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Dichiarazione di inizio attività:

natura giuridica e tutela del controinteressato

Natura giuridica della d.i.a.: atto amministrativo abilitativo tacito o atto privato.

Tutela del terzo: impugnazione diretta, sollecitazione del potere sanzionatorio o di autotutela. Ammissibilità dell’azione di accertamento nel giudizio amministrativo.

a cura di Claudio Zanda*

LA QUESTIONE

La dichiarazione di inizio attività (art. 19, l. 241/1990) ha natura di atto amministrativo tacito, ovvero è atto formalmente e soggettivamente privato? Quali le conseguenze, sul piano della tutela riconoscibile al terzo controinteressato, che derivano dall’adesione all’una o all’altra qualificazione? È ammissibile nel processo amministrativo, al pari di quello civile, l’azione di accertamento?

INTRODUZIONE

L’istituto della dichiarazione di inizio attività è disciplinato dall’art. 19 della legge sul procedimento amministrativo (legge 7 agosto 1990, n. 241).

Sin dall’originaria previsione, la ratio della dichiarazione di inizio attività è stata ravvisata nella volontà del legislatore di evitare che sia il procedimento amministrativo il luogo giuridico in cui è valutata la legittimità di un comportamento del soggetto privato: è direttamente la legge che stabilisce quali soggetti possono svolgere determinate attività, senza che sia più necessario l’intervento della pubblica amministrazione in funzione di composizione degli interessi in gioco.

Dalla sua introduzione, la dichiarazione di inizio attività è stato oggetto di due significative modifiche, apportate con le leggi 24 dicembre 1993, n. 537 e 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35), entrambe volte ad ampliarne la sfera di applicabilità.

Nella disciplina originaria, la dichiarazione di inizio attività era chiaramente istituto eccezionale. Da un lato la norma di legge rinviava a un successivo regolamento che individuasse le ipotesi, tassative, nelle quali la dichiarazione di inizio attività poteva essere applicata (I comma). Dall’altro (IV comma) la dichiarazione di inizio attività era applicabile solo nei casi in cui il rilascio dell’atto di assenso dell’amministrazione dipendesse esclusivamente dall’accertamento dei presupposti e dei requisiti prescritti dalla legge, sicché era radicalmente esclusa qualora per il suo rilascio fosse necessario l’esperimento di prove, nonché quando fossero previsti limiti o contingenti per il rilascio dell’atto di assenso.

Un terzo tipo di limite, invero valido tutt’oggi, era poi costituito dal caso in cui potesse derivare pregiudizio alla tutela dei valori storico-artistici e ambientali: anche per questa ipotesi la dichiarazione di inizio attività non era, e non è, praticabile.

L’art. 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (legge finanziaria per il 1994) modifica in maniera significativa il regime della dichiarazione di inizio attività, che, da eccezione qual era, diviene la regola. Salve le specifiche eccezioni, la dichiarazione di inizio attività diviene applicabile «in tutti i casi in cui l’esercizio di un’attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato».

Da ultimo, l’art. 19 della legge 241/90 è stato riscritto dall’art. 3 del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 (convertito con legge 14 maggio 2005, n. 80). Le innovazioni apportate sono diverse, e operano su piani differenti.

Anzitutto, nel solco della riforma del 93, il campo di applicazione della dichiarazione di inizio attività è stato ulteriormente allargato, in due direzioni: da un lato la dichiarazione di inizio attività diviene percorribile anche per atti abilitativi il cui rilascio presupponga l’esercizio di una discrezionalità tecnica; dall’altro nella sfera applicativa della dichiarazione di inizio attività rientrano ora anche le concessioni non costitutive e le domande per l’iscrizione in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale.

In secondo luogo la novella, recependo la giurisprudenza formatasi sul punto, ha previsto espressamente il potere di autotutela della pubblica amministrazione, negli strumenti della revoca (art. 21 quinquies) e dell’annullamento (art. 21 nonies).

Ulteriore novità riguarda la struttura della dichiarazione di inizio attività A differenza della disciplina previgente, il privato non può più iniziare l’attività immediatamente dopo la presentazione della dichiarazione di inizio attività. A tal fine è necessario: a) il decorso di un termine di trenta giorni, decorrente dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività; b) la comunicazione alla pubblica amministrazione dell’effettivo inizio dell’attività dichiarata.

Dal momento della comunicazione dell’effettivo inizio dell’attività, comincia a decorrere un ulteriore termine di trenta giorni, all’interno del quale la pubblica amministrazione può esercitare un potere di controllo - diverso dal generale potere di autotutela sopra richiamato – che può concretizzarsi in un provvedimento a contenuto inibitorio o conformativo.

LE NORME

Legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241/90)

19 - Dichiarazione di inizio attività

Codice civile

2908 - Effetti costitutivi delle sentenze

LA FATTISPECIE

Così sinteticamente ricostruite la ratio e l’evoluzione della disciplina normativa della dichiarazione di inizio attività, si deve adesso trattare della questione che maggiormente ha diviso la dottrina e - soprattutto - la giurisprudenza, vale a dire la natura giuridica della dichiarazione di inizio attività

Due le ricostruzioni possibili.

Alla stregua di una prima interpretazione la dichiarazione di inizio attività, rispondendo ad esigenze di liberalizzazione, è atto formalmente e soggettivamente privato. La legge non richiede più un provvedimento amministrativo quale titolo di legittimazione; il diritto del privato si fonda direttamente sulla legge.

Per altra opzione ermeneutica, la dichiarazione di inizio attività è un istituto di mera semplificazione procedimentale, qualificabile alla stregua di atto amministrativo abilitativo tacito. La legittimazione del privato all’esercizio dell’attività non discende direttamente dalla legge, bensì dalla presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e dal decorso del termine previsto per esercitare il potere inibitorio da parte della pubblica amministrazione

Come si vedrà approfonditamente infra, dall’adesione all’una o all’altra tesi discendono conseguenze significative in ordine alla tutela esperibile dal terzo leso dal formarsi della dichiarazione di inizio attività.

1) La dichiarazione di inizio attività quale atto amministrativo tacito.

Argomenti…

I fautori della tesi pubblicistica fanno leva sulle seguenti argomentazioni.

a) Dato testuale dell’art. 19.

Anzitutto il tenore letterale dell’art. 19, l. n. 241/90. L’espressione «l’atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di inizio attività» è così interpretato nel senso che la dichiarazione del privato è equiparata ad un atto amministrativo abilitativo.

b) Riferimento ai poteri di autotutela.

Come già osservato nell’Introduzione, la disciplina della dichiarazione di inizio attività prevede, all’art. 19, III comma la possibilità per la pubblica amministrazione di esercitare i poteri di annullamento (art. 21 quinquies) e di revoca (art. 21 nonies). Ora, una simile previsione si giustifica soltanto sul presupposto che l’atto da annullare o revocare (la dichiarazione di inizio attività) sia un atto amministrativo, potendosi i poteri di secondo grado della pubblica amministrazione esplicarsi solo a fronte di un atto pubblicistico di primo grado.

c) Equiparazione - operata dall’art. 21, comma II bis - tra dichiarazione di inizio attività e silenzio assenso.

A ulteriore conferma di tale ultimo assunto, si evidenzia come la norma dell’art. 21, comma II bis, nel prevedere che «restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad assenso da parte di pubblica amministrazione previste da legge vigenti», pone sullo stesso piano gli istituti della dichiarazione di inizio attività e del silenzio assenso. Sicché, poiché non si discute circa la natura pubblicistica del silenzio assenso, la stessa natura deve essere riferibile anche alla dichiarazione di inizio attività.

… e critica.

Nessuno degli argomenti sopra citati è ritenuto decisivo da chi ritiene la dichiarazione di inizio attività un atto del privato.

Non è dirimente il dato letterale dell’art. 19. Al contrario, dalla formulazione dell’articolo citato emerge in maniera chiara come la dichiarazione di inizio attività venga dal legislatore nettamente contrapposta al provvedimento amministrativo: è prevista proprio la sostituzione con una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione comunque denominata (eccetto i casi tassativi, richiamati nell’Introduzione, in cui la dichiarazione di inizio attività non può trovare applicazione).

Sicché, si afferma, la principale caratteristica e la vera novità dell’istituto consiste proprio nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di autorizzazione con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l’esercizio delle stesse non è più necessaria l’emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717).

Nemmeno è ritenuta decisiva la previsione dei poteri di autotutela con cui la pubblica amministrazione può incidere sulla dichiarazione di inizio attività ormai formatasi (art. 19, III comma). Si afferma in particolare che trattasi di un potere di autotutela sui generis, non consistendo in una attività di secondo grado incidente su un precedente provvedimento amministrativo. Questo particolare potere condivide, con l’autotutela classica, solo i presupposti ed il procedimento.

Anzi, il riferimento ai poteri di autotutela potrebbe essere invocato contro la tesi del titolo abilitativo tacito: se la dichiarazione di inizio attività fosse veramente un provvedimento, si osserva, non vi sarebbe nemmeno bisogno di prevedere un potere di annullamento di ufficio o di revoca, essendo a tal fine sufficienti le norme generali ex art. 21 quinquies e 21 nonies.

2) La dichiarazione di inizio attività quale atto privato.

Argomenti.

I sostenitori della tesi privatistica adducono, oltre a quelli appena richiamati come critica alla tesi opposta, ulteriori argomenti a sostegno della loro posizione.

a) Struttura della dichiarazione di inizio attività.

Il fondamento giuridico dell’attività privata si radica direttamente nella sfera normativa, non più nell’intervento dell’amministrazione. La dichiarazione di inizio attività opera quindi secondo lo schema norma-effetto (o norma-fatto-effetto), e non norma-potere-effetto. Ne consegue la originaria titolarità in capo al privato di un vero e proprio diritto soggettivo.

b) Collocazione topografica dell’art. 19 e differenze di disciplina rispetto al silenzio assenso.

Se la dichiarazione di inizio attività fosse un mero atto endoprocedimentale di avvio di un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento di accoglimento per silentium, sarebbe arduo cogliere una sostanziale differenza tra dichiarazione di inizio attività e silenzio assenso. Né si spiegherebbe la scelta del legislatore di disciplinare gli istituti della dichiarazione di inizio attività e del silenzio assenso in due disposizioni diverse (artt. 19 e 20, rispettivamente).

Esigenze di coerenza sistematica impongono allora di tenere ben distinte le due fattispecie: mentre con la dichiarazione di inizio attività si attua una liberalizzazione dell’attività privata non più soggetta ad autorizzazione, il silenzio assenso non incide in senso abrogativo sul regime autorizzatorio, ma costituisce una mera semplificazione procedimentale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717).

3) La posizione della giurisprudenza.

La giurisprudenza appare profondamente divisa in ordine al tema che qui ci occupa, non mancando clamorosi revirements. Appare pertanto necessario l’intervento dell’Adunanza plenaria.

In particolare, mentre negli ultimi anni sembrava consolidarsi l’interpretazione privatistica, il Consiglio di Stato, con due pronunce del 2007 - numero 1550 e 4828, entrambe della sezione VI - e una del 2008 - numero 5811, sezione IV - ha impresso un radicale mutamento di rotta, aderendo alla tesi pubblicistica.

Da ultimo, la recente decisione, più volte citata, 9 febbraio 2009, n. 717 - sempre della sezione VI - ha riaffermato la natura di atto privato della dichiarazione di inizio attività

4) Tutela del terzo.

La questione della natura giuridica della dichiarazione di inizio attività è inscindibilmente legata a quella della tutela del terzo, tanto da potersi dire che questi due aspetti costituiscono le due facce della stessa medaglia. Anzi, come si vedrà infra, uno dei motivi addotti a sostegno della interpretazione pubblicistica consiste proprio in ciò che, consentendo l’impugnazione della dichiarazione di inizio attività, riconosce al privato controinteressato una maggiore tutela, in un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 24 della Costituzione.

Ma la recente decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717, ammettendo - con una pronuncia estremamente innovativa - un’azione di accertamento atipica all’interno del processo amministrativo, riconosce al terzo una tutela altrettanto effettiva di quella ricavabile da una ordinaria azione impugnatoria.

Sicché anche l’argomento che - al fine di ritenere la dichiarazione di inizio attività atto amministrativo tacito - fa leva sulle esigenze di tutela del terzo sembra oggi perdere di consistenza.

Tesi pubblicistica.

Alla stregua della tesi pubblicistica, il privato leso dalla dichiarazione di inizio attività è legittimato a impugnare il provvedimento abilitativo tacito nei consueti termini decadenziali tipici del processo amministrativo, al fine di ottenerne l’annullamento.

Il termine dei sessanta giorni decorre dalla comunicazione del perfezionamento della denuncia o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento.

Quella in tema di dichiarazione di inizio attività, si precisa, è un’ipotesi di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 19, comma 5.

In particolare, due sono i profili sui quali il privato potrà sollecitare l’attenzione del giudice. Da un lato il ricorrente potrà mirare a dimostrare che l’intervento per il quale sia stata avanzata la dichiarazione di inizio attività non è affatto consentito e contemplato dalla normativa di settore; dall’altro potrà rimarcare come l’attività in questione non sia assentibile mediante dichiarazione di inizio attività, ma necessiti di un provvedimento abilitativo espresso che consegua alla presentazione di un’istanza da parte dell’interessato.

Tesi privatistica:

Più articolato è il panorama delle tecniche di tutela configurate dal filone privatistico.

In particolare, si possono distinguere tre diverse ricostruzioni.

a) Potere di autotutela della pubblica amministrazione e impugnazione del silenzio.

Secondo una prima impostazione, il privato sarebbe legittimato a rivolgersi alla pubblica amministrazione al fine di sollecitare l’esercizio del potere di autotutela. Scaduto il termine per l’esercizio dei poteri di autotutela, si formerebbe il silenzio-inadempimento, impugnabile davanti al giudice amministrativo, con lo speciale rito ex art. 21 bis legge TAR.

Contro questa ricostruzione si è evidenziato il contrasto con i generali principi che regolano l’esercizio dei poteri di autotutela della pubblica amministrazione. In particolare si sottolinea come quello di autotutela sia considerato, da dottrina e giurisprudenza dominanti, un potere discrezionale della pubblica amministrazione, non sussistendo, rispetto a questo, una posizione di interesse legittimo in capo al privato, ma di mero interesse di fatto.

Ne consegue, con tutta evidenza, la difficoltà di ammettere il formarsi del silenzio-inadempimento a fronte dell’istanza del controinteressato. Una volta esclusa la formazione del silenzio-inadempimento, va da sé che il terzo non potrà adire il giudice amministrativo ex art. 21 bis legge TAR, sicché egli resterà privo di effettiva tutela.

b) Potere repressivo-sanzionatorio della pubblica amministrazione.

Una seconda tesi, per certi versi sovrapponibile alla prima, riconosce al terzo la possibilità di sollecitare (non il potere di autotutela, bensì) il generale potere sanzionatorio previsto in caso di abusi.

Anche questa ricostruzione fa leva sulla procedura del silenzio-rifiuto, il quale si formerebbe, secondo i principi generali, in caso di inerzia della pubblica amministrazione

La differenza rispetto alla tesi precedente consiste nel fatto che il potere sanzionatorio, a differenza, di quello di autotutela, è potere vincolato, non già meramente discrezionale. Ne consegue il superamento della critica rivolta alla teoria dell’autotutela: infatti alla stregua di questa seconda impostazione, il privato sarebbe titolare di un vero e proprio interesse legittimo - e non di un mero interesse di fatto - in quanto tale idoneo a consentire la formazione del silenzio-inadempimento, e quindi il ricorso al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 21 bis legge TAR.

c) Azione di accertamento.

Un’ultima affascinante opzione ermeneutica - affermata da ultimo con forza dalla più volte richiamata sentenza del Consiglio di Stato, 9 febbraio 2009, n. 717 - ammette il privato ad esercitare, davanti al giudice amministrativo, un’azione di accertamento volta ad accertare l’insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per l’avvio dell’attività.

Emanata la sentenza di accertamento, graverà sulla pubblica amministrazione l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti.

Per ammettere un’azione di accertamento autonoma nel processo amministrativo si rende necessario superare i numerosi dubbi prospettati sul punto da dottrina e giurisprudenza.

Anzitutto, sostiene la tesi contraria, una azione di accertamento è ammissibile solo in un giudizio nel quale le parti si trovino in posizione di parità. Quando, viceversa, sussiste un soggetto in posizione di supremazia (la pubblica amministrazione), la soluzione del conflitto di interessi sarebbe demandata a tale soggetto, che detiene e gestisce il potere; in simili casi, configurare un giudizio di accertamento sul rapporto configurerebbe una inammissibile sostituzione della pubblica amministrazione nella titolarità e nella gestione del potere.

Ulteriori ostacoli all’azione di accertamento autonomo sono poi i seguenti: a) la negazione del valore sostanziale della figura dell’interesse legittimo, avente la stessa dignità del diritto soggettivo; b) la mancanza di una norma espressa che fondi tale azione; c) la tradizionale configurazione del processo amministrativo come giudizio sull’atto e non sul rapporto; d) la limitazione dei mezzi di prova previsti per il processo amministrativo, che non consentirebbe al giudice di compiere un accertamento pieno del rapporto controverso.

Ma l’evoluzione normativa degli ultimi decenni sembra poter legittimare una conclusione opposta a quella tradizionale.

In primo luogo, la Corte Costituzionale, con sentenza 6 luglio 2004, numero 204, ha affermato che agli interessi legittimi devono essere riconosciute «le medesime garanzie assicurate ai diritti soggettivi quanto alla possibilità di farli valere davanti al giudice ed alla effettività della tutela che questi deve loro accordare».

Anche l’argomento secondo cui il giudizio amministrativo è giudizio sull’atto e non sul rapporto non sembra insuperabile. Infatti è evidente che nel caso della dichiarazione di inizio attività manca un provvedimento da scrutinare; sicché l’oggetto del giudizio non può che essere il rapporto.

Quanto alla mancanza di una norma che espressamente preveda la possibilità di esperire un’azione di accertamento, si rileva che nel processo civile l’azione di accertamento è atipica, pur mancando un esplicito riconoscimento normativo generale dell’azione di accertamento. E ciò perché il potere di accertamento è «connaturato al concetto stesso di giurisdizione, sicché si può dire che non sussista giurisdizione e potere giurisdizionale se l’organo decidente non possa quanto meno accertare quale sia il corretto assetto giuridico di un determinato rapporto» (Consiglio di Stato, 9 febbraio 2009, n. 717).

Nel nostro ordinamento dunque l’azione di accertamento non è tipica, a differenza - ad esempio - dell’azione costitutiva nel processo civile, ex art. 2908 c.c. L’ammissibilità dell’azione di accertamento discende di per sé dall’esistenza della giurisdizione che appunto implica lo ius dicere.

Ulteriore argomento a favore della tesi positiva consiste nel richiamo dell’art. 24 della Costituzione, che tutela gli interessi legittimi in sé considerati, e dunque indipendentemente dall’annullamento dell’atto amministrativo. Ne deriva allora che «anche per gli interessi legittimi la garanzia costituzionale impone di riconoscere l’esperibilità dell’azione di accertamento autonomo di questa posizione sostanziale, almeno in tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti necessaria per la soddisfazione concreta della posizione sostanziale del ricorrente» (Consiglio di Stato, 9 febbraio 2009, n. 717).

LA GIURISPRUDENZA

Le principali pronunce in tema natura giuridica della dichiarazione di inizio attività e del conseguente regime di tutela del terzo si possono schematizzare come di seguito.

LA D.I.A. È ATTO PRIVATO

Consiglio di Stato, sez. VI, 04-09-2002, n. 4453.

L’indirizzo giurisprudenziale che esclude la possibilità di far ricorso alla procedura di silenzio rifiuto allo scopo di provocare il ricorso dell’amministrazione all’autotutela trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare, attraverso di essa, il superamento della regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza; tale indirizzo presuppone una sequenza procedimentale in cui sussista un provvedimento non impugnato, e l’intrapresa della procedura del silenzio rifiuto allo scopo di provocare l’adozione di un secondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non tempestivamente impugnato; una situazione del genere non appare configurabile con riferimento alla denuncia di inizio di attività privata, ed alla successiva attività dell’amministrazione; da una parte, infatti, la denuncia di inizio di attività non ha valore di provvedimento amministrativo, né lo acquista in virtù del decorso del termine previsto per l’attività di riscontro della p.a.; dall’altra, quest’ultima non è un’attività di secondo grado, che interviene su di una precedente attività provvedimentale. (Urb. e app., 2003, 837)

Consiglio di Stato, sez. V, 19-06-2006, n. 3586.

La denuncia di inizio attività si configura come atto di iniziativa privata e la legittimazione all’esercizio dell’attività non è fondata su un atto di consenso della p.a., ma trova la propria fonte direttamente nella legge. (www.lexitalia.it)

Consiglio di Stato, sez. VI, 09-02-2009, n. 717.

La dichiarazione di inizio attività è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e perciò non costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica. La principale caratteristica e la vera novità della dichiarazione di inizio attività consistono nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di autorizzazione con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l’esercizio delle stesse non è più necessaria l’emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione. (www.federalismi.it)

LA D.I.A. È ATTO AMMINISTRATIVO TACITO

Consiglio di Stato, sez. IV, 12-09-2007, n. 4828.

La denuncia di inizio attività costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento, sul quale la p.a. svolge un’eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell’effettivo svolgimento dell’attività) del titolo legittimante l’inizio dei lavori; il consolidamento di questo titolo non comporta che l’attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, cosicché anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (trenta giorni) l’amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall’ordinamento; di conseguenza, deve ammettersi, per il principio di economia dei mezzi giuridici, la facoltà dell’amministrazione di inibire i lavori non iniziati anche dopo l’avvenuto consolidamento del titolo. (Foro it., 2008, III, 146)

Consiglio di Stato, sez. VI, 05-04-2007, n. 1550.

La denuncia di inizio attività non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, come da molti sostenuto, ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo (autorizzazione implicita di natura provvedimentale) a seguito del decorso di un termine (trenta giorni) dalla presentazione della denuncia; avverso il titolo abilitativo il terzo può presentare ricorso al giudice amministrativo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della denuncia di inizio attività o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di denuncia. (Giorn. dir. amm., 2007, 975)

AMMISSIBILITÀ DELL’AZIONE DI ACCERTAMENTO NEL GIUDIZIO AMMINISTRATIVO

Consiglio di Stato, sez. VI, 09-02-2009, n. 717.

Attesa la natura di dichiarazione privata della denuncia di inizio attività, lo strumento di tutela del terzo leso dall’intrapresa dell’attività da parte del dichiarante deve essere identificato nell’azione di accertamento autonomo, che il terzo può esperire innanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività. Emanata la sentenza di accertamento, graverà sull’Amministrazione l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti. (www.federalismi.it)

LA DOTTRINA

Si riportano i riferimenti dottrinali più significativi in materia.

- BOSCOLO, I diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art. 19 della legge n. 241/90 e altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001;

- CLARICH, «Tipicità delle azioni e azione di adempimento nel processo amministrativo», in Dir. proc. amm., 2005, 557;

- FERRARA, Diritti soggettivi ed accertamento amministrativo. Autorizzazione ricognitiva, denuncia sostitutiva e modi di produzione degli effetti, Milano, 1996;

- FERRARI, «La decisione giurisdizionale amministrativa: sentenza di accertamento o sentenza costitutiva? », in Dir. proc. amm., 1988, 597;

- FONDERICO, «Il nuovo tempo del procedimento, la d.i.a. e il silenzio assenso», in Giorn. dir. amm., 2005, 1017;

- GAROFOLI, «La giustizia amministrativa: la strada già percorsa e gli ulteriori traguardi da raggiungere», in www.giustamm.it;

- MARZARO GAMBA, La denuncia di inizio attività edilizia. Profili sistematici, sostanziali e processuali, Milano, 2005;

- PROTTO, Il rapporto amministrativo, Milano, 2008;

- TRAVI, «La Dia e la tutela del terzo: tra pronunce del g.a. e riforme legislative del 2005», in Urb. e app., 2005, 1332.

LE CONCLUSIONI

La questione della natura giuridica della dichiarazione di inizio attività, lungi dal trovare una soluzione condivisa, è ancora aperta.

Da un lato se ne afferma la natura di atto abilitativo tacito. Ne consegue la possibilità per il terzo controinteressato di impugnare direttamente la dichiarazione di inizio attività davanti al giudice amministrativo.

Dall’altro lato si ritiene la dichiarazione di inizio attività atto formalmente e soggettivamente privato. Ne discende, quanto alle tecniche di tutela esperibili dal terzo controinteressato, una triplice opzione: egli potrà sollecitare la pubblica amministrazione ad esercitare il potere di autotutela, ovvero il potere repressivo-sanzionatorio; infine, secondo quanto sostenuto dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, il terzo è legittimato ad adire il giudice amministrativo con un’azione autonoma di accertamento, al fine di far accertare l’insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per l’avvio dell’attività.