguardando o la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti, oppure la sussistenza di un diritto di prelazione: si tratta, in generale, di problemi che coinvolgono il diritto di partecipare alla distribuzione del ricavato. L’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c., invece, riguarda esclusivamente il diritto di procedere all’esecuzione forzata.

Una sovrapposizione, pertanto, si potrà avere soltanto se la lite verte sulla sussistenza del diritto del creditore procedente, rientrando, invece, sotto l’alveo dell’art. 512 c.p.c. le altre controversie che coinvolgono l’ammontare del credito e l’esistenza delle ragioni di prelazione.

Sono in ogni caso differenti i risultati cui mirano gli artt. 512 e 615 c.p.c.: il primo è finalizzato ad escludere un creditore dalla distribuzione del ricavato; il secondo, invece, ha conseguenze ben più radicali, comportando, nel caso in cui l’opposizione venga accolta dal giudice, la caducazione dell’intero processo esecutivo .

INTERVENTO DEI CREDITORI

Cass. Civ., sez. trib.,12 maggio 2008, n. 11794, in Giust. civ. Mass., 2008, 5.

Nell'espropriazione forzata il ricorso per intervento (nella specie spiegato dall'Agenzia delle entrate) costituisce una domanda proposta nel corso del giudizio, secondo l'espressione contenuta nell'art. 2943 comma 2 c.c., sicché dal momento in cui esso viene presentato a quello in cui il processo esecutivo si chiude con l'approvazione del progetto di distribuzione del ricavato che provvede sulla domanda formulata con l’intervento stesso, la prescrizione non decorre, come previsto dall'art. 2945 c.c.

Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2008, n. 6885, Giust. civ. Mass., 2008, 3, e Giust. civ., 2008, 5, 1146.

Nel processo esecutivo, come disciplinato prima della novella di cui al d.l. n. 35 del 2005, conv. con modificazioni con l. n. 80 del 2005, per intervenire non occorre che il credito risulti da titolo esecutivo, ma è sufficiente che lo stesso sia liquido, certo ed esigibile (salva la speciale previsione per l'espropriazione immobiliare, in cui è consentito l’intervento per credito sottoposto a termine o condizione). Qualora il giudice non esamini di ufficio tali requisiti, né il debitore od alcuno dei creditori ne contesti la mancanza, proponendo opposizione agli atti esecutivi, la preclusione nel prosieguo del procedimento per la questione dell'ammissibilità dell’intervento, non si estende alla questione sostanziale dell'esistenza e dell'ammontare del credito, che è proponibile nella fase di distribuzione del ricavato ex art. 512 c.p.c.

L’AVVISO AI CREDITORI ISCRITTI

Cassazione civile sez. III, 23 febbraio 2006, n. 4000, in Giust. civ. Mass. 2006, 2.

L'art. 498 c.p.c. che prescrive di avvertire dell'espropriazione in corso tutti i creditori aventi sui beni pignorati diritti di prelazione risultanti dai pubblici registri e che, in difetto di tale adempimento, vieta al giudice dell'esecuzione di procedere all'assegnazione o alla vendita, non contiene alcuna sanzione di nullità insanabile per il caso in cui l'assegnazione o la vendita avvengano egualmente senza avviso, ma comporta che il creditore procedente è tenuto a rispondere, a norma dell'art. 2043 c.c., delle conseguenze dannose subite dai creditori iscritti a seguito del provvedimento di vendita o di assegnazione emesso illegittimamente, giacché la mancata notifica dell'avviso, costituendo violazione di un obbligo imposto da una norma giuridica, concreta un'ipotesi di fatto illecito extracontrattuale.

CREDITORI TITOLATI E PROVA DOCUMENTALE DEL TITOLO

Cass. civ., sez. III, 21 aprile 2000, n. 5266

Nell'esecuzione forzata, l'esistenza e il carattere documentale del titolo esecutivo non sono condizioni dell'intervento dei creditori, essendo sufficiente la preesistenza e l'allegazione di una ragione di credito e potendo farsi luogo al deposito del titolo esecutivo successivamente fino alla fase della distribuzione del ricavato, salvo che non ne sorga la necessità di un momento anteriore; pertanto, poiché, ai fini dell'estinzione, la rinuncia agli atti del processo esecutivo, prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, deve essere compiuta dal creditore procedente e da quelli intervenuti muniti di titolo, è in questo momento che i creditori, che vogliano proseguire il processo esecutivo in luogo di quello che l'ha promosso, devono depositare il titolo esecutivo. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto l'istanza di estinzione per rinuncia del creditore pignorante, avendo uno degli intervenuti depositato il titolo esecutivo relativo al credito per cui vi era stato intervento, ritenendo irrilevante sia il mancato deposito del titolo esecutivo sia la mancata enunciazione dello stesso con e nell'atto di intervento).

Cass. 30 gennaio 1985, n. 567.

Al fine dell’ammissibilità dell’intervento nel processo esecutivo per espropriazione forzata mobiliare, è necessario un titolo da cui risulti con obiettività e immediatezza l’esistenza di un credito che abbia i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità, dovendo il giudice della esecuzione essere messo in grado di rilevare subito, di ufficio, sin dal momento in cui avviene l’intervento, l’esistenza delle condizioni richieste per l’ammissibilità di esso. Ne consegue che deve ritenersi titolo non idoneo per il suddetto intervento la nota delle spese, competenze ed onorari redatta da un avvocato per prestazioni professionali eseguite in favore del proprio cliente e corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine circa la congruità delle singole voci della parcella in relazione alla tariffa, in quanto detta nota non fornisce la prova dell’esistenza e, quindi, della certezza del credito dedotto con l’atto di intervento, costituendo essa una mera dichiarazione unilaterale del legale relativa alla esistenza del contratto d’opera professionale concluso con il cliente, all’avvenuta esecuzione della prestazione professionale e alla entità delle spese.

Cass., 19 luglio 2005 n. 15219

Ai fini dell'intervento nel processo esecutivo e della partecipazione alla distribuzione della somma ricavata, è sufficiente la titolarità di un credito liquido, cioè determinato nel suo ammontare, esigibile, ossia non soggetto a termine o condizione, e certo, nel senso generico di individuato in tutti i suoi elementi; non è invece necessario il possesso di un titolo esecutivo, di cui il creditore ha bisogno soltanto per poter compiere atti di impulso, e che può quindi acquisire anche in un momento successivo all'intervento, purché prima del compimento dell'atto di impulso.

L’INTERVENTO DEI CREDITORI SEQUESTRANTI

Cass. civ., sez. III, 8 settembre 1970, n. 1348

Poiché la illiquidità del credito non può conciliarsi con le finalità dell'esecuzione forzata, nessuna rilevanza, ai fini della partecipazione al processo esecutivo, può riconoscersi al fatto che il creditore per un credito illiquido si trovi ad avere eseguito sul medesimo bene sequestro conservativo. La misura cautelare, invero, è intesa unicamente a sottrarre il bene alla disponibilità del debitore, onde né può svolgere anche una concomitante funzione nell'eventuale conflitto fra creditori, né può conferite al credito gli estremi di certezza e liquidità di cui difetta o, comunque, produrre effetti che rispetto a tali requisiti abbiano natura vicaria nei fini dell'attuazione della funzione propria dell'espropriazione mobiliare od immobiliare. Soltanto la conversione del sequestro in pignoramento legittima l'intervento del sequestrante nell'espropriazione promossa da altri.

Successivamente la giurisprudenza ha mutato orientamento.

Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1977, n. 2733, in Giust. civ. 1977, 1490.

La trascrizione del sequestro - pignoramento di autoveicoli - che, pur non essendo menzionata dall'art. 7 del r.d.l. 15 marzo 1927 n. 436, deve essere eseguita a norma degli artt. 2693 e 2694 c.c. - ha anch'essa, come la trascrizione del pignoramento immobiliare, una duplice funzione: la funzione di pubblica notizia diretta ai creditori del debitore esecutato, sì da rendere possibile a costoro la conoscenza dell'eseguito sequestro - pignoramento e, quindi, il loro intervento nel processo esecutivo al fine di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita coatta; la funzione, poi, di rendere inefficaci, nei confronti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell'esecuzione, gli atti traslativi e costitutivi di diritti sull'autoveicolo pignorato che siano compiuti dal debitore in favore di terzi dopo la trascrizione. Nel pignoramento di beni immobili, o di beni mobili iscritti in pubblici registri, la funzione della trascrizione del pignoramento di rendere inefficaci, nei confronti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell'esecuzione, gli atti traslativi o costitutivi di diritti sui beni pignorati successivamente alla trascrizione medesima si esplica solo rispetto agli atti negoziali compiuti dal debitore esecutato in favore di terzi, ed è limitata in questo ambito. Quella funzione non sussiste - e perciò l'inefficacia non si verifica - quando il trasferimento o la costituzione di diritti sono effetto di atti di imperio trascritti, si tratti di atti amministrativi o di provvedimenti giudiziari, anche se viziati. Pertanto, nell'ipotesi in cui, coesistendo due pignoramenti su uno stesso bene immobile o mobile registrato, il primo pignoramento sia stato trascritto, mentre non lo sia stato il secondo, i due processi esecutivi si svolgono separatamente e la vendita del bene pignorato nel primo processo, una volta trascritta, è efficace nei confronti del creditore secondo pignorante e dei creditori intervenuti nell'altro processo esecutivo, che non può continuare a svolgersi per essere venuto a mancare l'oggetto dell'espropriazione. Tali soggetti possono solo proporre tempestiva opposizione ex art. 617 c.p.c., contro l'ordinanza di vendita nulla a causa della mancata trascrizione del pignoramento, che ha loro impedito di acquistare la posizione di creditori intervenuti nel primo processo esecutivo, ma, anche in tal caso, la nullità dell'ordinanza che l'art. 2929 c.c., riguardo all'acquirente, salvo il caso di collusione di costui con il creditore procedente.

Cass., 29 aprile 2006, n. 10029.

La conversione del sequestro conservativo in pignoramento si opera «ipso iure» nel momento in cui il sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva, iniziando in quello stesso momento il processo esecutivo, di cui il sequestro stesso, una volta convertitosi in pignoramento, costituisce il primo atto, mentre l'attività imposta al sequestrante dall'art. 156 delle disposizioni di attuazione al cod. proc. civ., da eseguirsi nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di condanna esecutiva, è attività di impulso processuale che il sequestrante, divenuto creditore pignorante, ha l'onere di compiere nel detto termine perentorio e la cui mancanza comporta l'inefficacia del pignoramento. In tal caso l'estinzione del processo esecutivo deve esser fatta valere dalla parte proponendo al giudice dell'esecuzione la relativa eccezione, con la conseguenza che essendo tale istanza di parte un atto giudiziario che introduce una specifica fase incidentale del processo, si applicano le norme sul patrocinio (art 83 comma terzo cod. proc. civ.), restando giuridicamente inesistente l'istanza presentata dal sequestrato personalmente, in quanto proveniente da soggetto privo dello «jus postulandi».

QUESTIONI PROCESSUALI

Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 1987, n. 714

La questione relativa all'ammissibilità dell'intervento di un creditore nel processo esecutivo può essere sollevata attraverso un'opposizione agli atti esecutivi, la cui decisione, non incidendo sul merito della pretesa fatta valere dall'intervento, viene emessa dal giudice dell'esecuzione con una pronuncia che ha un'efficacia limitata al provvedimento stesso, nel duplice senso della riproponibilità della domanda d'intervento se maturino in seguito le condizioni della sua ammissibilità e, rispettivamente, della successiva autonoma proponibilità, in sede di distribuzione della somma ricavata, di ogni eventuale questione inerente all'esistenza ed all'ammontare del credito e dei diritti di prelazione, secondo la previsione dell'art. 512 cod. proc. civ.

Cass., 2 novembre 1993, n. 10818

Le controversie in sede di distribuzione della somma ricavata dalla espropriazione forzata tra i creditori concorrenti o tra i creditori ed il debitore o il terzo assoggettato alla espropriazione sono circoscritte alla fondatezza ed ai limiti della pretesa fatta valere con il precetto o con l’atto di intervento nel loro oggettivo contenuto e nella interpretazione che ne dia una delle parti, e si differenziano, perciò, sia dalla opposizione alla esecuzione sia dalla opposizione agli atti esecutivi.

Cass. civ., sez. un., 5 febbraio 1997, n. 1082

Proposto da un creditore l’intervento nel procedimento di espropriazione forzata, qualora né il giudice abbia esaminato di ufficio l'ammissibilità dell'intervento con riferimento ai requisiti della certezza, esigibilità o liquidità del credito, né il debitore, o alcuno dei creditori, abbia proposto opposizione ex art. 617 c.p.c., al fine di far valere il difetto di tali requisiti, la relativa questione resta bensì preclusa nel prosieguo del procedimento, ivi compresa la fase di distribuzione del ricavato, ma la preclusione resta limitata al profilo formale dell'ammissibilità, senza estendersi alla questione sostanziale dell'esistenza e dell'ammontare del credito, la quale è utilmente proponibile in tale fase, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 512 c.p.c., tenendo però conto che la controversia insorta in sede di distribuzione della somma ricavata tra creditori concorrenti ha ad oggetto soltanto la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti ovvero la sussistenza di diritti di prelazione, per cui - in mancanza di opposizione all'esecuzione - non rileva l'eventuale illegittimità del pignoramento e dell'esecuzione forzata. (Nella specie - in cui, promossa, con pignoramento presso terzo, l'esecuzione forzata per il realizzo di un credito da prestazione professionale, credito rimasto inadempiuto soltanto per il residuo pari alla ritenuta fiscale d'acconto, calcolata sulla sorte e già versata all'Erario dal medesimo terzo debitore al momento dell'assegnazione del credito stesso, l'Amministrazione finanziaria era comunque intervenuta per chiedere l'assegnazione delle somme pignorate - la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto insussistente il diritto di credito dell'Amministrazione stessa, già soddisfatta dal terzo debitore, senza che, in mancanza di opposizione all'esecuzione, rilevasse la legittimità, o meno, della ritenuta operata da quest'ultimo e quindi del pignoramento del credito per l'importo corrispondente ad essa).

LA DOTTRINA

La dottrina ha sollevato dubbi in merito alla costituzionalità della normativa esaminata subito all’indomani della riforma. Indichiamo di seguito i contributi più significativi.

BARLETTA, Questioni sul nuovo titolo esecutivo, in www.judicium.it.

BARRECA, L’intervento dei creditori e il piano di riparto nelle procedure esecutive immobiliari riformate, in Riv. es. forz., 2007, 35 e ss.

CANALE, Intervento, in Le recenti riforme del processo civile, a cura di CHIARLONI, Bologna, 2007, 716.

CAPPONI, L’intervento dei creditori dopo le tre riforme della XIV Legislatura (della competitività alla Kessler, passando per gli interventi correttivi: leggi 14-5-2005, n. 80; 28-12-2005, n. 263; 24-2-2006, n. 52, in Riv. esec. forz., 2006, 35.

CAPPONI, “Note a prima lettura del cd. decreto competitività in relazione a taluni aspetti concernenti l’esecuzione forzata”, in www.judicium.it.

CAPPONI, Par condicio e intervento dei creditori, in Riv. esec. forz., 2005, 254 e ss.

CARPI, “Alcune osservazioni sulla riforma dell'esecuzione per espropriazione forzata”, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2006, 215.

CONTE, La riforma delle opposizioni e dell’intervento nelle procedure esecutive con requiem per il sequestro conservativo, in Giur. it., 2006, 2233.

CONTE, Osservazioni a prima lettura sull’art. 499 c.p.c. novellato e profili di costituzionalità dei limiti all’intervento del creditore pignorante, in Giur. it., 2005, 1783 e ss.

D’AQUINO, L’intervento dei creditori, in Riv. es. forz., 2006, 773 e ss.

FABIANI, Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla l. n. 80 del 2005. Intervento dei creditori, in Foro it., 2005, V, 122.

LUISO, Diritto processuale civile. III Il processo esecutivo, Milano, 2007, 114 e ss.

MICCOLIS, Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla l. n. 80 del 2005. Pignoramento, ricerca dei beni da pignorare, estensione del pignoramento, in Foro it., 2005, V, 111.

OCCHIPINTI, L’intervento e il concorso dei creditori nel processo esecutivo, in Il nuovo processo di esecuzione, a cura di CECCHELLA, Milano, 2006, 67 e ss.

ORIANI, Le modifiche al codice di procedura previste dalla l. n. 80 del 2005. Titolo esecutivo, opposizione, sospensione dell’esecuzione, in Foro it., 2005, V, 104.

PICARDI, Codice di procedura civile. Commento alle riforme del processo civile 2005-2006, Milano, 2006.

SALETTI, Le (ultime?) novità in tema di esecuzione forzata, in Riv. dir. proc., 2006, 193.

LE CONCLUSIONI

Le recenti riforme legislative necessitano di alcuni chiarimenti e di alcuni correttivi a cui la giurisprudenza dovrà – suo malgrado - far fronte.

Con l’approvazione della legge n. 263 del 2005, l’istituto dell’intervento dei creditori è stato profondamente rinnovato sotto molteplici profili e con le segnalate ripercussioni sull’effettività dell’attuazione della par condicio creditorum.

Ha suscitato, innanzitutto, una certa perplessità l’omissione dall’elenco dei creditori legittimati all’intervento di coloro che siano titolari di un credito assistito da un privilegio. L’art. 2741 c.c., infatti, ammette, come unica possibile deroga alla parità di trattamento dei creditori concorrenti, il possesso di cause legittime di prelazione e, tra queste, al secondo comma, insieme al pegno e all’ipoteca, indica anche i privilegi. Il legislatore ha quindi operato un’ingiustificata discriminazione tra questi ultimi creditori e quelli muniti di pegno o di ipoteca, predisponendo una disciplina processuale che ingiustificatamente si discosta da quella sostanziale.

Analoghi dubbi ha suscitato anche l’ammissione all’intervento di coloro che siano titolari di un credito di somma di denaro che risulti dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c., e l’esclusione di quei creditori che possano comunque ostentare delle scritture private che, seppur non autenticate, sono in ogni caso munite della stessa efficacia probatoria di quelle ex art. 2214 c.c.

La dottrina ha altresì riflettuto sulla portata dell’inciso finale del secondo comma dell’art. 510 c.p.c., ove è previsto che “l’accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore”: l’effettiva soddisfazione del creditore intervenuto è subordinata, in assenza del riconoscimento di cui al sesto comma dell’at. 499 c.p.c., all’ottenimento di un titolo esecutivo. Si tratta di una previsione che incide significativamente sulla disciplina del concorso dei creditori nella fase distributiva del processo esecutivo: il titolo esecutivo rappresenta il requisito che legittima i creditori intervenuti a ricevere la somma ottenuta dalla vendita, e quindi mentre, da un lato, l’intervento è consentito ad un’ampia gamma di creditori, indicata dal nuovo primo comma dell’art. 499 c.p.c., dall’altro lato, la somma ricavata dalla vendita potrà essere effettivamente distribuita ai creditori intervenuti soltanto previo riconoscimento dei crediti da parte del debitore o, in mancanza, previo ottenimento di un apposito titolo esecutivo. La ratio di questa novità, probabilmente, è da rinvenirsi nel fatto che i creditori sequestranti, pignoratizi, ipotecari e titolari di un credito di somma di denaro, risultante da scritture contabili ex art. 2214 c.c., vantano dei crediti dotati di un’adeguata documentazione, che è ritenuta sufficiente per consentire l’intervento nel processo esecutivo; tuttavia, in mancanza del riconoscimento dei crediti da parte del debitore con le modalità di cui al sesto comma dell’art. 499 c.p.c., legittima il concorso all’effettiva distribuzione della somma ricavata soltanto il conseguimento del titolo esecutivo, che qualifica il credito come certo, liquido ed esigibile.

La dottrina ha puntualizzato che il principio della par condicio creditorum è suscettibile di essere applicato con tecniche differenti che “possono facilmente condurre a <> tra i creditori, che risulteranno tanto più accettabili quanto più esse rispondano a criteri oggettivi, giustificati da una razionalizzazione e semplificazione della tutela”. Pertanto, la tecnica dell’intervento non è lesiva del principio di pari trattamento, “qualora essa interessi creditori a parità di condizioni; forse lesiva della parità è la pretesa di assicurare identico trattamento a creditori che non siano in identica posizione, perché l’eguaglianza, che non è un valore astratto, va assicurata a soggetti in grado di esercitare un’azione d’identico contenuto, in cui presupposto della soddisfazione è il potere di far liquidare i beni del debitore che formano la comune garanzia delle sue obbligazioni” . Ecco che allora, se condivisibile appare la scelta di permettere l’intervento nel processo esecutivo a determinate categorie di creditori in forza del principio appena ricordato della parità di trattamento “soggettivo”, mal si comprende la ragione per la quale il legislatore abbia concesso solo a questi creditori l’accantonamento delle somme loro spettanti nell’attesa che essi si procurino un titolo esecutivo legittimante la partecipazione alla distribuzione del ricavato, e non abbia piuttosto accordato l’accantonamento provvisorio a tutti i creditori, anche non rientranti nelle categorie disciplinate al comma primo dell’art. 499 c.p.c.

LA PRATICA

Fac-simile di atto d’intervento nell’esecuzione

Si riporta di seguito, a titolo esemplificativo, lo schema dell’atto d’intervento di un creditore nel processo esecutivo.

TRIBUNALE DI …

Al Giudice dell’esecuzione

Atto d’intervento nel processo esecutivo ai sensi dell’art. 499 c.p.c.

Il sottoscritto … … , rappresentato e difeso dall’Avv. … …, presso il cui studio, posto in …, via …, elegge domicilio, giusta procura in calce al presente atto,

premesso che

- è venuto a conoscenza che contro … …, residente a … , via … pende procedimento esecutivo iniziato ad istanza del creditore Sig. … …, rappresentato e difeso dall’Avv. … …;

- è creditore del Sig. … … in virtù del titolo esecutivo rappresentato da … …;

- pertanto, ha interesse ad intervenire nell’esecuzione in corso,

tutto ciò premesso,

fa istanza

d’intervento nella procedura esecutiva per partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati.

… lì …

Avv. … …

Delego a rappresentarmi ed assistermi in questo procedimento l’Avv. … … presso lo studio del quale in …, via …, eleggo domicilio.

Sig. … …

E’ autentica

Avv. … …