La ricerca

Il punto sull'art. 709 ter. by Sara Maffei
Competenza giudice di pace by Roberto Napoleoni
Condotta di parte e conc. by Andrea Mengali
Misure coercitive by Sara Maffei
L'appello delle ordinanze by Francesca Sirianni
Efficacia soggettiva tit. es. by Marco Cattani
Documenti in appello. by Andrea Mengali
La precisazione delle concl. by Francesco Campione
Falso giuramento by Elena Grigo\'
Consulenza preventiva by Alessandro Pierucci
Nuovo art. 260 n. 5 cpc by Marco Cattani
L'attivita' del C.t.u. by Enrico Bernini
Azione di classi e terzo by Pietro Ortolani
Trust e fallimento by Elena Grigò
Omologa conciliazione by Stefano Pulidori
Ricusazione e a. irrituale by Pietro Ortolani
I protocolli civili by Avv. Giovanni Berti Arnoaldi Veli
Requiem del proc societario by Claudio Cecchella
Revocatoria riformata by Claudio Cecchella
Eccezione di giudicato by Claudio Zanda
Proc. di famiglia e reclamo by Maria Marcheschi
Ordinanza a chiusura istruzion by Stefano Pulidori
Riassunzione riformata by Marco Cattani
Il nuovo processo sommario by Andrea Mengali
Art. 420bis cpc by Enrico Bernini
La riforma dei riti by Claudio Cecchella
Interrogatorio libero by Andrea Mengali
Imp. lodo arb irrituale by Angelo Santi
Tent. obb. conciliazione by Daniele Pasini
Arb irrituale e contradditt. by Enrico Bernini
Traslatio iudicii by Marco Cattani
Impugn atti fallimentari by Francesca Sirianni
Ordinanza 186-quater by Stefano Polidori
Intervento cred. proc es by Elena Occhipinti
Terzo e provv amm by Claudio Zanda
Sospensione esecuzione by Giuseppe Mazzotta
Pregiudiz. amministrativa by Alessandro Pierucci
Interesse legittimo e giurisd by Alessandro Pierucci
Responsabilità del giudice by Claudio Cecchella
Quesito in Cassazione- appunti by Claudio Cecchella
Diritto fallimentare tedesco by Francesca Sirianni
La contumacia by Enrico Bernini
I soggetti fallibili by Francesca Sirianni
Dec. ing. su atp o consulenza by Rossella Sangineti
Giudicato penale e civile by Eleonora Antonuccio

Omologa conciliazione

OMOLOGA DEL VERBALE DI CONCILIAZIONE: CONTROLLO DI LEGALITA’ E REGOLARITA’ PROCESSUALE CIVILE

....

IL CONTROLLO DI LEGALITÀ E REGOLARITA’

DEL VERBALE DI CONCILIAZIONE IN SEDE DI OMOLOGA

....

a cura di Stefano Pulidori

* Avvocato del Foro di Pisa

la QUESTIONE

ll verbale di accordo concluso in mediazione, se omologato, ha valore di titolo esecutivo e per l’iscrizione ipotecaria – Quali sono le condizioni per l'omologa ? - Chi è competente ? - Qual è il contenuto del controllo ? - Quali rimedi o strade alternative hanno le parti ?

L’INTRODUZIONE

L’art. 60 della L. 19 giugno 2009 n. 69 attribuiva al Governo la delega ad emanare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione civile e commerciale e poneva, tra i principi e criteri direttivi, quello di prevedere <> (comma 3° lettera f).

Intendiamo fornire una ricostruzione e un inquadramento della disciplina attuativa data col Decreto Legislativo 28 del 4 marzo 2010.

LE NORME

Codice civile

Artt. 1965 e seguenti

Codice procedura civile

Artt. 474, 475 e 476 cpc

L. 19 giugno 2009 n. 69, art. 60

D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28

Direttiva CE 2008/52/CE

LA FATTISPECIE

CENNI GENERALI

L'art. 12 D. Lgs. 28/10 comma 2° afferma che il verbale del comma 1° costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione ipotecaria.

Al comma 1°, stabilisce che il “verbale di accordo, il cui contenuto non sia contrario all'ordine pubblico o a norme imperative è omologato, su istanza di parte e previo accertamento anche della regolarità formale”.

La norma è involuta: invece di dire al comma 1° che il verbale omologato ha valore di titolo esecutivo e per iscrivere ipoteca e al comma 2° a quali condizioni può esserlo, è costruita all’inverso, al punto che si è sfiorati dal dubbio che l’omologa sia un requisito d’efficacia tout court del verbale.

Tenuto però conto che la rubrica recita “Efficacia esecutiva ed esecuzione” e che non sono connessi esplicitamente altri effetti all’omologa oltre quelli accennati, se ne conclude che il verbale non omologato ha il valore e l’efficacia negoziale/contrattuale derivanti dal suo contenuto.

Quanto all’omologa, si parla di accertamento anche della regolarità formale”, per cui il controllo si estende alla non contrarietà a norme imperative o all’ordine pubblico.

LE SCELTE DEL LEGISLATORE

E’ utile interrogarsi su come si è determinata la disciplina attuativa.

Secondo la lettera c) dell’art. 60 della L. 69/09 il legislatore delegato doveva "disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni del D. Lgs. 5/2003" (conciliazione societaria).

In essa, l’accordo acquisiva con l’omologa ad istanza di parte efficacia di titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione d'ipoteca; competente al riscontro di regolarità formale era il Presidente del Tribunale nel cui circondario aveva sede l'organismo presso cui l'accordo era raggiunto.

Queste regole si ripetono nel D. Lgs. 28/10 con differenze formali e sostanziali.

Formalmente, il processo verbale deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, che certifica l'autografia della loro sottoscrizione o l'impossibilità di sottoscrivere (art. 11, comma 3°).

I mediatori sono soggetti privati e gli organismi presso cui operano possono essere privati, onde questa certificazione in seno alla mediazione delle controversie civili sconta una disomogeneità con l’antecedente normativo rinvenibile nell’art. 411, 1° comma cpc vigente all'emanazione del D. Lgs. 28/10, secondo il quale la certificazione della sottoscrizione o dell’impossibilità a sottoscrivere spettava, nelle conciliazioni presso la Direzione Prov.le del Lavoro (comma 1°) ad un pubblico funzionario, cioè il Presidente del collegio, ovvero il Direttore dell'ufficio o un delegato.

Peraltro, dopo la L. 24 novembre 2010 n. 183, l'art. 411 cpc non contempla più la certificazione di autografia e, almeno non espressamente, la verifica di regolarità formale.

Insomma, con il D. Lgs. 28/10 non ci si è attenuti alla normativa societaria indicata nella delega, estendendo invece alla mediazione quella desumibile dell’art. 411 cpc, norma poi modificata in senso opposto, ed attribuendo il potere/dovere di certificare le firme ad un privato che neanche è, necessariamente, un professionista cui altre norme attribuissero già limitati poteri di autentica, come ad esempio l’avvocato.

Ma la novità sostanziale è ancora più rilevante.

Per il verbale omologato dell'art. 40 D. Lgs. n. 5/2003 e per quello dell'art. 411 cpc, il controllo del giudice era solo di regolarità formale.

L’art. 12 D. Lgs. 28/10 estende il controllo alla non contrarietà a norme imperative o all’ordine pubblico, prescrizione che non trova riscontro in specifici precedenti normativi e pone molti interrogativi.

REGOLARITÀ E LEGALITA’ DEL VERBALE

STRUTTURA DOCUMENTALE DELL’ACCORDO

Il controllo del Presidente del Tribunale è su due fronti, uno dei quali è la regolarità formale.

E’ necessario quindi esaminare anzitutto la formalizzazione della conciliazione, cui si giunge in due modi:

a) per accordo dalle parti (art. 11, comma 1°);

b) per adesione delle parti alla proposta del mediatore (art. 11, comma 2°).

In entrambi, si forma un processo verbale sottoscritto dalle parti e dal mediatore che certifica l'autografia della loro sottoscrizione o l'impossibilità di sottoscrivere (art. 11, comma 3°).

L’accordo o la proposta sono allegati.

Ciò esplicitamente risulta per l'accordo delle parti (art. 11 comma 1°), ma eguale conclusione vale allora e maggior ragione per la proposta accettata (comma 2°), visto che essa è - per provenienza e temporalmente - diversa e anteriore al recepimento.

Distinguere tra verbale e testo dell’accordo (o della proposta accettata) non è ozioso, perché la certificazione di autografia da parte del mediatore è riferita dalla legge non alla sottoscrizione dell’accordo o della proposta, ma al processo verbale.

La norma si preoccupa che sia certificata l'autografia della sottoscrizione del verbale, mentre della convenzione vera e propria (o proposta accettata) non prevede esplicitamente neanche la sottoscrizione (!).

Questo strano assetto è la trasposizione non accurata della distinzione tra verbale conclusivo del procedimento e “separato processo verbale”, contenente la convenzione conclusa, tipica della conciliazione giudiziale, dove non è il verbale d’udienza a contenere l’accordo, poiché "la convenzione conclusa dalle parti per effetto della conciliazione è raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere" (art. 185 cpc e art. 88 disp. att. cpc), verbale che nel fascicolo non resta (art. 168 cpc) ed è raccolto dal cancelliere nei volumi dell’art. 35 disp. att. cpc.

L'art. 40 comma 8° D. Lgs. 5/03 stabiliva, analogamente, che "se la conciliazione riesce è redatto separato processo verbale, sottoscritto dalle parti e dal conciliatore".

E’ chiaro che la scissione in due atti implica che sia quello “separato”, contenente la convenzione, ad essere sottoscritto delle parti e, rispettivamente, di giudice e cancelliere o del conciliatore, mentre il verbale di chiuso procedimento dalla sottoscrizione delle parti può prescindere.

Purtroppo, il contenuto nell’art. 11 D. Lgs. 28/10 è opposto, per cui utile è suggerire che il processo verbale contenga esso stesso l'accordo, oppure che la certificazione delle firme si estenda agli allegati, su cui le parti doverosamente dovranno apporle.

Fermo restando che, se il mediatore si limita a certificare la firma delle parti sul processo verbale, questo dovrà esser considerato regolare sul piano formale.

CONTENUTO DEL VERBALE

La legge non indica gli elementi formali del verbale, a parte sottoscrizioni e certificazione. Un’omissione (del resto tradizionale, cfr. art. 411 cpc e art. 40 comma 8° D. Lgs. 3/2005) a fronte della quale due sono gli approcci:

1) la regolarità riguarda il verbale;

2) la regolarità riguarda (non tanto il verbale quanto) la procedura.

Convince di più il primo, in coerenza con la lettera dell’art. 12 e il principio d'informalità (art. 8, comma 2°).

Basterà perciò che il verbale abbia gli elementi essenziali alla sua funzione, senza essere un riassunto della procedura che dimostri che s'è svolta "regolarmente".

Saranno, perciò, elementi di regolarità del verbale:

a) la data ed il luogo;

b) l'indicazione delle parti o di chi le rappresenta;

c) il nome del mediatore;

d) gli estremi dell'iscrizione dell'organismo al registro ministeriale;

e) la sottoscrizione delle parti e del mediatore;

f) la certificazione dell'autografia delle parti o della loro impossibilità a sottoscrivere.

Entro certi limiti, è necessario un richiamo all'oggetto del contendere, in quanto, per indagare se è violata una norma imperativa o l’ordine pubblico, il Presidente non può prescindere dalla comprensione dell’oggetto della contesa.

Un richiamo che potrebbe stare anche nelle premesse dell’accordo o nella proposta accettata.

Altri elementi non si dovrebbero ritenere essenziali per l’omologa.

Facciamo un esempio.

Prima di formulare la proposta, il mediatore avverte le parti delle conseguenze sulle spese di lite della non accettazione (artt. 13 e 11 comma 1° D. Lgs. 28/10). Se non le avverte, la parte pregiudicata potrebbe eccepire in causa di non aver potuto valutare quest’aspetto, per cui nel verbale negativo deve risultare che l’avviso è stata dato.

Ma esso è elemento di regolarità del verbale positivo ?

Parrebbe eccessivo: se le parti hanno accettato la proposta senza l'avvertimento de quo, sono davvero, e più genuinamente, convinte dell’accordo !

L'adozione di siffatto criterio non vanifica l'omologa per "vizi" che non hanno impedito l’esito positivo ed impedisce riscontri dal perimetro inutilmente troppo esteso.

Ad esempio, le parti hanno fatto l’accordo ma:

- non erano chiari "l'oggetto e le ragioni della pretesa" (art. 4 comma 3° D. Lgs. 28/10);

- è stato superato il termine di quattro mesi;

- la parte ha adito la mediazione credendolo un obbligo (art. 5 D. Lgs. 28/10), ma non era vero;

- il mediatore ha omesso la dichiarazione d'indipendenza.

Tutti aspetti degni della migliore attenzione, ma irrilevanti per l’omologa.

CONTRARIETÀ ALL’ORDINE PUBBLICO O A NORME IMPERATIVE

Il controllo della non contrarietà a norme imperative o all’ordine pubblico è preceduto dalla valutazione se l’accordo si colloca nei limiti del D. Lgs. 28/10.

Se l’accordo esula dalla materia civile e commerciale o verte su diritti indisponibili, l’omologa va negata.

La disponibilità dei diritti, è esclusa solo “per quei diritti - di regola, ma non sempre, personali o personalissimi - che sono irrinunciabili, intrasmissibili ed imprescrittibili e dei quali pertanto non si può disporre” mentre “non tutte le norme imperative o di ordine pubblico hanno ad oggetto diritti indisponibili, potendo esse agire con comandi e divieti pur sempre perentori, ma nel territorio dei diritti disponibili, che restano tali anche quando il loro esercizio sia conformato da una disciplina inderogabile che preveda, ad esempio, specifiche sanzioni di nullità o fatti illeciti (così, ottimamente, Corte appello Milano, 13 settembre 2002 in Dir. Industriale, 2003, 346)

Che poi l’accordo, pur vertendo su diritti disponibili, sia contrario a norme imperative o all’ordine pubblico, va indagato nello specifico.

La contrarietà all’ordine pubblico deriva dalla contrarietà a principi fondamentali dell’ordinamento, ricavabili in via sistematica siccome espressi dall’ordinamento stesso e ad esso immanenti.

La violazione di norma imperativa implica l’individuazione di una norma positiva che vieti il contenuto dato all’accordo, quand’anche non sanzionandolo espressamente di nullità.

Piuttosto che tentare impossibili elencazioni, si vogliono fornire alcuni criteri operativi.

Il primo è che la contrarietà a norme imperative deve valutarsi nell’ottica della res litigiosa poi riconciliata, dove la precettività si atteggia diversamente che in fase fisiologica.

Si rammenti, per capire, quella giurisprudenza per cui la nullità ex art. 79 L. 392/1978, di disposizioni contrattuali contrarie a norme inderogabili non può “essere estesa agli accordi transattivi conclusi dal conduttore per regolare effetti di fatti già verificatisi in corso di rapporto e che, perciò incidono a situazioni giuridiche patrimoniali già sorte e disponibili” (Cass. 18 gennaio 2002 n. 537).

Il secondo è che vi sono norme imperative sostanziali e norme imperative formali.

Esempio: alcune persone han deciso a livello precontrattuale di costituire una società per azioni, poi una si rifiuta ed è chiamata in mediazione per danni, dove si riaccordano per fare la società.

Non possono tuttavia costituirla nella mediazione, che non si conclude per atto pubblico, mentre la costituzione di società (art. 2328 c.c.) ha questa forma a pena di nullità (art. 2332 c.c.), e così il preliminare di società (art. 1351 c.c.) .

Altra questione importante è quella delle nullità parziali.

Se il Presidente rileva una nullità parziale che tuttavia non attenga alla parte di accordo eseguibile forzatamente, può concedere un’omologa parziale ?

Nell’art. 1419 c.c. l’invalidazione dell’intero contratto per nullità di singola clausola è eccezione alla regola conservativa, per cui si sarebbe tentati di dire che potrebbe omologare in parte.

Ma l’art. 12 D. Lgs. 28/10 non prevede un’omologa parziale.

Inoltre, un’omologa parziale dell’accordo (della parte valida) equivale ad una declaratoria implicita di nullità della parte sospetta e significherebbe un’inammissibile modifica dell’accordo stesso.

Non vale dire che, in causa, il giudice può dichiarare la nullità parziale perché in quel caso - ma non in questo - ciò avviene nell’ambito della giurisdizione di merito, nel contraddittorio delle parti, dove esse discutono dell’effettiva nullità della clausola, della sua essenzialità o meno, con tutte le garanzie e i gradi di giudizio.

Diversamente, è necessario che le parti possano rivedere i loro accordi, o assumere altre iniziative, senza un’alterazione imperativa di essi.

Quindi in caso di nullità parziale, l’omologa va negata.

Analogamente, il Presidente non può sostituire la clausola nulla ex art. 1419 c.c. con la clausola imperativa, perché sempre significherebbe imporre alle parti una modifica dell’accordo, senza che avere accertato né l’effettiva nullità, né quale sia la disposizione imperativa che dovrebbe sostituirla.

Assurdo è dire che il Presidente, siccome può negare l’omologa integrale, potrebbe esercitare il potere in misura minore, omologando in parte.

La differenza va vista non solo dal punto di vista del potere omologativo, che è comunque a rime obbligate, ma da quello delle parti che, se l’omologa è negata, restano ad armi pari e hanno varie strade: fare un nuovo accordo, fare una causa, anche non fare più nulla.

E’ del resto connaturato al potere di omologa la sola alternativa tra concederla o non concederla.

Nella separazione consensuale, se il Tribunale non omologa gli accordi tra coniugi, non li sostituisce, neanche in parte, ma deve riconvocare i coniugi per le opportune modifiche e, se questi non si adeguano, negare l’omologa.

RILIEVO DELL'ORGANISMO NELL’OMOLOGA

Appare ovvio che se la procedura si svolge al di fuori di un organismo iscritto nell'apposito registro, il verbale non può essere omologato.

Si potrebbe replicare che la mancata iscrizione al Registro dovrebbe esser trattata come un’ irregolarità endoprocedimentale (retro).

L’obiezione non coglierebbe nel segno, perché la ratio del divieto è impedire, in ragione di un interesse pubblico generale, l’inutilità del sistema di accreditamento degli organismi: se l’omologa fosse concessa a conciliazioni avvenute presso organismi non accreditati, nessuno si sottoporrebbe alle regole, ai controlli e verifiche previste.

Invece, l’irregolarità del singolo procedimento è tollerabile dal sistema: la sentenza viziata passa pur sempre in giudicato, quella che non proviene da un giudice, per l’ordinamento mai sarà tale.

La non riconducibilità della conciliazione ad un Organismo iscritto è un caso estremo.

Meno improbabile è che l’organismo abbia dei limiti di materia.

Limiti son previsti per gli organismi istituiti da Ordini professionali diversi da quello degli avvocati, operanti nelle sole materie di competenza, come da autorizzazione ministeriale (art. 19 D. Lgs. 28/10 e art. 4, comma 4°, secondo periodo, DM 180/10).

Limiti si hanno quando l’organismo ha liberamente stabilito nel regolamento che la mediazione è limitata a specifiche materie chiaramente individuate (art. 7, comma 2°, lettera e) DM.. 180/10).

Se presso un organismo si tiene una procedura di mediazione per materia estranea a quelle di sua competenza, all’accordo va negata l’omologa, perché ancora una volta il sistema autorizzativo si vanificherebbe totalmente.

Va fatto salvo, invece, un caso contiguo ma molto diverso.

Una procedura nata per mediare una controversia rientrante nel campo di competenza dell’organismo, si può concludere con un accordo che nulla ha a che vedere con l'originaria “materia” controversa.

Qui l’omologa va concessa: le parti sono libere di conciliarsi come credono; l'approccio “facilitativo” della mediazione potrebbe averle portate ad accordi estranei all'iniziale oggetto conteso: non avrebbe senso alcuno costringerle a rivolgersi altrove in corso d'opera.

REGOLARITA’ DEL VERBALE E REGISTRAZIONE

Il verbale di conciliazione è esente da registrazione fino a € 50.000,00, tassato per l’eccedenza (art. 17 comma 3° D. Lgs. 28/10).

Gli atti soggetti ad omologa si registrano solo dopo l’omologazione (artt. 14 e 27 DPR 131/86), pertanto il verbale dovrebbe essere registrato solo se omologato.

Si potrebbe replicare che quando la registrazione è posticipata all’omologa, ciò avviene perché l’omologa è obbligatoria e, senza, l’atto non ha effetto; invece la conciliazione è omologata facoltativamente ed ha effetti negoziali anche prima e senza.

L’argomento non è decisivo, perché le citate disposizioni del DPR 131/86 non escludono la let-tura proposta e non è detto che dalla vincolatività discenda per forza l’obbligo di registrare in ter-mine fisso.

Il lodo rituale vincola le parti (art. 824 bis cpc) ma non è soggetto a registrazione in termine fis-so; se le parti ne danno spontanea esecuzione, si sottraggono all’imposta, mentre se è tassato se reso esecutivo (art. 825 cpc).

L’alternativa sarebbe considerare i verbali come scritture private non autenticate, con obbligo delle parti di registrazione in termine fisso.

Questa soluzione, a parte i dubbi teorici, soffre un problema pratico: per la registrazione va presentato almeno un originale (art. 11, comma 3° DPR 131/86) ma l’art. 11, ult. comma D. Lgs. 28/10 afferma che l’organismo alle parti ne rilascia una copia.

Ammesso e non concesso che la registrazione debba essere eseguita dalle parti in termine fisso, va escluso che la previa registrazione del verbale sia requisito di regolarità ai fini dell’omologa, perché la produzione in giudizio di un atto non registrato è ammessa, potendo l’ufficio tassarlo col provvedimento di cui sia fondamento (art. 65 DPR 131/86)

Inoltre, l’omessa registrazione non preclude la tutela esecutiva o altra assimilabile, per cui la cancelleria deve rilasciare le copie con formula esecutiva del complesso documentario costituito da verbale e omologa (cfr. Corte Costituzionale 21 novembre 2002 n. 2183 e 10 giugno 2010 n. 198).

L’ OMOLOGA

PROCEDIMENTO E COMPETENZA

La procedura è ad istanza della parte o dei suoi aventi causa. Al ricorso dovrebbe allegarsi la copia che l’organismo rilascia ai sensi dell’art. 11, comma 5° D. Lgs. 28/10.

Per i primi provvedimenti organizzativi, l’omologa è delegabile ai Presidenti di sezione, secondo i criteri tabellari: a tal fine, la parte indica nel ricorso la materia oggetto del contenzioso definito con la conciliazione e relativo codice ministeriale, quello cioè del giudizio evitato o conciliato (Trib. Milano, 21 marzo 2011 - Provvedimento in merito all’organizzazione dei servizi concernenti l’emissione del decreto di omologa dei verbali di conciliazione).

L’istanza s’incardina nella volontaria giurisdizione e dovrebbe andare esente da contributo unificato poiché al comma 2° dell’art. 17 D. Lgs. 28/10 si legge che “Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura”.

Competente è il Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo presso il quale s'è svolta la mediazione.

La competenza non muta per la trattazione di tutte o singole sessioni in luoghi diversi (art. 8, comma 2° D. Lgs. 28/10).

Non muta per l'utilizzo di strutture, personale e mediatori di altri organismi con cui sia stata raggiunta un'intesa, anche per singoli affari (art. 7, lettera c) DM 180/10) nei limiti in cui la mediazione resti riferibile all'organismo iniziale (cfr. anche art. 4 lettera a), su cui infra).

Diverso è se l'intesa implica l’affidamento completo della mediazione ad altro organismo, cioè se questo le tratta come proprie, conservandone atti e verbale conclusivo.

Secondo il DM 180/10, un organismo non accreditato di diritto (art. 19 D. Lgs. 28/10) deve operare almeno in due regioni diverse o due province della stessa regione (art. 4, lettera a) e può farlo sia con gli accordi dell'art. 7 lettera c) sia aprendo sedi secondarie o succursali.

Neanche la trattazione presso questi luoghi dovrebbe spostare la competenza per l’omologa, basata sulla sede legale.

Ragionevole è che per sede s’intenda quella al momento della conciliazione, non rilevando successivi trasferimenti, tantomeno chiusure definitiva.

Nelle controversie transfrontaliere di cui all'art. 2 della Direttiva 2008/52/CE, la competenza è del Presidente del Tribunale nel cui circondario l'accordo deve avere esecuzione.

Se il Presidente rileva la propria incompetenza, inderogabile ex art. 28 cpc, deve dichiararla, rifiutando l’omologa.

Nel corso del procedimento, in applicazione dell’art. 738 ult. comma cpc, il Presidente potrebbe in casi particolari, attuare una sommaria istruttoria, richiedendo schiarimenti e integrazioni.

La procedura si chiude con un decreto motivato sia per l’accoglimento che per il rigetto (art. 737 cpc).

IMPUGNAZIONE DEL DECRETO

Quanto ai rimedi concessi alle parti rispetto al provvedimento sull’omologa, nel silenzio della legge due tesi sono sostenibili: l’applicazione analogica dell’art. 825 cpc o la volontaria giurisdizione in senso generico.

Riterrei più consono il riferimento alla volontaria giurisdizione (artt. 737 e seguenti cpc), perché la fattispecie non è assimilabile completamente a quella del lodo arbitrale ai fini di un’applicazione analogica.

Il lodo arbitrale rituale non è un accordo tra le parti.

Alle parti del lodo, che realizza un giudicato (art. 828 cpc), non restano aperte tutte quelle strade che, invece, sono riconosciute alle parti dell’accordo e sulle quali ci soffermeremo oltre.

Le parti destinatarie del lodo possono solo impugnarlo (art. 827 cpc) e in caso di exequatur concesso o negato, non hanno altra strada che il reclamo ex art. 825 cpc in corte d’appello, non potendo esso intervenire sul contenuto del lodo o sui vizi che il giudice potrebbe aver rilevato.

Si giustifica allora il garantismo della comunicazione ad entrambe del decreto (art. 825 cpc) e la possibilità di impugnare con termini più ampi di quelli dell’art. 739 cpc.

Difettando certe caratteristiche alla conciliazione, pare più consono assimilare l’omologa alla volontaria giurisdizione, con partecipazione al procedimento della sola parte istante e con facoltà di chiedere la modifica o la revoca dei provvedimenti ex art. 742 cpc, senza che si maturi in via definitiva una preclusione.

La parte che subisce l’esecutività di una conciliazione omologata può, del resto, sempre contestare che essa sia avvenuta fuori dai presupposti di legge (anche in riferimento alla competenza del Tribunale), attraverso un’istanza di revoca o in sede di opposizione all’esecuzione.

RAPPORTI TRA VERBALE, OMOLOGA E ALTRE AZIONI

Il diniego di omologa non accerta definitivamente la contrarietà dell’accordo, o di singole clausole, all’ordine pubblico o a norme imperative; l’effetto è solo che esso non consegue efficacia esecutiva e per iscrivere ipoteca.

Così, l’omologa concessa implica solo che l’accordo abbia questi effetti, senza convalidare definitivamente una conciliazione contraria all’ordine pubblico o a norme imperative.

Un procedimento di volontaria giurisdizione non è pensabile abbia la portata di stabilire con effetti preclusivi, al di fuori del contraddittorio e delle garanzie complete della giurisdizione e dei gradi di giudizio, la supposta “legalità” o “illegalità” dell’accordo.

Questo vale non solo per le parti, ma anche per i terzi.

Si dice che il diniego d’omologa integra responsabilità del mediatore che abbia formulato la proposta, visto che deve essere non contraria all’ordine pubblico o a norme imperative (art. 14 comma 2° lettera c), ma certamente il mediatore convenuto per danni potrà dimostrare al giudice competente che l’accordo era perfettamente legale.

In definitiva, in una causa ordinaria si potrà decidere che l’accordo la cui omologa è stata negata era valido ovvero che (anche ex art. 615 cpc) quello omologato era invalido.

Parallelamente, le parti sono libere di non avvalersi dell’omologa, ben potendo percorrere altre vie, basate soltanto sul valore negoziale dell’accordo.

Potrà essere introdotta una causa per far valere i diritti riconosciuti dall’accordo, oppure, nei debiti casi, utilizzarlo per un decreto ingiuntivo.

Tra l’altro, se chiedo la risoluzione e non l’adempimento, l’omologa non serve per definizione a nulla.

La scelta di queste vie non si lega alla previa omologa e al suo diniego, eventualmente avvenuto anche per un’irregolarità formale, perché la parte può sempre avere un apprezzabile interesse ad un giudicato (art. 100 cpc). Invero, neppure l’omologa concessa osta, perché la parte che disponga del titolo esecutivo può agire per ottenere un provvedimento giudiziale, come si ricava anche dall’art. 642 cpc.

CONTENUTI ED INQUADRAMENTO DEL VERBALE

Sembra utile a questo punto dare anche alcuni cenni sintetici ad argomenti legati in tutto o in parte al verbale come titolo esecutivo, ad alcuni contenuti particolari, alla sua attitudine a costituire titolo per l’iscrizione ipotecaria.

IL VERBALE DI CONCILIAZIONE COME TITOLO ESECUTIVO

Nella normativa recente il legislatore ha ampliato i titoli esecutivi di formazione stragiudiziale e la loro portata esecutiva.

All’art. 474 numero 2) cpc si sono inserite le scritture private autenticate, per le somme di denaro. Con l’art. 474 numero 3) cpc, gli atti ricevuti da notaio possono fondare non più solo l’espropriazione forzata, ma anche la consegna o il rilascio.

Una tendenza simile si è avuta nel campo della conciliazione.

Alle conciliazioni delle CCIAA (art. 2 L. 29 dicembre 1993 n. 580), non era attribuito valore di titolo esecutivo, mentre con l'art. 40 D. Lgs. n. 5/2003 i verbali omologati costituiscono titolo per per l’espropriazione e l’esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione d'ipoteca giudiziale.

Ma ad onta della stessa provenienza sostanziale, i verbali di conciliazione non sono assimilabili ai titoli esecutivi stragiudiziali dell’art. 474 cpc.

Non rientrano nell'art. 474 cpc numero 3), perché non sono atti pubblici, ma neanche nel numero 2) perché non sono scritture private autenticate, salvo quelle redatte per atti e contratti da trascrivere ex art. 2643 c.c., come dimostra il fatto stesso che per queste ultime il D. Lgs. 28/10 chiede l’intervento e il soccorso del pubblico ufficiale (art. 11, comma 3°).

Per quanto la sottoscrizione sia certificata dal mediatore, la conciliazione non ha quindi di suo né valore esecutivo né per l'iscrizione ipotecaria ma, una volta omologata, può estendere la portata esecutiva anche all'esecuzione in forma specifica.

Alla luce di queste considerazioni, e tenuto conto dell’opinione comune secondo cui nella previsione dell'art. 474 n. 1) rientrano non soltanto i verbali di conciliazione conclusi in giudizio ma anche quelli degli artt. 411 e 412 cpc e dell'art. 40 D. Lgs. 5/2003, la stessa conclusione vale per i verbali di conciliazione del D. Lgs. 28/10.

A fini pratici, peraltro, la classificazione nell’art. 474 n. 1) cpc non ha specifico rilievo per stabilire quale sia la portata esecutiva dell'accordo omologato, avuto riguardo al fatto che le scritture autenticate (474 n. 2) possono valere come titolo esecutivo solo per somme di denaro mentre gli atti pubblici (474 n. 3) anche per consegna e rilascio, mentre i provvedimenti e gli atti del numero 1) valgono per ogni tipo di esecuzione.

Infatti, il D. Lgs. 28/10 stabilisce direttamente che il verbale omologato è idoneo per tutte le forme di esecuzione, ivi compresi gli obblighi di fare ex art. 612 cpc.

La considerazione dell'accordo come titolo esecutivo “giudiziale”, implica comunque l’opportuna riconduzione e sottoposizione di esso in via diretta alle regole degli articoli 475 e 476 cpc, ai fini del rilascio da parte della cancelleria delle copia del complesso documentale costituito da verbale e sua omologa, munito di formula esecutiva. Rilascio per cui dovrebbe sempre valere l’esenzione dell’art. 17 comma 2° D. Lgs. 28/10.

L’ISCRIZIONE IPOTECARIA

L’art. 12 D. Lgs.. 28/2010 afferma che verbale omologato consente l’iscrizione ipotecaria.

La norma va letta non già nel senso che il verbale è “titolo esecutivo (…) per l’iscrizione ipotecaria, ma che è titolo (…) per l'iscrizione ipotecaria.

Non c'è corrispondenza necessaria tra titolo esecutivo e titolo per iscrivere l’ipoteca: una sentenza non esecutiva come la condanna generica (art. 278 cpc) consente l'iscrizione ipotecaria (art. 2818 c.c.); viceversa, non tutti i titoli esecutivi consentono l'iscrizione d'ipoteca (ad es. l'ordinanza ex art. 186 quater cpc)

L’iscrizione ipotecaria eseguita in forza della conciliazione omologata, non è un’ipoteca volontaria. La fonte del credito è l’accordo, ma il diritto d’iscrivere ipoteca deriva dalla legge.

Pertanto, in forza del verbale omologato può esser iscritta ipoteca su tutti quei beni che il creditore ritiene opportuno e perciò l’iscrizione presa in forza del verbale omologato si assimila ad un’iscrizione d’ipoteca giudiziale (cfr. art. 2818 c.c.), denominazione addirittura esplicitata come tale nell’art. 40 comma 8° D. Lgs. 3/2005.

ATTI E CONTRATTI DELL’ART. 2643

L'art. 11 comma 3° D. Lgs.. 28/10 prevede che l'accordo può riguardare uno dei contratti o atti dell'art. 2643 cod.civ.. Per poter procedere alla trascrizione, la sottoscrizione deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

In questi casi, il rilievo a fini esecutivi inerisce solo a pattuizioni ulteriori, quali il saldo prezzo, un risarcimento accessorio, l’obbligo di consegna.

L'art. 2643 c.c., peraltro, non esaurisce gli atti trascrivibili in materia di diritti reali, tanto che andrà ritenuto, in via d'interpretazione correttiva, questo disposto estensibile ad ogni altro atto o contratto trascrivibile.

Il legislatore ha dimenticando che la vastità della materia “civile e commerciale” implica in molti casi il rispetto di specifiche forme e oneri di pubblicità.

Così, stabilita l'obbligatorietà della mediazione in materia di divisione, non si parla di trascrizione delle divisioni frutto di conciliazione (art. 2646 c.c.); stabilita la mediazione obbligatoria per l’affitto d’azienda, nulla si dice per l’eventuale iscrivibilità degli accordi al registro imprese ai sensi dell’art. 2556 c.c..

VIOLAZIONI O RITARDO NELL’ADEMPIMENTO

L'accordo può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento (art. 11 comma 3°), riecheggiando i provvedimenti ex art. 614 bis cpc, che il giudice può dare con la sentenza di condanna per obblighi di fare infungibile o di non fare.

Chiaro è l'intento di consentire quegli stessi effetti che il giudice attribuisce, evitando che le parti rifuggano la mediazione perché inidonea a dare risultati parificabili.

Poiché nulla impediva alle parti di assumere pattuizioni di quel contenuto con delle penali contrattuali (art. 1382 c.c.), il presumibile valore aggiunto della norma è che, mentre per la penale l’inadempimento va accertato e deve refluire in un nuovo titolo esecutivo, qui la parte deduce direttamente in precetto l’inadempimento e quantifica l’importo.

Da notare, peraltro, che quanto precede non è riferito, come nell’art. 614 bis cpc, espressamente alla sola violazione di obblighi di fare infungibile o di non fare, ma a tutti gli “obblighi stabiliti”, cioè anche quelli suscettibili di esecuzione forzata per espropriazione e in forma specifica.

La fonte negoziale, mentre esclude il limite della manifesta iniquità di cui all’art. 614 bis cpc (salvo non lo si voglia ritenere, in qualche misura, “di ordine pubblico”), per la stessa ragione autorizza una riduzione equitativa giudiziale a posteriori (art. 1384 c.c.), ma non certo in omologa quanto in un contenzioso di merito.

CONCLUSIONE

L’attitudine del verbale di conciliazione, raggiunta in seno agli Organismi deputati, a consentire la tutela esecutiva e l’iscrizione ipotecaria costituisce, per molti aspetti, una novità per il nostro ordinamento, dati anche i termini in cui il Decreto Legislativo 28/2010 l’ha disciplinata.

L’attribuzione di poteri certificativi ai mediatori, l’estensione dei controlli in fase di omologa, non più solo di regolarità formale, ma anche di legalità, rapportati ad un ambito applicativo vastissimo, cioè tutta la materia dei diritti disponibili in sede civile e commerciale, sono tutti aspetti che aprono problematiche nuove e importanti, molte delle quali probabilmente nemmeno al momento s’intravedono con chiarezza.

Abbiamo esaminato quegli aspetti che a noi parevano principali, in riferimento all’omologa del verbale e a quanto sia connesso ad essa.

Non si sono trovate soluzioni, ma solo fornite alcune linee interpretative e operative, ispirate alla finalità di affrontare e superare con ragionevolezza le principali criticità ed integrare, in via sistematica, i vari aspetti di cui il legislatore non s’è occupato specificamente, nell’intento di ricondurre la normativa al quadro di contorno.