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Efficacia soggettiva tit. es.

LE SINTESI

CIVILE

ARGOMENTO

L’efficacia «ultra partes» del titolo esecutivo. Socio e società.

la QUESTIONE

Il titolo esecutivo emesso nei confronti della sola società di persone è direttamente spendibile anche contro i soci illimitatamente responsabili?

la RISPOSTA IN SINTESI

Un titolo esecutivo che obblighi all’adempimento una società di persone può essere validamente azionato anche contro il socio illimitatamente responsabile, in quanto dall'esistenza dell'obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio. La situazione non è differente da quella che, secondo l'art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo nei confronti di soggetti diversi dalla persona contro cui è sta-to formato.

di Marco CATTANI e Filippo Alessandro RICCI, Avvocati del Foro di Lucca.

Gli APPROFONDIMENTI

Trattazione approfondita della questione pag. 00

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GLI APPROFONDIMENTI

CIVILE

L’efficacia soggettiva del titolo esecutivo, in particolare l’efficacia del titolo verso la società di persone e i soci illimita-tamente responsabili.

a cura di Marco CATTANI e Filippo Alessandro RICCI

Avvocati del Foro di Lucca.

Studio Legale “CATTANI e ASSOCIATI,,

la QUESTIONE

Il titolo esecutivo emesso nei confronti della sola società di persone è direttamente spendibile anche contro i soci illimitatamente responsabili?

l’APPROFONDIMENTO

L’individuazione del problema.

Può accadere che l’esecuzione forzata produca i suoi effetti nella sfera giuridica di soggetti che non sono nominativamente indicati nel titolo esecutivo. Questo particolare fenomeno è contras-segnato dalla dottrina con il termine di esecuzione «ultra partes tituli» (LUISO, L’esecuzione «ultra partes», Milano 1984).

L’esecuzione ultra partes riguarda un soggetto terzo, nei confronti del quale si produrranno gli stessi effetti che normalmente si producono in capo al soggetto indicato nel titolo stesso.

Si deve osservare come il concetto di “terzo” non sia un concetto meramente descrittivo, quanto, in questa accezione, un concetto normativo. E all’interno delle disposizioni del codice di procedura civile si ritrova il significato giuridico di “terzo”. Per l’art. 475 c.p.c. sono terzi i succes-sori del creditore; per l’art. 477 c.p.c. sono terzi gli eredi del debitore; per l’art. 498 c.p.c. sono terzi i creditori del debitore esecutato; e così via. È quindi l’ordinamento a stabilire quando ha ragione di essere l’efficacia ultra partes.

Ci aspetteremmo allora di trovare una norma dove si indicano come terzi anche i soci illimi-tatamente responsabili, ma così non è. È lecito quindi domandarsi come sia possibile, o meglio, se sia possibile sostenere la tesi della esperibilità di un’esecuzione ultra partes tituli contro i soci illi-mitatamente responsabili di una società di persone.

L’efficacia del titolo esecutivo nei confronti dei terzi.

L’art. 477 c.p.c.

Il nostro ordinamento prevede diverse ipotesi di esecuzione ultra partes, infatti oltre all’art. 477, vi è l’art. 475 c.p.c. in punto di efficacia del titolo esecutivo a favore del successore e l’art. 602 c.p.c. che prevede l’espropriazione contro il terzo proprietario.

L’art. 477 c.p.c., a tenore del quale « il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi », costituisce l’unica norma che espressamente preveda un ambito soggettivo di efficacia del titolo esecutivo più ampio di quello risultante dall’indicazione letterale del titolo stesso.

L’erede del debitore si troverà, in effetti, nella posizione del debitore esecutato e nei suoi confronti si produrranno gli effetti che normalmente si producono nei confronti dei soggetti indicati nel titolo esecutivo. Si avrà, insomma, una scissione tra titolo esecutivo in senso sostanziale e titolo esecutivo in senso processuale, dove il debitore titolato rimane il de cuius, ma quello esecutato di-viene l’erede a titolo universale.

Verificandosi una successione fra i due obblighi, si avrà una diversità oggettiva fra l’obbligazione titolata e quella eseguita. La successione nell’obbligo porta alla nascita, in capo al successore, di un diritto oggettivamente e soggettivamente diverso da quello del suo dante causa, connesso al precedente per pregiudizialità – dipendenza. E la diversità risiede nel fatto che il suc-cessore potrà opporre al creditore procedente le eccezioni che il de cuius non avrebbe potuto oppor-re. Riassumendo, dall’art. 477 c.p.c. si ricava che il titolo esecutivo nel quale è accertato l’obbligo X del de cuius è utilizzabile dal creditore procedente contro l’erede per il suo obbligo Y o meglio ancora per il suo obbligo X’, oggettivamente diverso dal precedente, ma a questo connesso per pre-giudizialità – dipendenza. In altre parole, la situazione giuridica del dante causa è misura della si-tuazione giuridica dell’avente causa e gli effetti verificatisi rispetto all’una si mantengono — o per meglio dire sono duplicati — rispetto all’altra (CARNELUTTI, Appunti sulla successione nella lite, Riv. dir. proc., 1932, I, 9; ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano 1935, 135 e segg.; SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli 1970, 89). È necessario ribadire che l’obbligo dell’erede è sì dipendente, ma non è però identico al pregiudiziale; ci saranno infatti tutta una serie di fatti modificativi, impeditivi ed estintivi che, pur essendo irrilevanti per l’obbligo originario, sono invece peculiari per l’obbligo dipendente. Valga per tutti l’esempio dell’erede — debitore esecutato — che ha un controcredito nei confronti del creditore procedente.

L’art. 477 c.p.c. non impone al creditore di provare che il soggetto esecutato sia effettiva-mente erede del de cuius; sarebbe veramente difficile, per il procedente all’esecuzione, dimostrare la successione e procurarsi la prova documentale di quanto affermato. Eventuali false dichiarazioni del creditore procedente saranno fronteggiabili mediante il rimedio dell’opposizione all’esecuzione e solo allora l’onere della prova della qualità di erede sarà a carico del creditore. In effetti, l’ordinamento preferisce correre l’alea di un’esecuzione ingiusta, piuttosto che costringere il credi-tore a munirsi di un altro titolo esecutivo che valga direttamente nei confronti del terzo debitore. E le parole della relazione ministeriale in sede di redazione dell’art. 153 disp. att. c.p.c. sono più che chiarificatrici: il legislatore ha infatti ritenuto « preferibile lasciare alla parte la responsabilità di affermare la efficacia sostanziale del provvedimento, giacché contro una esecuzione iniziata senza titolo valido è facile il rimedio dell’opposizione ».

Segue. La ratio dell’art. 477 c.p.c.

A questo punto mette conto ricavare un principio generale da applicare analogicamente a tutti i casi, non specificamente individuati dall’art. 477 c.p.c., e purtuttavia riconducibili a quello in quanto sussista l’eadem ratio.

L’ordinamento consente la tutela in via esecutiva di un diritto sostanziale, solo quando que-sto diritto ha raggiunto la c.d. maturità esecutiva, cioè quando è rivestito di quell’habitus che è il ti-tolo esecutivo. Ebbene, se questo habitus è un momento dello stesso diritto sostanziale che ne de-termina un modo di essere, è allora evidente che nel trasferimento del rapporto giuridico dalla fatti-specie pregiudiziale a quella dipendente si verificherà anche il trasferimento del diritto alla tutela esecutiva.

La successione è definita come un fenomeno per cui avviene una duplicazione degli effetti, prodotti in relazione a una situazione giuridica, nella situazione giuridica dipendente. La situazione dipendente, pur essendo oggettivamente diversa da quella pregiudiziale, porta con sé, integre, le ca-ratteristiche delle precedenti e come tale acquista anche la tutelabilità esecutiva della prima. La dot-trina più autorevole ritiene infatti che quella della successione sia « una estensione al secondo rap-porto [quello dipendente, NdA] della efficacia dei fatti giuridici influenti sul primo » (CARNELUTTI, Appunti sulla successione nella lite, cit., 9). Ricorrendo allo schema della successione, ci sarebbe quindi una precisa scelta del legislatore — anche se implicita — di allargare la tutelabilità esecutiva concessa dal titolo per il solo rapporto pregiudiziale, anche al rapporto dipendente (SANTORO PAS-SARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli 1970, 89). Questa estensione non viola il prin-cipio “nulla executio sine titulo”, in quanto il titolo si riferisce a un diritto, seppure diverso da quel-lo oggetto dell’esecuzione, ma strettamente connesso con questo, perché ad esso pregiudiziale. Il di-ritto si è trasfuso nella situazione dipendente, che è quindi meritevole di tutela quanto quella da cui deriva.

Il principio sotteso all’art. 477 c.p.c. è dunque quello per cui se, come abbiamo visto, ogni effetto della situazione pregiudiziale si ripercuote su quella dipendente, allora anche la tutelabilità esecutiva — che è momento stesso del diritto sostanziale — si ripercuote e si trasmette alla situa-zione dipendente. E allora ogni qualvolta un atto, rispetto al rapporto pregiudiziale, avrà per i suoi titolari la stessa efficacia che ha per i titolari del rapporto dipendente, in tali effetti sarà ricompre-so anche quello esecutivo (LUISO, L’Esecuzione, cit, 198.). Ed è questa la ratio dell’art. 477 c.p.c.

L’efficacia del titolo esecutivo nei confronti del socio di società di persone.

Le norme in gioco.

Una serie di norme contenute nel Libro del Lavoro del c.c. dispongono che, a certe condi-zioni, il socio « risponde » delle obbligazioni sociali. Si prendano gli artt. 2267 e 2268 per la società semplice; gli art. 2291 e 2304 per la società in nome collettivo; gli artt. 2315 e 2320 per la società in accomandita semplice; l’art. 2452 per la società in accomandita per azioni e l’art. 2462 per l’unico socio di s.r.l.

Analizzare il fenomeno tenendo conto di tutte le norme sopra citate sarebbe oltremodo inte-ressante, ma esula dall’economia di questo lavoro. Limiteremo pertanto l’analisi alle società di per-sone e specificamente alla società in nome collettivo, della quale sembrano essersi maggiormente occupati dottrina e giurisprudenza. Il trasferimento dei risultati così acquisiti alle altre ipotesi non dovrebbe risultare troppo difficile, stante l’unitarietà del fenomeno.

Aspetti e caratteristiche della s.n.c. e delle altre società di persone.

Fra i tratti peculiari della s.n.c. — così come della s.a.s. — rileva sicuramente la spiccata au-tonomia patrimoniale in ordine ai rapporti sia con i creditori sociali sia con i creditori particolari dei soci. C’è una accentuazione del vincolo di destinazione impresso sui beni sociali o, in altre parole, una più intensa autonomia patrimoniale: l’art. 2305 c.c. stabilisce, a differenza che nella società semplice, che «il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può chiedere la liqui-dazione della quota del debitore sociale». Inoltre l’art. 2304 c.c. prescrive, sì una responsabilità il-limitata e solidale, ma sussidiaria. I creditori sociali potranno rivalersi sui soci solo dopo avere inu-tilmente escusso il patrimonio sociale.

L’elemento caratterizzante delle società di persone è proprio la responsabilità illimitata, in quanto indisponibile dalla volontà negoziale dei soci (a questo principio fanno unicamente eccezio-ne: l’art. 2267 c.c. in materia di società semplice; il socio accomandante e la particolare figura della trasformazione evolutiva di cui all’art. 2500 quinquies c.c.): questo accade perché il legislatore ha scelto di dare a tutti i soci il potere di amministrare la società e di controllarne l’operato attraverso strumenti idonei a inibire l’attività degli altri soci amministratori. Non solo, accanto a questo bino-mio si aggiunge quello della giustificazione economico – organizzativa della responsabilità. Da ciò si può affermare allora che la responsabilità dei soci oltre che illimitata è anche diretta: per la parti-colare struttura del patrimonio sociale, infatti, non può esistere una obbligazione del socio diversa da quella della società. L’obbligazione della società graverà, dunque, anche sul socio stesso in forza del suo potere di amministrare e della capacità della società di funzionare e di ottenere credito basa-ta sull’intero patrimonio dei soggetti che la partecipano. Ovviamente, i soci saranno tra loro obbli-gati solidalmente per l’adempimento delle obbligazioni sociali, in via principale nella società sem-plice, in via sussidiaria nella s.n.c. e nella s.a.s., dove la responsabilità del socio, benché diretta, è subordinata a quella della società.

« Non esiste una obbligazione del socio distinta da quella della società, ma è l’obbligazione della società, che sotto determinati aspetti grava anche sul socio» (FERRI a cura di, Delle società, in Commentario al codice civile, diretto da SCIALOJA – BRANCA, Bologna – Roma 1981; sub art. 2267, 2291, 2304 c.c.). Ecco allora che gli atti posti in essere da un amministratore saranno in grado di vincolare il socio esattamente come vincolano la società, con la sola differenza che la responsabilità del socio — all’infuori della società semplice — sarà subordinata a quella della società.

L’efficacia ultra partes del titolo esecutivo: socio e società.

Affinché il titolo esecutivo emesso contro la società possa spiegare efficacia ultra partes, è necessario che sussistano i due presupposti imprescindibili che avevamo ricavato sopra:

a) il rapporto di pregiudizialità – dipendenza tra obbligo oggetto di esecuzione nei confronti della società e quello del socio;

b) la pari efficacia nei confronti del socio e nei confronti della società dell’atto in cui consi-ste il titolo esecutivo.

Al riguardo dei requisiti sub a), abbiamo notato come i soci siano responsabili nei confronti dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2291 c.c. L’obbligazione della società grava sul socio in forza dell’aspetto diretto della responsabilità illimitata, per cui, tra la situazione giuridica soggettiva del socio e quella della società si può pacificamente fondare, come è stato acutamente osservato (LUI-SO, L’esecuzione, cit., 314) un rapporto di pregiudizialità – dipendenza, dove l’obbligo sociale è il fatto costitutivo dell’obbligo del socio al quale si somma la qualità di socio di s.n.c.

A differenza che nella successione ereditaria, dove le due situazioni (la pregiudiziale e la di-pendente) non convivono, ma si sostituiscono senza soluzione di continuità, quella che stiamo trat-tando è un’ipotesi di pregiudizialità – dipendenza in cui l’obbligo pregiudicato non sostituisce, ma accede e si aggiunge a quello pregiudicante. Per cui, pur perdurando l’obbligo della società in nome collettivo ad adempiere una obbligazione di pagare una somma di denaro, a questo obbligo si ag-giunge quello del socio illimitatamente responsabile.

Stabilito che ci troviamo in una situazione di pregiudizialità – dipendenza, rimane adesso da verificare il requisito sub b) e quindi l’efficacia degli atti posti in essere dall’amministratore nella sfera giuridica dei soci. In altre parole, va verificata l’efficacia nei confronti del socio del titolo ese-cutivo.

Il problema cui andiamo incontro è quello dei limiti soggettivi di efficacia della sentenza, un problema sul quale sono state avanzate diverse ipotesi ricostruttive: noi intendiamo aderire a quella c.d. restrittiva (LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso terzi, Milano 1981). Secondo questa tesi, il manifestarsi dell’efficacia riflessa ultra partes della sentenza dovreb-be avvenire solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge o, tutt’al più, nelle sole ipotesi in cui le parti del rapporto pregiudiziale potrebbero disporre del rapporto a livello di diritto sostanziale con efficacia vincolante per il terzo. Questa è una soluzione che privilegia al massimo l’esigenza di tutela del terzo, in forza, anche, dell’art. 111 Cost.

L’efficacia riflessa della sentenza sociale nei confronti del socio non è riconducibile al sem-plice nesso di pregiudizialità – dipendenza così come lo abbiamo affrontato fino ad adesso. È infatti necessario scindere il nesso di pregiudizialità dipendenza in due gradi: quello della pregiudizialità – dipendenza permanente e quello della pregiudizialità – dipendenza istantanea. Quando si svolge il processo, il rappresentante della società deve essere in grado di vincolare il socio a livello di diritto sostanziale con un qualsiasi atto di disposizione. Si verifica dipendenza permanente quando « il ter-zo rimane esposto agli effetti degli atti di disposizione di una delle parti » (LUISO, L’esecuzione, cit., 317) o, in altre parole, quando la posizione del socio è permanentemente pregiudicata da quella della società; nel senso che qualunque obbligo assunto dalla società, in qualunque modo sorto, fa nascere in capo al socio un obbligo corrispondente. Solo in questi termini è immaginabile l’estensione dell’efficacia del giudicato al socio e giustificabile la mancata instaurazione del con-traddittorio. Subendo gli effetti sostanziali dell’atto posti in essere dall’amministratore, il socio su-birà anche gli effetti processuali, e non si vede come possa essere altrimenti. Al contrario, di fronte a un nesso di pregiudizialità – dipendenza istantanea (che sussiste, ad esempio, quando è instaurato il processo contro la società, ma dopo la cessazione della qualità di socio; si pensi al recesso), la pronuncia non avrà più effetto nei confronti del socio: come il rappresentante non è più in grado di vincolarlo dal p.d.v. sostanziale, lo è tantomeno dal p.d.v. processuale.

Costatato che la sentenza sociale è efficace nei confronti del socio, resta adesso da verificare entro quali limiti questa sia efficace. Rimane, in altre parole, da verificare come la sentenza vincoli il socio.

La sentenza sociale può accertare, con efficacia di giudicato nei confronti del socio, solo l’esistenza del debito sociale. Non può infatti accertare l’esistenza del debito del socio, o magari la sua qualità di socio illimitatamente responsabile.

Ovviamente, questo non esclude la possibilità che il creditore instauri un parallelo processo di cognizione per accertare la qualità di socio illimitatamente responsabile e per accertare l’esistenza del debito sociale anche nei suoi confronti; oltre che, eventualmente, per poter far iscri-vere ipoteca sui suoi beni (Cass. civ., Sez. lav., 12 agosto 2004, n. 15713). Questo secondo giudica-to non contrasta con il principio del ne bis in idem, in quanto è incontestabile la diversità oggettiva tra l’obbligo del socio e quello della società. Nel secondo processo le difese del socio consisteranno nell’eccezione di fatti impeditivi, modificativi ed estintivi sopravvenuti successivamente all’instaurazione del primo processo o nel sollevare eccezioni personali, quali, ad esempio, la man-canza della qualità di socio illimitatamente responsabile.

Le posizioni della giurisprudenza.

Negli ultimi quindici anni circa sono state edite non poche sentenze sul punto e questo è sin-tomatico della necessità, sentita dalla pratica, di estendere gli effetti del giudicato sociale nei con-fronti del socio illimitatamente responsabile.

Tenteremo di suddividere le pronunce in categorie. Esistono infatti due orientamenti con-trapposti, quelli volti ad estendere l’efficacia della condanna sociale al socio, e quelli, invece, che la negano.

I. Al primo gruppo appartengono numerose sentenze pubblicate sulle più diffuse riviste giu-ridiche.

Alcune decisioni riportano in motivazione che l’accertamento dell’obbligo compiuto contro la società fa stato contro il socio e la condanna resa nei confronti della società è efficace contro quest’ultimo, « in quanto dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la re-sponsabilità del socio e quindi ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l’art. 477 c.p.c., consente di porre in essere il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato » (Cass. 17 gennaio 2003, n. 613, Foro it.,Rep. 2003, voce Società di persone, che ri-chiama in motivazione Cass. 14 giugno 1999, n. 5584 e Cass. 8 agosto 1997, n. 7353; in senso con-forme: Cass. 24 marzo 2011, n.6734, Giust. civ., Mass. 2011, 3, 454; Cass. 18 giugno 2009, n.14165, Guida al diritto, 2009, 31, 73; Cass. 16 gennaio 2009, n.1040, Foro it. 2010, 1, 214; Cass. 14 giugno 1999, n. 5884, Foro it., Rep. 1999, voce Esecuzione forzata in genere, n. 12).

Altre (due) sentenze statuiscono, in tempi diversi, che il creditore di una società di fatto, in possesso di un valido titolo esecutivo formatosi nei confronti di quest’ultima, può agire direttamen-te contro il socio, senza doversi procurare un altro specifico titolo esecutivo nei suoi confronti, es-sendo la responsabilità del socio una responsabilità diretta, per fatto proprio (Cass. 8 agosto 1997, n. 7353, id., Rep. 1997, voce Società di persone; App. di Firenze 29 marzo 1988, Dir. fallim., 1989, II, 143, con nota di BRONZINI).

II. Al secondo gruppo di sentenze, che negano l’estensione dell’efficacia del giudicato nei confronti del socio, corrisponde un numero più limitato di decisioni.

a) In questo caso la Corte ha ritenuto che la sentenza emessa nei confronti di una società in nome collettivo non ha efficacia di giudicato e non costituisce titolo esecutivo contro il socio, o-standovi il disposto dell’art. 1306 c.c. In motivazione, la Corte precisa che concorrono a giustificare la decisione le seguenti ragioni: l’autonomia patrimoniale della società che, benché sprovvista di personalità giuridica, costituisce un centro di imputazione di rapporti giuridici autonomo rispetto a quello riferibile a ciascun socio; la solidarietà sussistente tra soci e società; la circostanza che l’azione esecutiva nei confronti del singolo presupponga la dimostrazione dell’insufficienza patri-moniale dell’ente; la mancanza di accertamento dell’effettiva qualità di socio nel giudicato formato-si tra creditore e società (Cass. 26 novembre 1999, n. 13183, Dir. prat. soc., 2000, 14-15, 82, con nota di NISIVOCCIA).

b) Inoltre, è stato pure evidenziato, come l’estensione degli effetti del provvedimento di condanna dell’ente sarebbe impedita dalla natura eccezionale delle norme che dilatano i limiti di ef-ficacia dei titoli esecutivi [l’art. 477 c.p.c. NdA] (Trib. Vercelli, 23 ottobre 1990, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 355).

c) Infine, un’ultima sentenza ritiene che il provvedimento reso nei confronti di un coobbliga-to, non produca effetto contro gli altri debitori solidali, ai sensi dell’art. 1306 c.c. E’ quindi inam-missibile l’opposizione di terzo, di cui all’art. 404, I c.p.c., proposta dal socio di una società in no-me collettivo, avverso la sentenza di condanna della società. Sebbene sia ravvisabile in capo al pri-mo una posizione di terzietà, difetta l’ulteriore requisito del pregiudizio idoneo a legittimare l’impugnazione (Cass. 15 febbraio 1999, n. 1231, Foro it., 1999, I, 2578).

In conclusione, solo una giurisprudenza minoritaria nega l’estensione dell’efficacia del titolo esecutivo nei confronti di un soggetto diverso da quello contro cui è stato formato.

Considerazioni conclusive

Abbiamo constatato come il giudicato formatosi nei confronti della società, sia efficace an-che nei confronti del socio, purché sussista un rapporto di pregiudizialità dipendenza qualificata tra l’obbligo della società e quello del socio: la posizione di quest’ultimo dovrà risultare permanente-mente pregiudicata da quella dell’ente, nel senso che, qualunque obbligo sociale, in qualunque mo-do sorto, fa nascere in capo al socio un obbligo corrispondente. Di conseguenza l’amministratore della società, stipulando un contratto obbligherà il socio, così come lo pregiudicherà soccombendo in un processo sociale.

Impostata la questione in questi termini, risulta evidente come la sentenza che condanna la società abbia ad oggetto un obbligo pregiudiziale rispetto a quello del socio. In forza del rapporto di pregiudizialità dipendenza permanente, la sentenza sociale farà sorgere in capo al socio un obbligo permanentemente dipendente da quello della società. E se il titolo esecutivo è un momento del dirit-to sostanziale ad esso sotteso, allora la situazione dipendente, ricalcando quella pregiudiziale, ac-quisirà anche la tutelabilità esecutiva della prima. Dunque in forza di tutte le considerazioni ricavate fin qui, la sentenza sarà titolo esecutivo utilizzabile nei confronti del socio non indicato nominati-vamente.

Ecco allora che ci troviamo in una ipotesi di esecuzione ultra partes e il creditore potrà far valere il titolo esecutivo nei confronti di soggetti non indicati nominativamente nel titolo, sempli-cemente affermando che questi sono soci illimitatamente responsabili. Questa tesi è avallata dall’art. 147 l. fall.

Non è dunque richiesta la prova che l’esecutato sia realmente socio della società, dato che eventuali false o erronee dichiarazioni del creditore procedente saranno fronteggiabili mediante il rimedio dell’opposizione all’esecuzione. In quella sede l’onere della prova opererà in base alla po-sizione sostanziale delle parti: sarà il creditore procedente a dover dimostrare i fatti costitutivi del diritto, e il debitore esecutato a dover dimostrare i fatti modificativi, impeditivi ed estintivi. In quel-la stessa sede potrà essere fatto valere anche il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale da parte del socio.

Normativa di riferimento

Codice di procedura civile: art. 477; Codice civile: artt. 2267, 2268, 2291, 2304, 2315, 2320, 2452 e 2462.

Approfondimenti dottrinali

BRONZINI, nota a Corte d’Appello di Firenze 29 marzo 1988, in Dir. fallim., 1989, II, 143;

COSTANTINO, Comunicazione, in Le disposizioni generali sulle società e le società di persone. Pro-spettive di riforma, atti del convegno di studio tenutosi a Lecce il 27, 28 luglio 2000, a cura di ROCCO DI TORREPADULA, Milano 2001, 277 e segg.;

FERRI a cura di, Delle società, in Commentario al codice civile, diretto da SCIALOJA – BRANCA, Bo-logna – Roma 1981; sub artt. 2267, 2291, 2304 c.c.;

LUISO, Diritto processuale civile, III, Milano 2011;

LUISO, L’esecuzione «ultra partes», Milano 1984;

LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso terzi, Milano 1981; 131 e segg., 206 e segg.;

NISIVOCCIA, nota a Corte di Cassazione 26 novembre 1999, n. 13183, in Dir. prat. soc., 2000, 14-15, 82;

RORDORF, La responsabilità per le obbligazioni sociali, in Società, 1986, 948 e segg.;

SATTA – PUNZI, Diritto processuale civile, Padova 2000, XVIII, 587;

la SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE

EFFICACIA NEI CONFRONTI DEI SOCI DEL TITOLO ESECUTIVO EMESSO NEI CONFRONTI DELLA SOCIETA’ DI PERSONE.

Cassazione civ., Sez. III, 24 marzo 2011, n. 6734

Il decreto ingiuntivo pronunciato a carico di una società di persone estende i suoi effetti anche contro i soci illimitatamente responsabili, derivando dall'esistenza dell'obbligazione sociale necessariamente la responsa-bilità dei singoli soci e, quindi, ricorrendo una situazione non diversa da quella che, ai sensi dell'art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato e risolvendosi, altresì, l'imperfetta personalità giuridica della società di persone in quella dei soci, i cui patrimoni sono protetti dalle iniziative dei terzi solo dalla sussidiarietà, mentre la pienezza del potere di gestione in capo ad essi finisce con il far diventare dei soci i debiti della società; ciascun socio, pertanto, ha l'onere di proporre opposizione contro detto titolo, con la conseguenza che, in difetto, in ragione della conse-guita definitività del provvedimento monitorio anche nei confronti del socio, questi non può più opporre l'e-ventuale prescrizione maturata in precedenza.

Cassazione civ., Sez. I, 18 giugno 2009, n. 14165

I. La sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società e una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, in quanto dall'esistenza dell'obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e quindi ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l'art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo nei confronti di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato.

II. Se il titolo riguarda la società, può essere azionato pure contro il socio, mentre altrettanto non avviene nel caso inverso.

Cassazione civ., Sez. I, 16 gennaio 2009, n. 1040

La sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, in quanto dall'esistenza dell'obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e, quindi, ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l'art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato.

Cassazione civ., Sez. III, 17 gennaio 2003, n. 613

La sentenza di condanna pronunciata nei confronti di una s.n.c. costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile che non abbia partecipato al processo.

Per le sentenze di Cassazione si rinvia a: Lex 24 & Repertorio 24 (www.lex24.ilsole24ore.com)

la PRATICA

IL CASO CONCRETO

(Cassazione civ., Sez. III, 17 gennaio 2003, n. 613)

La soluzione accolta dalla Suprema Corte

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’impugnazione proposta dal socio illi-mitatamente responsabile di una s.n.c., contro il quale era stata promossa un’azione esecutiva fondata su una sentenza emessa nei confronti della società. Il giudizio trae fondamento dalle due opposizioni a precetto e all’esecuzione introdotte dal socio. La Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, ha affermato che l’accertamento compiuto nei riguardi della società fa stato contro il socio e la condanna resa in confronto della prima è eseguibile anche contro il secondo: questo perché dall'e-sistenza dell'obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e quindi ricorre una si-tuazione non diversa da quella che, secondo l'art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in con-fronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato.