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Documenti in appello.

La produzione di nuovi documenti in appello: è tutto chiarito?

la QUESTIONE

Con l’espressa inclusione dei documenti, a seguito della modifica dell’art. 345 c.p.c., nel regime limitativo delle nuove prove in appello, può considerarsi definitivamente chiarito il problema dei limiti di ammissibilità delle nuove produzioni documentali nel secondo grado di giudizio?

Che rilievo deve attribuirsi alla mancata modifica dell’art. 437 c.p.c. che, limitando l’ammissibilità dei nova nel rito del lavoro in modo pressoché speculare rispetto alla disposizione dettata per il rito ordinario, continua a non menzionare espressamente i documenti?

Come e quando si svolge il giudizio di indispensabilità sui documenti? Esiste un termine per la produzione in appello dei documenti ammissibili?

la RISPOSTA IN SINTESI

La questione dell’ammissibilità dei nuovi documenti in appello è di quelle che per anni ha affaticato la dottrina e la giurisprudenza, sino alle due pronunce a sezioni unite della Corte di Cassazione n. 8202 e 8203 del 2005 (dettate per rispettivamente relativamente al rito ordinario ed al rito del lavoro), cui è seguita la modifica, con la L. 69/2009, della sola disposizione dettata per il rito ordinario, che include oggi espressamente i documenti tra le prove oggetto della disciplina limitativa all’ammissione in appello.

Eppure, dopo l’iniziale convinzione di aver posto fine alle incertezze del passato, includendo i documenti tra le prove che per trovare ingresso in appello devono essere giudicate indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero devono essere oggetto di incolpevole decadenza della parte, residuano dubbi interpretavi, di cui vi è riscontro anche nella più recente giurisprudenza, in relazione soprattutto allo svolgimento del giudizio di indispensabilità sui documenti.

In particolare rimane irrisolto il problema del momento in cui il giudizio di indispensabilità debba svolgersi, e tornano d’attualità le perplessità di chi ha da sempre sostenuto l’incompatibilità di un siffatto giudizio con la prova documentale, forse l’argomento più convincente dei sostenitori della libera ammissibilità dei documenti in appello.

Quanto alla mancata modifica dell’art. 437 c.p.c., non pare significativa sin tanto che la Suprema Corte non muterà l’orientamento espresso con la pronuncia a sezioni unite n. 8202 del 2005, certo è che se così fosse si avrebbe nei fatti una diversa disciplina tra rito ordinario e rito del lavoro senza una reale giustificazione.

Quanto al problema dei limiti temporali per la produzione dei documenti ammissibili, la Corte di Cassazione ritiene che, nel rito del lavoro, anche in appello i documenti devono essere indicati negli atti introduttivi e prodotti contestualmente agli stessi (Cass. sez. un. 6 settembre 1990, n. 9199), stessa conclusione riguardo al rito ordinario, ossia è necessario indicare i documenti negli atti introduttivi e produrli contestualmente ad essi.

Si è sostenuto che ciò dipenda dall’assenza di specifiche disposizioni relative alla prova documentale nella disciplina del giudizio di appello, che renderebbe applicabili analogicamente gli artt. 165 e 166 c.p.c.; da ultimo Cass. sez. un. 20 aprile 2005, n. 8203 afferma che le parti devono indicare negli atti introduttivi dell’appello i documenti che intendono produrre, perché alla prima udienza di trattazione il collegio, a norma dell’art. 352 c.p.c., deve provvedere all’ammissione delle prove eventualmente dedotte o invitare le parti a precisare le conclusioni.

Andrea Mengali, Avvocato del foro di Pisa, Dottore di ricerca in diritto dell’arbitrato interno ed internazionale

Gli APPROFONDIMENTI

Trattazione approfondita della questione pag. 00

GLI APPROFONDIMENTI

CIVILE

La produzione di nuovi documenti in appello: è tutto chiarito?

Questioni ancora aperte dopo la modifica dell’art. 345 c.p.c.

a cura di Andrea Mengali*

*Avvocato del Foro di Pisa.

la QUESTIONE

Con l’espressa inclusione dei documenti, a seguito della modifica dell’art. 345 c.p.c., nel regime limitativo delle nuove prove in appello, può considerarsi definitivamente chiarito il problema dei limiti di ammissibilità delle nuove produzioni documentali nel secondo grado di giudizio?

Che rilievo deve attribuirsi alla mancata modifica dell’art. 437 c.p.c. che, limitando l’ammissibilità dei nova nel rito del lavoro in modo pressoché speculare rispetto alla disposizione dettata per il rito ordinario, continua a non menzionare espressamente i documenti?

Come e quando si svolge il giudizio di indispensabilità sui documenti? Esiste un termine per la produzione in appello dei documenti ammissibili?

l’APPROFONDIMENTO

Premessa

La questione dell’ammissibilità o meno senza limiti di nuovi documenti in appello ha per anni affaticato la dottrina, sino alle pronunce a sezione unite n. 8202 e 8203 ed alla modifica dell’art. 345 c.p.c. per mano della L. n. 69/09, che ha espressamente incluso i documenti tra le prove oggetto della limitazione allo ius novorum di cui alla medesima disposizione.

Senza dilungarsi sulle teorie che si sono succedute in merito all’inclusione o meno dei documenti tra i “mezzi di prova” oggetto della disciplina limitativa dei nova in appello (su cui si veda in particolare la ricostruzione di G. RUFFINI, La prova nel giudizio civile di appello, Padova, 1997; sul percorso della giurisprudenza, dall’interpretazione dell’art. 437 c.p.c. a quella dell’art. 345 c.p.c. come novellato nel 1990, sia consentito rinviare ad A. MENGALI, La produzione di nuovi documenti in appello, in Riv. dir. poc., 2008, 99 ss.), per molti versi superate alla luce della modifica del dettato normativo, pare opportuno soffermarsi su un aspetto che, anche alla luce di alcune recenti pronunce, pare poter far vacillare le apparenti certezze emergenti dalla nuova disposizione – e prima ancora dalle sezioni unite della Cassazione.

Il problema è quello di conciliare il documento – quale prova precostituita – con il giudizio di indispensabilità della prova, che sembra meglio ricamato sulla prova costituenda.

Il giudizio di indispensabilità della prova

L’art. 345 c.p.c. dispone che nel giudizio di appello “non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.

Analoga disposizione detta l’art.. 437 c.p.c. per il rito del lavoro, facendo riferimento all’indispensabilità ma non alle prove oggetto di decadenza incolpevole delle parti in primo grado (sul punto cfr. infra) e soprattutto non includendo espressamente i documenti tra le prove oggetto della relativa disciplina limitativa alla libera ammissibilità in appello (non essendo stata oggetto della novella del 2009 che ha riguardato, come ricordato nella premessa, il solo art. 345 c.p.c.).

Con riferimento all’interpretazione della nozione di “indispensabilità” la dottrina si divide tra chi ritiene che il processo di appello sia di regola chiuso ai nova data l’ultrattività delle preclusioni maturate in primo grado, e chi invece ritiene che l’art. 345 c.p.c. (e l’art. 437 c.p.c. riguardo al rito del lavoro) stabilisca le regole per l’ingresso di nuove prove nel secondo grado di giudizio a prescindere che siano o meno maturate delle decadenze nel grado precedente.

I primi tendono a svuotare di significato il riferimento all’indispensabilità, o facendolo coincidere con quello di incolpevole decadenza (M. BOVE, Sulla produzione di nuovi documenti in appello, in Riv. dir. proc., 2006, p. 313; G. RUFFINI, La prova nel giudizio civile di appello, Padova, 1997, 284 ss), o riferendolo alla prova di fatti nuovi eccezionalmente ammessi per la riapertura delle preclusioni di primo grado (S. CHIARLONI, voce Appello, in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1995, 15), ancora ritenendo che i due requisiti (indispensabilità e non imputabilità della decadenza) siano cumulativi (conf. Cass. 6 aprile 2001, n. 5133, in Giur. It., 2002, IV, pp. 719 ss., con nota di G. GIANCOTTI). Secondo una ancora diversa ricostruzione l’indispensabilità della prova riguarderebbe solo le prove disponibili ex officio dal giudice, nei soli casi in cui la prova sia, per l’appunto, indispensabile (S. SATTA- C. PUNZI, Diritto processuale civile12, Padova, 1996, 572 s.). Infine si è sostenuto che l’art. 345 estenderebbe il potere istruttorio officioso del giudice d’appello a tutte le prove ritenute indispensabili, esclusa in ogni caso l’iniziativa di parte (G. TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 1996, 246)

Gli Autori convinti, invece, che la prova, se “indispensabile”, possa avere ingresso nel giudizio di secondo grado senza ulteriori limitazioni, non possono che cimentarsi sul significato da attribuire all’espressione “prova indispensabile ai fini della decisione della causa”. Si è quindi sostenuto che prova indispensabile sia quella dotata di una particolare forza causale nella decisione della controversia, o capace di ribaltare la decisione di primo grado in particolar modo quando questa è stata resa applicando la regola sull’onere della prova - A PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile3, Napoli, 1999, 523 - o quella che ha ad oggetto fatti la prova dei quali porti alla definizione della lite senza necessità del concorso con altri fatti già provati in primo grado (In questo senso C. CONSOLO, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi, Padova, 2008, 156).

Le sezioni unite della Cassazione, in occasione della pronuncia 20 aprile 2005, n. 8203 (Cass, sez. un., 20 aprile 2005, n. 8203, in Riv. dir. proc. 2005, 1051 ss., con nota di B. Cavallone, Anche i documenti sono «mezzi di prova» agli effetti degli artt. 345 e 437 c.p.c.; in Corriere giur. 2005, pp. 934 ss., con note di G. RUFFINI, Preclusioni in primo grado e ammissione di nuove prove in appello: gli artt. 345, comma 3, e 437, comma 2 c.p.c. al vaglio delle sezioni unite, e C. CAVALLINI, Le sezioni unite restringono i limiti delle nuove produzioni documentali nell’appello civile, ma non le vietano; in Foro it. 2005, I, cc. 1690 ss. con note di D. DALFINO, Limiti all’ammissibilità di documenti nuovi in appello: le sezioni unite compongono il contrasto di giurisprudenza (anche con riferimento al rito ordinario), A. BARONE, Nuovi documenti in appello: è tutto chiarito?, A. PROTO PISANI, Nuove prove in appello e funzione del processo), hanno dimostrato di preferire la seconda soluzione, lasciando aperto l’appello ai mezzi di prova (e ai documenti) “indispensabili”, a prescindere dalle decadenze maturate in primo grado, ritenendo appunto indispensabili le prove «“suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come "rilevanti" (cfr. art. 184, comma 1; art. 420, comma 5), hanno sulla decisione finale della controversia; prove che, proprio perché "indispensabili", sono capaci , in altri termini, di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado».

La giurisprudenza successiva non fa che richiamare l’insegnamento delle sezioni unite, cfr. Cass. 21 giugno 2011, n. 13606, in Lavoro nella Giur., 2011, 8, 841.

La posizione della giurisprudenza, pur chiara in termini teorici, lascia tuttavia in concreto pressoché immutato il problema dell’individuazione in concreto delle prove che possano ritenersi “indispensabili”, risultando nella pratica assai arduo distinguere tra prove “indispensabili” e prove soltanto “rilevanti”.

Ritenendo che l’indispensabilità debba far riferimento ad un quid pluris rispetto alla sola rilevanza, appare corretta l’opinione di chi ritiene che indispensabile sia la prova rilevante, ammissibile e non superflua (Cfr. G. RUFFINI, La prova nel giudizio civile di appello, cit., pp. 268 ss., spec. p. 281, il quale giunge a questa considerazione valorizzando l’elemento finale rispetto al quale la prova debba essere considerata indispensabile, ossia la decisione del giudice). Con il riferimento alla rilevanza, all’ammissibilità ed alla superfluità della prova l’”indispensabilità” acquista dei riferimenti positivi (oltre al concetto di rilevanza, i limiti di ammissibilità delle prove tipizzati dalla legge e la superfluità di cui all’art. 209 c.p.c.,)

I documento indispensabili

Per la prova documentale il giudizio di indispensabilità non può essere svolta prima dell’acquisizione del documento, poiché, per valutare se il documento sia indispensabile, «il giudice non può non esaminarne il contenuto» (G. BALENA, Domande ed eccezioni nuove, in La riforma della giustizia civile in BALENA – CAPONI – CHIZZINI - MENCHINI, La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 107).

Si è pertanto osservato che il giudizio di indispensabilità per i documenti «non ha alcun senso» (G. BALENA, Domande ed eccezioni, loc. ult. cit.), poiché comunque il giudice esaminerà la prova precostituita e la porrà a base della sua decisione solo in quanto essa gli sia utile e necessaria (G. BALENA, Le preclusioni istruttorie, cit., 106).

Anche la più recente giurisprudenza tradisce un certo imbarazzo nel compiere un giudizio di indispensabilità su di un documento. Si veda Cass. 15 novembre 2011, n. 23963 secondo cui “a norma dell'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., nel giudizio di appello la produzione di nuovi documenti è ammessa a condizione che il giudice ne verifichi l'indispensabilità. Tale requisito - posto dalla legge per escludere che il potere del giudice venga esercitato in modo arbitrario - non richiede necessariamente, tuttavia, un apposito provvedimento motivato di ammissione, essendo sufficiente che la giustificazione dell'ammissione sia desumibile inequivocabilmente dalla motivazione della sentenza di appello, dalla quale risulti, anche per implicito, la ragione per la quale tale prova sia stata ritenuta decisiva ai fini del giudizio”.

Appare evidente come secondo tale pronuncia (dettata con riferimento alla disciplina precedente alla riforma del 2009, ma la sostanza non cambia in quanto il giudice di legittimità nell’occasione si uniformava all’interpretazione delle sezioni unite, recepita dal legislatore) il giudizio di indispensabilità non debba necessariamente essere preventivo, potendo essere svolto in sede di decisione e potendo inoltre il suo esito risultare soltanto per implicito nelle motivazioni della sentenza. Insomma niente più che una motivazione (anche per implicito) del perché la decisione si sia basata su quel documento, motivazione che appare invero doverosa a prescindere da qualsiasi riferimento all’indispensabilità. Non possono non tornare a mente le parole, appena ricordate, di chi ha affermato che il giudizio in indispensabilità di un documento non ha alcun senso.

Premesse le dette perplessità, non pare che la mancata modifica dell’art. 437 c.p.c. possa costituire ragione per ritenere che i documenti, nel rito del lavoro, possano ritenersi non soggetti alla disciplina limitativa dei nova prevista per i mezzi di prova. Invero l’intervento del legislatore del 2009, pur limitato al solo rito ordinario, recepisce l’indicazione delle note sentenze gemelle, a sezioni unite, con cui la Corte di Cassazione, tanto nel rito ordinario che nel rito del lavoro, ha affermato che anche i documenti sono soggetti alla disciplina di cui agli artt. 345 e 437 c.p.c. rispettivamente. Se pertanto, come si ritiene date le riflessioni di cui sopra, ancora qualcosa vi è da dire sul tema dell’assoggettabilità dei documenti alla disciplina limitativa dei nova in appello, la ragione non è tanto la diversa formulazione delle disposizioni succitate, quanto i dubbi sulla praticabilità di un giudizio di indispensabilità avente ad oggetto prove precostituite.

I documenti che la parte non ha potuto produrre in primo grado per causa ad essa non imputabile

Quanto a quest’ultimo aspetto, l’inciso contenuto nell’art. 345 c.p.c. relativo alla prove che le parti non abbiano potuto proporre (o produrre) in primo grado per causa ad esse non imputabile, è sempre apparso una inutile ripetizione del più generale principio della rimessione in termini (Cfr. in questo senso A. PROTO PISANI, Appunti sull’appello civile, (alla stregua della l. 353/90), in Foro It., 1994, V, cc. 198 ss.).

Ciò a maggior ragione oggi che il principio è dettato non più da una disposizione contenuta nel libro II, titolo I del codice (relativo al procedimento di cognizione ordinario, ci si riferisce all’rt. 184 bis abrogato dalla L. 69/09), bensì nel libro I contenente le disposizioni generali (art. 153, comma 2, c.p.c., come novellato dalla L. 69/09).

Alcun dubbio quindi – ma non ve ne sono in realtà mai stati – che l’istituto della rimessione in termini trovi ingresso anche nel rito del lavoro, ed in particolare (anche) nella disciplina del nova, nonostante il silenzio dell’art. 437 c.p.c.

Il limite temporale per la produzione dei documenti in appello

Resta da affrontare, per completezza di esposizione, il problema dell’esatto limite temporale entro cui i documenti, ritenuti ammissibili, debbano essere prodotti in appello.

Il contrasto di orientamenti giurisprudenziali a riguardo si è da tempo risolto, in seguito alla pronuncia a sezioni unite della Suprema Corte n. 9199 del 1990, dettata con riferimento al rito del lavoro.

La prevalente giurisprudenza lavoristica, prima del 1990, consentiva, infatti, l’introduzione di nuovi documenti in appello, oltre che senza limiti di ammissibilità, anche senza limiti preclusivi all’interno dello stesso giudizio di appello: i documenti, si riteneva, potevano essere prodotti sino all’udienza di discussione.

Ciò era il riflesso della convinzione che i documenti in primo fossero producibili sino all’udienza di discussione, nonostante il disposto degli agli artt. 414 e 416 c.p.c., che ne impongono l’indicazione negli atti introduttivi ed il contestuale deposito insieme agli stessi. Difatti l’art. 434 e l’art. 436, riguardanti il deposito del ricorso in appello e la costituzione del convenuto in appello, richiamano le rispettive norme dettate per il primo grado.

La questione non differiva per il rito ordinario, ma in questo caso occorre tener presente che all’epoca (e fino alla nota riforma del 1990, entrata in vigore nel 1995), non erano previste preclusioni neanche nel corso del giudizio di primo grado.

La Corte di Cassazione a sezioni unite n. 9199 del 1990, risolvendo un precedente contrasto, ha affermato che i documenti in appello devono essere a pena di decadenza indicati specificamente nei rispettivi atti introduttivi e depositati contestualmente al deposito di tali atti. Ciò in applicazione di quanto disposto dagli artt. 414 e 416 c.p.c., richiamati dagli artt. 434 comma 1 e 436 u.c. c.p.c. Il principio è stato ripetuto da numerose pronunce successive, tra cui Cass.2 novembre 1998, n. 10944, cit; Cass. sez. lav. 29 dicembre 1999, n. 14690; Cass. 26 maggio 2004, n. 10128; Cass. 28 luglio 2005, n. 15802.

Il principio è del tutto compatibile con il successivo mutamento della giurisprudenza sul punto della (non) ammissibilità senza limiti dei documenti in appello: i documenti ammissibili ai sensi dell’art. 437 dovranno infatti essere indicati negli atti introduttivi e depositati contestualmente agli stessi.

Riguardo al rito ordinario la conclusione è la stessa, ossia è necessario indicare i documenti negli atti introduttivi e produrli contestualmente ad essi.

Sul punto la Suprema Corte ritiene che «le parti devono indicare negli atti introduttivi dell’appello i documenti che intendono produrre, perché alla prima udienza di trattazione il collegio, a norma dell’art. 352 c.p.c., deve provvedere all’ammissione delle prove eventualmente dedotte o invitare le parti a precisare le conclusioni» (Cass. sez. un. 20 aprile 2005, n. 8203; conf. Cass. 16 aprile 2002, n. 5463; Cass. 2 aprile 2004, n. 6528, che esclude l’applicabilità nel giudizio di appello dell’art. 184 c.p.c. – in seguito alla riforma del 2006 il riferimento è all’art. 183 c.p.c.).

Considerazioni conclusive

Il tema della produzione di nuovi documenti in appello, che per anni ha interessato la dottrina con riferimento al problema dell’inclusione o meno della prova precostituita nella disciplina limitativa dei nova in appello – in particolare a quella relativa ai messi di prova-, impone oggi una riflessione da un diverso punto di vista.

Una volta preso atto della scelta del legislatore (irrilevante nel senso chiarito che la modifica riguardi solo l’art. 345 c.p.c., dettato per il rito ordinario, e non anche l’art. 437 c.p.c.) che ha accettato di buon grado le indicazioni della Corte di Cassazione, molti dubbi permangono in sede applicativa, e riemergono i rilievi di chi ha sostenuto, e sostiene tuttora, che i documenti in appello non possano essere soggetti ad alcun limite di ammissibilità.

Ciò che balza agli occhi è che se un giudizio di indispensabilità deve esservi, questo riguarderà la capacità del documento di incidere, magari ribaltando la decisione di primo grado, sull’esito dell’appello, e ben difficilmente si potrà imporre al giudice di svolgerlo prima che il documento sia materialmente acquisito – attraverso la produzione – agli atti di causa.

Ulteriore riflessione è quella che se il documento non avesse quelle caratteristiche, a ben vedere, non rimarrebbe inutilizzato perché inammissibile (in quanto non indispensabile), ma perché semplicemente non in grado di incidere sulla decisione.

Pochi dubbi invece sul fatto che i documenti (laddove ammissibili) debbano essere indicati negli atti introduttivi e prodotti in limine litis, tanto nel rito del lavoro che nel rito ordinario.

Normativa di riferimento

Codice di procedura civile

Art.153, comma 2

Art. 345, comma 3

Art. 437, comma 2

Approfondimenti dottrinali

BALENA, Domande ed eccezioni nuove, in La riforma della giustizia civile in BALENA – CAPONI – CHIZZINI - MENCHINI, La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 107

BALENA G., Le preclusioni istruttorie tra concentrazione del processo e ricerca della verità, in Il giusto processo civ., 2006, pp. 46 ss., e pp.106 ss.

BOVE M., Sulla produzione di nuovi documenti in appello, in Riv. dir. proc., 2006, 303 ss.

CHIARLONI S., voce Appello, in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1995

COMOGLIO L.P., Le prove civili, 2a ed. Torino, 2010

CONSOLO C., L’impugnazione delle sentenze e dei lodi, Padova, 2008

LUISO F.P., Appello nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., I, 1987

MENGALI A., La produzione di nuovi documenti in appello, in Riv. dir. proc., 2008, pp. 99 ss.

PROTO PISANI A., Appunti sull’appello civile (alla stregua della l. 353/90), in Foro It., 1994, V, cc. 198 ss.

PUNZI C., Il processo civile sistemi e problematiche, 2a ed., Torino, 2010

RUFFINI G., La prova nel giudizio civile di appello, Padova, 1997

la SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE

Il giudizio di indispensabilità della prova

Rito ordinario

Cass. sez. un. 20 aprile 2005, n. 8203

Il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non avere potuto proporre prima per causa ad esse non imputabili, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga - nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite - "indispensabili", perché suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come "rilevanti" (cfr. art. 184, comma 1; art. 420, comma 5), hanno sulla decisione finale della controversia; prove che, proprio perché "indispensabili", sono capaci , in altri termini, di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado

Cass. 21 giugno 2011, n. 13606

L'art. 345, comma 3 c.p.c. deve essere interpretato nel senso che, fermo restando, sul piano generale, il principio dell'inammissibilità dei nuovi mezzi di prova e quindi anche delle produzioni documentali, il giudice di appello è abilitato ad ammettere, in sede di gravame, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non aver potuto proporre per causa a esse non imputabile, solo quelle prove che ritenga nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite indispensabili in quanto suscettibili di un'influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti, hanno sulla decisione finale della controversia; l'indispensabilità, in definitiva, deve essere intesa come capacità di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo, talvolta, per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il primo giudice (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha confermato la decisone di giudici d'appello circa l'inammissibilità di documentazione medica attestante lo stato di salute della vittima di un sinistro prima dell'evento lesivo, atteso che tali documenti ben potevano essere presentati anche in primo grado).

Rito del lavoro

Cass. sez. un. 20 aprile 2005, n. 8202

Nel rito del lavoro, in base al combinato disposto degli art. 416, comma 3, c.p.c., che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare - onere probatorio gravante anche sull'attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte cost. con la sentenza n. 13 del 1977 - e 437, comma 2, c.p.c, che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova - fra i quali devono annoverarsi anche i documenti - l'omessa indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo); e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello. Tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento - ispirato alla esigenza della ricerca della "verità materiale", cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d'ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437, comma 2, c.p.c., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse

L’indispensabilità del documento

Cass. 5 dicembre 2011, n. 26020

L'art. 345, comma 3, c.p.c., come modificato dalla l. 26 novembre 1990 n. 353, nell'escludere l'ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, perché dotate di un'influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia; indispensabilità da apprezzarsi necessariamente in relazione alla decisione di primo grado e al modo in cui essa si è formata, sicché solo ciò che la decisione afferma a commento delle risultanze istruttorie acquisite deve evidenziare la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario. Tale facoltà deve esercitata in modo non arbitrario, in quanto il giudizio di indispensabilità, positivo o negativo, deve essere comunque espresso in un provvedimento motivato

Cass. 15 novembre 2011, n. 23963

A norma dell'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., nel giudizio di appello la produzione di nuovi documenti è ammessa a condizione che il giudice ne verifichi l'indispensabilità. Tale requisito - posto dalla legge per escludere che il potere del giudice venga esercitato in modo arbitrario - non richiede necessariamente, tuttavia, un apposito provvedimento motivato di ammissione, essendo sufficiente che la giustificazione dell'ammissione sia desumibile inequivocabilmente dalla motivazione della sentenza di appello, dalla quale risulti, anche per implicito, la ragione per la quale tale prova sia stata ritenuta decisiva ai fini del giudizio

Termine per la produzione dei documenti nel giudizio di appello

Rito ordinario

Cass. sez. un. 20 aprile 2005, n. 8203

Le parti devono indicare negli atti introduttivi dell’appello i documenti che intendono produrre, perché alla prima udienza di trattazione il collegio, a norma dell’art. 352 c.p.c., deve provvedere all’ammissione delle prove eventualmente dedotte o invitare le parti a precisare le conclusioni.

Rito del lavoro

Cass. sez. un. 6 settembre 1990, n. 9199

Nel rito del lavoro, la produzione in appello di nuovi documenti (che si sottrae al divieto sancito dal comma 2 dell'art. 437 c.p.c.) esige, a pena di decadenza, che essi siano specificamente indicati dalle parti nel ricorso dell'appellante o nella memoria difensiva dell'appellato e depositati contestualmente a questi, a norma dell'art. 414 e 416 c.p.c., richiamati dagli art. 434 e 436 dello stesso codice, restando in tal caso i documenti sottratti ad una preventiva valutazione d'indispensabilità e soggetti solo al normale giudizio di rilevanza in sede di decisione della causa. L'operatività della detta decadenza - che dà luogo ad una preclusione rilevabile d'ufficio dal giudice - è esclusa, in base al criterio ricavabile dall'art. 420, comma 5, c.p.c., con riguardo a documenti sopravvenuti (od anche anteriori la cui produzione sia giustificata dallo sviluppo assunto dalla vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria predetti), ferma, peraltro, in tali ipotesi, la necessità che la produzione dei documenti sia autorizzata dal giudice ed effettuata prima dell'inizio della discussione orale