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Impugn atti fallimentari

L’IMPUGNATIVA DEGLI ATTI DEGLI ORGANI DI GESTIONE FALLIMENTARE

Come si atteggiava nel testo originario della legge fallimentare l’impugnazione degli atti del curatore e del comitato dei creditori? Cosa è cambiato a seguito delle recenti riforme? Quali sono gli atti impugnabili? Qual’è il rito applicabile al procedimento d’impugnazione? Come vanno risolti i problemi interpretativi suscitati dall’“ermetismo” del legislatore nel disciplinare il secondo grado di giudizio?

a cura di Francesca Sirianni (Dottoranda di ricerca all’Università di Roma - Tor Vergata)

e di Giuseppe Sirianni (Avvocato nel foro di Catanzaro)

INTRODUZIONE

Si è detto, in sede di primi commenti alla riforma introdotta con d. lgs. n. 5 del 2006 (il successivo intervento “correttivo” del 2007 non ha, invece, direttamente toccato la materia oggetto di trattazione) , che il regime dei controlli sugli atti degli organi di gestione della procedura è stato fortemente influenzato dal nuovo assetto delle competenze degli stessi, completamente ridisegnato dalla riforma suddetta . La riforma ha, infatti, stravolto il riparto delle competenze gestionali tra gli organi della procedura, spostando l’asse dei poteri gestori dal binomio giudice delegato – curatore a quello curatore – comitato dei creditori. Nella originaria stesura della legge fallimentare, infatti, era il giudice delegato a ricoprire il ruolo centrale di direzione e propulsione delle attività, con compiti di amministrazione attiva e di gestione dei rapporti giuridici preesistenti . Il curatore era, dal canto suo, assoggettato al potere direttivo e dispositivo di quello. Con la riforma, invece, l’organo giurisdizionale è stato pressoché tagliato fuori dall’attività di gestione , poiché la gran parte delle sue competenze è stata trasferita al curatore e al comitato dei creditori, tanto da creare quello che è stato definito un «consolato» nel governo della procedura. Il comitato dei creditori ne risulta, in particolare, fortemente rivalutato, essendo stato trasformato da mero organo consultivo a vero centro autorizzatorio delle scelte gestorie del curatore (anche l’ultimo residuo di potere autorizzatorio del giudice, quello relativo al piano di liquidazione ex art. 104-ter l. fall., è stato infatti trasferito al comitato dei creditori ad opera del decreto correttivo n. 169 del 2007). E, siccome a maggiori poteri corrispondono altrettante responsabilità, anche il sistema dei controlli sugli atti di questi organi è stato ridefinito, introducendosi per la prima volta nell’art. 36 l. fall. un controllo giurisdizionale degli atti del comitato dei creditori e dettando – per il controllo su questi atti e su quelli del curatore - una disciplina processuale più rispettosa delle garanzie costituzionali.

LE NORME

R.d. 16 marzo 1942, n. 267 – Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa

Art. 23, art. 25, 1° c., n. 5, art. 26, art. 36, art. 36-bis

Decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 - Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80

Decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 - Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80

LA DISCIPLINA ORIGINARIA: IL RECLAMO CONTRO I PROVVEDIMENTI DEL CURATORE E DEL GIUDICE DELEGATO

Lo strumento con cui la legge fallimentare permetteva originariamente di sindacare gli atti di gestione (non quelli giurisdizionali, per i quali era prevista una via apposita, tramite le opposizioni o i reclami cautelari) del giudice delegato e gli atti del curatore era il reclamo disciplinato agli artt. 26 e 36 l. fall. La legge consentiva, così, a qualunque interessato di sottoporre questi atti a un controllo non solo di legittimità (per verificarne le difformità dallo schema legale) ma anche di opportunità. Si garantiva, cioè, la possibilità di sindacare anche nel merito le scelte compiute dall’organo fallimentare. Il rito applicabile era un camerale succintamente disciplinato dal legislatore e poi sostanzialmente affidato alla discrezionalità dell’organo giudicante .

Più precisamente, l’art. 36 l. fall. consentiva al fallito e a ogni altro interessato di ricorrere al giudice delegato contro gli atti del curatore. Il giudice delegato decideva il reclamo con decreto, il quale era ulteriormente reclamabile nel ristretto termine di tre giorni dalla data del decreto stesso. Giudice competente per il secondo grado era il tribunale fallimentare, il quale, dopo aver sentito il curatore e il reclamante, decideva con un decreto che non era ulteriormente impugnabile (secondo la prescrizione dell’art. 23, 3° c., l. fall.).

Quanto agli atti di gestione del giudice delegato, l’originaria versione dell’art. 26 l. fall. ne consentiva al curatore e ogni altro interessato (fallito compreso) la reclamabilità entro tre giorni dalla data del decreto. La competenza era del tribunale fallimentare, il quale decideva in camera di consiglio. Si precisava, inoltre, nell’originario 3° comma, che il reclamo non sospendeva l’efficacia del decreto impugnato.

Una disciplina processuale siffatta si spiegava nell’originario quadro della legge fallimentare grazie alla tipologia degli atti impugnabili, che erano sempre provvedimenti di volontaria giurisdizione, riguardanti meri interessi più che diritti soggettivi. Tuttavia spesso accadeva che il l’atto di gestione del curatore o del giudice delegato scatenasse una controversia in cui erano coinvolti veri e propri diritti soggettivi. Ciò si verificava, in particolare, in tema di riparti ai creditori e di liquidazione dei compensi al curatore e agli ausiliari della procedura: si trattava di diritti di credito veri e propri. Perciò si spiega il fatto che, dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, riti così scarni e poco garantistici come quelli disciplinati agli artt. 26 e 36 l. fall., ove fossero usati per la tutela di diritti soggettivi anziché di meri interessi legittimi, non potessero sopravvivere. Infatti, tra gli anni ’60 e ’80 si ebbero ben tre pronunce della Corte costituzionale, intervallate da pronunciamenti della Corte di cassazione. Dapprima con sentenza interpretativa di rigetto , la Corte costituzionale ritenne la questione manifestamente infondata. Preferì, infatti, salvaguardare le disposizioni criticate, interpretandole nel senso della loro esclusiva applicabilità alle controversie relative all’amministrazione d’interessi; per le controversie relative a diritti soggettivi, invece, si sarebbe dovuto ricorrere alle forme ordinarie disciplinate dal codice di procedura civile. La Cassazione mantenne, di contro, l’atteggiamento opposto, giustificando l’uso delle speciali forme fallimentari anche per le controversie su diritti, e semplicemente estendendo la garanzia dell’ulteriore impugnabilità in Cassazione ex art. 111 Cost. Ciò generò la necessità di due nuovi interventi della Corte costituzionale, il primo in materia di controversie in sede di riparto, l’altro in tema di liquidazione dei compensi agli incaricati della procedura, che dichiararono l’incostituzionalità dell’art. 26 l. fall. in quanto non rispettava le garanzie del processo previste dalla costituzione. All’esito di queste pronunce, l’impugnazione degli atti di gestione fallimentare seguiva un doppio binario: se la controversia, scaturente dall’atto, riguardava meri interessi, si sarebbe potuto applicare il regime camerale previsto dalla legge fallimentare; se invece essa coinvolgeva diritti soggettivi si sarebbe dovuto fare ricorso al processo ordinario di cognizione, avendo le pronunce della Corte lasciato un vuoto normativo. Le lacune lasciate furono colmate dalla Corte di cassazione, la quale applicò alle forme camerali previste dalla legge fallimentare le garanzie del giusto processo. In particolare la suprema Corte intervenne riguardo: a) al termine per proporre reclamo, che dal ristretto intervallo di tre giorni (decorrenti dalla data del provvedimento stesso) fu innalzato, come quello ordinario (ex art. 349 c.p.c.), a dieci giorni decorrenti dalla comunicazione dello stesso; b) alla necessità di garantire il contraddittorio, imponendo di notificare il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza agli interessati e dando al giudice il potere-dovere di sentire gli stessi; c) all’obbligo di concludere il procedimento con decreto motivato; d) alla possibilità di un’impugnativa ulteriore in cassazione (ex art. 111 Cost.) dopo quella davanti al tribunale, per motivi di legittimità. Risultandone, così, la creazione di un diritto vivente che è rimasto tale fino alla riforma del 2006.

GIURISPRUDENZA DI MERITO E DI LEGITTIMITÁ

• Il reclamo contro gli atti posti in essere dal curatore in relazione alla gestione della procedura fallimentare non configura un’impugnazione in senso proprio, ma una generica doglianza che è da considerare inammissibile, allorquando l’atto impugnato sia stato preventivamente autorizzato dal giudice delegato.

Trib. Milano, 19 giugno 1986, in Fall., 1987, 88.

• Il reclamo previsto dall’art. 36 l. fall. riguarda gli atti compiuti dal curatore nell’ambito dei suoi poteri di amministrazione del patrimonio fallimentare e non quelli che abbiano dato impulso all’emanazione di provvedimenti del giudice delegato, per i quali va esperito il reclamo di cui all’art. 26.

Trib. Orvieto, 25 marzo 1992, in Fall., 1992, 1181.

• Nella procedura di liquidazione fallimentare di mobili (…), il terzo che si trovi in posizione di controinteressato e ritenga lesa tale posizione dai provvedimenti del giudice delegato (…) può ricorrere al tribunale fallimentare, a norma del combinato disposto degli art. 105 e 26 l. fall., dovendoglisi riconoscere la stessa tutela che, nell’esecuzione individuale, è accordata al terzo interessato, il quale può proporre opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione, ove lo ritenga lesivo del proprio diritto al regolare svolgimento della procedura; contro il decreto del tribunale fallimentare, che decide sul predetto reclamo e non è altrimenti impugnabile, è esperibile il ricorso per cassazione, a norma dell’art. 3 cost., vertendosi in tema di diritti soggettivi, sia pure di natura processuale, del terzo interessato.

Cass., sez. I, 20 settembre 1993, n.9624, in Mass. Giur. It., 1993.

• Nell’ambito di una procedura fallimentare, il provvedimento adottato dal giudice delegato – o dal tribunale fallimentare in seguito a reclamo, ai sensi dell’art. 26 l. fall. –, in ordine alla richiesta dell’aggiudicatario di un immobile venduto all’incanto di conseguire alla curatela il pagamento degli oneri relativi a concessione edilizia inerente alla già eseguita costruzione dell’immobile (…) è destinato ad esaurire la sua funzione nell’ambito della procedura e non implica l’incisione di un diritto soggettivo di cui sia configurabile la titolarità in capo al curatore. Lo stesso provvedimento, quindi, è riconducibile alla categoria di quelli previsti dagli articoli 25 e 35 l. fall. – relativamente all’autorizzazione del compimento degli atti ivi indicati – e qualificabili come volontaria giurisdizione, in quanto diretti ad integrare i poteri negoziali del curatore (…). Conseguentemente non è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost. contro il decreto adottato in materia dal tribunale fallimentare in sede di reclamo contro provvedimento del giudice delegato.

Cass., sez. I, 17 dicembre 1994, n. 10868, in Mass. Giur. It., 1994.

• I vizi relativi alla procedura di autorizzazione del curatore del fallimento al compimento di atti negoziali, così come anche i vizi inerenti alla procedura di preventiva audizione del comitato dei creditori, non possono essere fatti valere mediante una diretta impugnativa in sede contenziosa dell’atto posto in essere dal curatore, ma sono deducibili soltanto nell’ambito della procedura fallimentare, con reclamo davanti al tribunale fallimentare.

Cass., sez. I, 9 marzo 1995, n. 2730, in Giust. civ., 1995, I, 2078.

• Avverso gli atti posti in essere dal curatore a lui riservati in via esclusiva e quindi rientranti nella sua libera scelta a tutela dell’interesse del fallimento, il terzo che si ritenga leso in un suo diritto non può proporre reclamo al tribunale, ma deve agire in via civile, penale o tributaria, ferma la facoltà del tribunale di revocare il curatore e promuovere nei suoi confronti azione di responsabilità.

Trib. Piacenza, 19 giugno 1997, in Dir. fall., 1997, II, 772.

• In caso di reclamo al tribunale fallimentare, effettuato ai sensi dell’art. 26 l. fall. avverso i provvedimenti decisori del giudice delegato, deve osservarsi, a pena di nullità deducibile con il ricorso ex art. 111 cost., il contraddittorio, con la conseguente necessità, in linea di principio, della convocazione del reclamante, del curatore e di ogni altro soggetto che, in relazione alla specifica materia del giudizio, risulti come possibile destinatario degli effetti della decisione.

Cass., sez. I, 16 ottobre 2001, n. 12594, in Giur. It., 2002, 1611.

• Il provvedimento del tribunale fallimentare confermativo, in sede di ricorso ai sensi dell’art. 36 l. fall., del decreto con il quale il giudice delegato abbia rigettato l’istanza di accertamento della personale responsabilità del curatore per un comportamento di carattere processuale dedotto come pregiudizievole per la massa dei creditori, non è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione di cui all’art. 111 cost., essendo privo del carattere della definitività, stante la riproponibilità della questione in sede approvazione del rendiconto del curatore ex art.116 legge fall., atteso che il giudizio che si instaura ai sensi di quest’ultima disposizione in caso di mancata approvazione del conto del curatore può avere per oggetto anche l’accertamento delle personali responsabilità del curatore stesso per il compimento di atti che abbiano arrecato pregiudizio alla massa o ai diritti dei singoli creditori.

Cass., sez. I, 20 dicembre 2002, n. 18144, in Rep. Foro It., 2002, [fallimento], n. 326.

• Ai fini del decorso del termine di dieci giorni per proporre reclamo al tribunale fallimentare avverso i provvedimenti del giudice delegato, la conoscenza del provvedimento reclamato conseguita dalla parte a seguito di invio di copia di detto provvedimento da parte del curatore non può considerarsi equipollente alla comunicazione eseguita dal cancelliere, atteso che l’attribuzione al curatore fallimentare di un potere di comunicazione in ordine a specifici atti non implica l’esistenza, in capo allo stesso curatore, di un generale potere di comunicazione e che siffatto potere è invece previsto per il cancelliere (dall’art. 136 c.p.c. e dall’art. 45 disp. att. c.p.c.).

Cass., sez. I, 11 febbraio 2004, n. 2576, in Gius., 2004, 2520.

LA NUOVA DISCIPLINA: IL RECLAMO CONTRO GLI ATTI DEL CURATORE E DEL COMITATO DEI CREDITORI. GENERALITÁ

Il d.lgs. n. 5 del 2006, come dicevamo, ha fatto del curatore e del comitato dei creditori gli organi in via esclusiva preposti all’amministrazione e gestione fallimentare, lasciando al giudice delegato funzioni di vigilanza e controllo . La novella ha corrispondentemente innovato l’art. 36 l. fall., non più rubricato «Reclamo contro gli atti del curatore» ma «Reclamo contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori». Quindi la norma prevede innanzitutto un ampliamento “soggettivo” della sua portata applicativa, riferendosi adesso anche agli atti del comitato dei creditori. Ma prevede anche un ampliamento “oggettivo”, in quanto estende il reclamo oltre che agli atti commissivi anche agli atti omissivi di questi organi. D’altro canto, però, la norma contiene una non secondaria limitazione: gli atti sono sindacabili soltanto per violazione di legge e non più per motivi di opportunità. Significativa è qui la discrasia con l’impugnazione degli atti degli organi giurisdizionali, che è invece estesa al controllo di merito (art. 26 l. fall.). La legittimazione a proporre il reclamo è diffusa, spettando essa sia al fallito sia a «ogni altro interessato» (quale un terzo che voglia far rendere inefficace il recesso da uno dei contratti preesistenti esercitato ex art. 72 l. fall. dal curatore con l’autorizzazione del comitato dei creditori). La competenza è, come in precedenza, del giudice delegato, il quale dovrà decidere entro 15 giorni (come previsto nell’art. 25, n. 5, l. fall.). La norma contiene, infine, una disciplina di rito più puntuale anche per il secondo grado di giudizio sul reclamo, e regola gli effetti dell’accoglimento del reclamo, differentemente a seconda che sia nei confronti del curatore o del comitato dei creditori. Tracciate le linee guida generali, passiamo ora all’esame delle singole forme di reclamo.

IL RECLAMO CONTRO GLI ATTI DEL CURATORE

Il termine per proporre il reclamo è innalzato (dai tre originariamente previsti) a otto giorni, decorrenti dalla conoscenza dell’atto, o, in caso di comportamento omissivo, dalla scadenza del termine indicato nella diffida a provvedere. Quanto agli atti che concretamente possono costituire oggetto di reclamo , si tratterà di atti sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione. Non potranno mai essere oggetto di reclamo gli atti processuali posti in essere dal curatore, in quanto per essi varranno gli appositi rimedi previsti dal codice di procedura civile. Il reclamo potrà invece riguardare, come anticipato, gli atti omissivi dell’organo; esempio classico è la mancata attuazione di un negozio per cui il curatore abbia chiesto e ottenuto l’autorizzazione del comitato dei creditori, o la mancata predisposizione dei piani di riparto dell’attivo. Il giudice delegato, sentite le parti (curatore e reclamante) e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, decide con decreto motivato. La norma disciplina ora espressamente (3° comma) le conseguenze dell’accoglimento del reclamo avverso un comportamento omissivo del curatore : egli è tenuto in prima persona a dare esecuzione al provvedimento del giudice, che gli intima di attivarsi per compiere il comportamento l’atto omesso. Essendo, però, il sindacato del giudice limitato alle sole violazioni di legge, egli potrà imporre al curatore di provvedere ma non come provvedere , non potendo egli inserirsi nelle scelte di gestione. Pertanto, se il curatore decidesse di non ottemperare all’ordine, l’ultima ratio sarebbe costituita dalla revoca ex art. 37 l. fall.

Quanto al significato dell’espressione «violazione di legge» è stato proposto, per ampliare il più possibile l’area della reclamabilità, d’intenderla «come indicazione di tutto ciò che si contrappone al semplice “merito gestionale” degli atti dell’amministrazione fallimentare, sottraendosi al controllo giudiziale esclusivamente gli atti (…) che appaiano espressione di valutazioni di opportunità fondate sull’esperienza e sulla conoscenza delle gestioni fallimentari, e la cui idoneità non possa dunque sindacarsi in relazione ai principi ed alle norme (sostanziali e processuali) che regolano la materia fallimentare» .

Il provvedimento del giudice delegato può essere a sua volta impugnato (art. 36, 2° c., l. fall.), entro otto giorni dalla data della sua comunicazione, davanti al tribunale fallimentare. Qui si rinviene una aporia del sistema novellato: il sindacato del tribunale sugli atti del giudice delegato è più ampio di quello consentito a quest’ultimo sugli atti degli organi di gestione, potendosi estendere anche al merito del provvedimento. Ci si è chiesti, allora, come possa il tribunale fare un controllo di merito su un provvedimento che ha verificato l’atto impugnato con il solo metro della legalità . Solo l’evoluzione giurisprudenziale mostrerà che tipo di esiti potrà avere un giudizio siffatto.

Il tribunale decide entro trenta giorni, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, con decreto motivato. Le scarne indicazioni procedurali per il secondo grado di giudizio hanno posto il dubbio se, per quanto non espressamente disposto, si debba applicare la disciplina del camerale “ibrido” di cui all’art. 26 l. fall. (così come riformulato dal d.lgs. “correttivo” n. 169 del 2007) oppure quella generale dei procedimenti in camera di consiglio degli artt. 737 ss. c.p.c., o se invece vada rimesso tutto alla discrezionalità del giudice .

Il decreto del tribunale è espressamente dichiarato dalla norma non ulteriormente impugnabile. Resterebbe il dubbio della ricorribilità in cassazione ex art. 111 Cost., che dalla giurisprudenza precedente era negata sostenendo che il provvedimento riguardasse situazioni meramente gestorie e quindi estranee a diritti soggettivi pieni. Secondo alcuni autori sembra, però, difficile negarla quando il provvedimento sia concretamente decisorio .

L’art. 36-bis l. fall. stabilisce, infine, che tutti i termini processuali stabiliti negli artt. 26 e 36 non sono soggetti alla sospensione feriale.

IL RECLAMO CONTRO GLI ATTI DEL COMITATO DEI CREDITORI

Le norme processuali (e i relativi dubbi applicativi) sono le stesse dei reclami contro gli atti del curatore. Una precisazione è doverosa quanto all’oggetto del reclamo. L’attività del comitato dei creditori è, infatti, un’attività di autorizzazione e di consultazione più che di gestione attiva. Quanto all’autorizzazione, è stato sostenuto che, non avendo essa natura dispositiva (in quanto si sostanzia nella rimozione di un ostacolo all’esercizio di un diritto già esistente in capo al curatore), non sarebbe impugnabile. Sicuramente più frequente sarà, comunque, il reclamo di un rifiuto espresso di autorizzazione, o di una mancata autorizzazione tacita (l’art. 41, 3° c., l. fall. stabilisce infatti che il comitato deve deliberare «nel termine massimo di quindici giorni successivi a quello in cui la richiesta è pervenuta al presidente»). Bisogna, inoltre, ricordare che in caso di inerzia del comitato il rimedio del reclamo convive con la funzione vicaria del giudice delegato, il quale, ai sensi dell’art. 41, 4°c., l. fall., «in caso di inerzia, di impossibilità di costituzione per insufficienza di numero o indisponibilità dei creditori, o di funzionamento del comitato o di urgenza», si sostituisce allo stesso, provvedendo in sua vece. Quanto alla funzione consultiva del comitato, essa si sostanzia nell’emissione di pareri. Poiché la Corte di cassazione aveva, nel vigore della precedente disciplina, considerato come favorevole il parere non emesso dal comitato entro il termine fissato dal curatore richiedente, è da ritenersi che ciò valga, a maggior ragione, ora che la riforma ha espressamente indicato il termine (quindici giorni) in cui il comitato deve esprimersi con parere consultivo.

Diverse, infine, sono le conseguenze dell’accoglimento del reclamo di un atto del comitato dei creditori. Poiché, infatti, il giudice delegato ha un generale potere di sostituzione del comitato, egli potrà altresì sostituire l’atto reclamato con uno proprio; se si tratti, poi, di reclamo contro un comportamento omissivo del comitato, il giudice «provvede in sostituzione di quest’ultimo» (art. 36, 3° c., ult. parte).

APPROFONDIMENTI DOTTRINALI

ABETE, “I rapporti con gli altri organi della procedura”, in Fall., 2007, 1002 ss.

BONFATTI - CENSONI, “Manuale di diritto fallimentare”, Padova, 2007.

CATALDO, “Il controllo sugli atti del curatore ed il regime della responsabilità”, in Fall., 2007, 1014 ss.

CECCHELLA, “Il diritto fallimentare riformato”, Milano, 2007.

ESPOSITO, “Il comitato dei creditori: la necessità dell’accettazione della carica ai fini di una composizione di un organo non necessario”, in Fall., 2007, 111 ss.

FERRO (a cura di) “La legge fallimentare”, Commento teorico-pratico, Padova, 2007.

GUGLIELMUCCI, “Il ruolo del giudice delegato”, in Dir. Fall., 2003, I, 1029 ss.

GUGLIELMUCCI, “Diritto fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali”, Torino, 2006.

JORIO (diretto da) e FABIANI (coordinato da), “Il nuovo diritto fallimentare”, Commentario, Bologna, 2007.

LO CASCIO, “Organi del fallimento e controllo giurisdizionale”, in Fall., 2008, 369 ss.

MINUTOLI, “Nuovi rapporti tra gli organi fallimentari, legittimazione processuale del curatore e nomina dei legali del fallimento”, in Fall., 2007, 677 ss.

NIGRO - SANDULLI (a cura di), “La riforma della legge fallimentare”, Torino, 2006.

PAGNI, “Il controllo sugli atti degli organi della procedura fallimentare (e le nuove regole della tutela giurisdizionale)”, in Fall., 2007, 140 ss.

ROCCO DI TORREPADULA, “Un complicato menage a troise: giudice delegato, comitato dei creditori e curatore”, in Dir. fall., 2008, 6.

SANTANGELI, “Il nuovo fallimento”, Commentario, Milano, 2006.

SCHIANO DI PEPE (a cura di), “Il diritto fallimentare riformato”, Commento sistematico, Padova, 2007.

VIGO, “Poteri e rappresentatività del «nuovo» comitato dei creditori”, in Riv. dir. civ., 2007, II, 119.

CONCLUSIONI

Il nuovo rito applicabile all’impugnativa degli atti degli organi di gestione della procedura risulta, in conclusione, per certi versi più garantista rispetto al precedente (si pensi alla disciplina dei termini, all’adozione delle formalità necessarie al contraddittorio e alla necessaria motivazione del decreto conclusivo del giudizio). Per altro verso risulta, invece, non adeguato ai risultati raggiunti dall’evoluzione giurisprudenziale sotto la vecchia disciplina: laddove prevede un controllo di mera legalità e non di merito sugli atti degli organi gestionali, e dove non estende al provvedimento di secondo grado la ricorribilità ex art. 111 Cost. (peraltro, forse, estensibile in via interpretativa nei limiti di quanto sopra detto). Il sistema risultante dalla riforma risulta, poi, contraddittorio in alcuni punti (si pensi al controllo di merito che il tribunale deve svolgere in secondo grado su un provvedimento che ha deciso della sola legalità dell’atto impugnato) e lacunoso in altri (quali sono le norme processuali applicabili agli aspetti che il nuovo art. 36 non disciplina?).

Quanto alla disciplina transitoria il decreto è entrato in vigore il 16 luglio 2006, ma l’art. 153 dello stesso stabilisce che le procedure già pendenti a quella data sono definite secondo la legge anteriore. La nuova disciplina si applicherà, dunque, ai soli procedimenti aperti (ossia le cui domande di fallimento o di concordato siano state depositate) dopo il 16 luglio 2006.