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Il nuovo processo sommario

Il procedimento sommario di cognizione

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a cura di Andrea Mengali*

* dottore di ricerca Università L.U.I.S.S. – Roma e avvocato del Foro di Pisa

LA QUESTIONE

Quali sono i presupposti di applicazione e, più in generale, la disciplina del nuovo processo sommario di cognizione?

Può effettivamente il nuovo istituto raggiungere l’obiettivo, inseguito dal legislatore, di ottenere processi più rapidi?

INTRODUZIONE

La legge 18 giugno 2009, n. 69 ha introdotto, all’interno del titolo primo del libro quarto del codice di procedura civile, il nuovo capo III-bis, costituito dagli art. 702-bis, -ter e –quater, rubricato “Del procedimento sommario di cognizione”.

I commentatori dell’ennesima legge di riforma del codice di rito sono concordi nel ritenere che la previsione di un nuovo procedimento, con struttura sommaria e funzione dichiarativa, costituisca una delle novità più importanti, se non la più importante, dell’intero corpus di modifiche recentemente introdotte.

Precedente immediato dell’istituto de quo può essere rinvenuto – sebbene tra i due istituti sussistano sostanziali differenze – nel “Procedimento sommario non cautelare”, previsto dall’art. 46 del cd. disegno di legge Mastella e mai entrato in vigore.

Completamente differenti sono invece i procedimenti sommari con funzione esecutiva , finalizzati ad attribuire all’attore/creditore un titolo esecutivo giudiziale ma privo della stabilità della cosa giudicata, con la conseguenza che ciascuna delle parti può, in qualunque momento, instaurare un giudizio a cognizione piena il cui provvedimento finale è destinato a sostituire il provvedimento sommario esecutivo.

Il nuovo rito speciale non sostituisce il rito ordinario a cognizione piena, ma costituisce uno strumento a quello alternativo, così che l’attore ha la possibilità di decidere, senza che il convenuto possa interferire nella scelta, se utilizzare l’una o l’altra via per ottenere la propria tutela.

Nelle prossime pagine saranno analizzati l’ambito di applicazione e i presupposti del nuovo istituto, le sue modalità di svolgimento nonché i rimedi apprestati avverso il provvedimento finale, per poi trarre alcune – necessariamente superficiali, data l’assenza di riscontri pratici – considerazioni conclusive.

LE NORME

Codice di procedura civile

Art. 702-bis – Forma della domanda. Costituzione delle parti

Art. 702-ter – Procedimento

Art. 702-quater – Appello

LA FATTISPECIE

Ambito di applicazione

Ai sensi dell’art. 702-bis, comma 1, il procedimento sommario di cognizione è ammissibile “Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica”.

Sono pertanto estranee dall’ambito del procedimento le domande che rientrano nella competenza del tribunale giudicante in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 50-bis c.p.c., nonché le cause di competenza del giudice di pace e quelle attribuite in unico grado alla corte d’appello.

Altrettanto escluse sono le ipotesi in cui il tribunale in composizione monocratica giudichi come giudice d’appello rispetto alle sentenze emesse dal giudice di pace, essendo le norme di appello incompatibili con quelle del procedimento sommario.

Differenti posizioni sono state espresse in dottrina circa la possibilità di applicare il procedimento sommario a controversie assoggettate a riti speciali, in primis il rito del lavoro.

Secondo alcuni autori il nuovo rito non sarebbe applicabile alle cause di rito speciale, non solo per ragioni sistematiche ma anche testuali, in quanto l’art. 702-ter, comma 3, sembra indicare come unica alternativa alla trattazione sommaria lo svolgimento con il rito ordinario, facendo riferimento all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.

Altri autori , invece, ritengono non insuperabile il dato testuale della legge e pertanto applicabile il procedimento sommario anche in caso di rito del lavoro, dovendosi in tal caso, in caso, cioè, di passaggio alla fase di trattazione non sommaria, fare riferimento all’udienza dell’art. 420 c.p.c. anziché a quella di cui all’art. 183 c.p.c.

Allo stesso modo differenti posizioni sono state espresse in ordine alla possibilità di utilizzare il rito sommario in relazione alle opposizioni esecutive, essendosi alcuni autori dichiarati favorevoli e altri contrari .

Mentre non sembrano sussistere dubbi sulla possibilità di ricorrere al rito sommario in caso di procedimento di merito successivo a procedimento cautelare, dubbi di compatibilità sono stati espressi in relazione ai giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.

Fase introduttiva

Il procedimento si introduce tramite ricorso, che deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1-6 nonché l’avvertimento di cui al numero 7 dell’art. 163 c.p.c.; i contenuti dell’atto di ricorso non sono previsti a pena di decadenza, per cui è da ritenere che l’attore possa successivamente integrare e completare il proprio apparato difensivo .

Pur non essendo espressamente previsto dalla norma, secondo alcuni autori il ricorrente avrebbe altresì l’onere di indicare le ragioni per le quali la controversia sarebbe compatibile con l’istruttoria e le forme di decisione semplificate .

Si può notare una perfetta corrispondenza tra il contenuto del ricorso e quello dell’atto di citazione relativo al processo ordinario (fatti salvi l’ovvia assenza della vocatio in ius e termini a comparire di durata inferiore): la circostanza non è casuale, in quanto la possibilità di trasformazione del procedimento sommario in quello di cognizione piena rende in sostanza obbligatorio che gli atti introduttivi del primo siano compatibili con la prosecuzione della causa nelle forme ordinarie.

Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria dello stesso giudice che sarebbe competente per il procedimento a cognizione piena; il Presidente del tribunale designa un giudice per la trattazione della causa, il quale fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione delle parti.

Il decreto e il ricorso devono essere notificati al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione, la quale deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza.

Il termine a difesa di trenta giorni, pur compatibile con il processo “semplificato”, può comprimere gravemente il diritto di difesa del convenuto nell’ipotesi di passaggio al rito ordinario di cognizione, in considerazione della notevole diminuzione dei termini previsti dall’art. 163-bis c.p.c.

Tale considerazione può portare a un’utilizzazione impropria del nuovo rito, che potrebbe essere scelto dall’attore – pur nella consapevolezza di una sicura conversione da parte del giudice nelle forme ordinarie – al solo scopo di rendere più difficoltosa la difesa del convenuto.

Per superare la descritta empasse il giudice, rendendosi conto che la controversia sia evidentemente non compatibile con la trattazione sommaria, potrebbe assegnare un termine maggiore per la costituzione del convenuto (per esempio imponendo all’attore di notificare ricorso e decreto almeno novanta giorni prima della data fissata per la costituzione del convenuto); ovvero si potrebbe ipotizzare un’applicazione dell’ormai generale istituto della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., essendo nel caso specifico non imputabili al convenuto le decadenze nel quale incorra per il comportamento abusivo dell’attore .

Il convenuto ha l’onere di costituirsi mediante il deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale “deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni” (art. 702-bis, comma 4).

Inoltre, a pena di decadenza, all’interno della comparsa di costituzione il convenuto deve proporre domande riconvenzionali, le eccezioni processuali e di merito in senso stretto nonché dichiarare se intende chiamare un terzo . In tale ultimo caso il convenuto dovrà contestualmente chiedere lo spostamento dell’udienza, che sarà fissata dal giudice (assieme al termine perentorio per la citazione del terzo ) e successivamente comunicata dal cancelliere alle parti costituite; la costituzione del terzo avviene nelle stesse forme previste per il convenuto.

Sebbene ciò non sia espressamente previsto, occorre ritenere che un aumento delle parti del processo possa verificarsi, oltre che in caso di chiamata operata da una delle parti, a seguito di chiamata iussu iudicis ovvero per intervento volontario del terzo. Qualora all’aumento dei soggetti si accompagni anche un aumento dell’oggetto di causa, la circostanza potrà naturalmente essere tenuta in considerazione dal giudice al fine del passaggio dalla cognizione sommaria a quella ordinaria.

La prima udienza

All’udienza fissata il giudice – sebbene ciò non sia espressamente previsto dall’art. 702-ter – dovrà innanzitutto procedere alle verifiche preliminari, così come previste dalle norme di carattere generale (verifica della regolarità della notificazione del ricorso, qualora il convenuto non si costituisca in giudizio, con eventuale ordine di rinnovazione della notificazione se quest’ultima è affetta da nullità nonché verifiche di cui all’art. 182 c.p.c.).

All’esito delle verifiche preliminari si aprono per il giudice una serie di possibilità, descritte nei primi cinque commi dell’art. 702-ter.

Innanzitutto il giudice, se ritiene di essere incompetente, lo dichiara – in armonia con le modifiche approntate agli art. 40 ss. c.p.c. – con ordinanza. L’eccezione di incompetenza deve essere rilevata dal convenuto, qualunque ne sia il criterio, nella memoria di costituzione tempestivamente depositata. In caso di mancata tempestiva eccezione, nelle ipotesi di incompetenza per materia, valore e territorio inderogabile il giudice può rilevare d’ufficio la propria incompetenza entro la prima udienza, secondo la regola generale ex art. 38 c.p.c.

Avverso l’ordinanza di incompetenza sarà esperibile il regolamento necessario di competenza.

È, peraltro, possibile che il giudice rilevi l’esistenza di un altro vizio relativo a un presupposto processuale, insanabile o non sanato: anche in questo caso il giudice chiuderà in rito il processo, con un provvedimento che sarà impugnabile attraverso l’appello .

Rilevata l’assenza di vizi relativi ai presupposti processuali generali, il giudice dovrà verificare se la controversia è decidibile con il rito sommario di cognizione.

Il secondo comma dell’art. 702-ter prende in considerazione l’ipotesi in cui la domanda principale, ovvero la riconvenzionale, non rientrino tra quelle di cui all’art. 702-bis (cioè se la causa non è tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione monocratica).

In tal caso la domanda è dichiarata da parte del giudice inammissibile con ordinanza non impugnabile (e, pertanto, neppure revocabile e modificabile ex art. 177 c.p.c. né, essendo priva del requisito della decisorietà, ricorribile in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost.).

Ci è chiesti che cosa accada nell’ipotesi in cui il giudice decida nel merito la controversia, pur non rientrando la stessa tra quelle ex art. 702-bis. Fermo restando che non sembrano sussistere dubbi sulla deducibilità del vizio in appello, differenti soluzioni sono state prospettate circa gli effetti della rilevazione.

Secondo alcuni , infatti, la corte d’appello dovrebbe chiudere in rito il processo, così come avrebbe dovuto fare il giudice di primo grado. Altri ritengono che il giudice d’appello debba invece decidere nel merito la controversia, previa rinnovazione degli atti di istruzione compiuti in primo grado (da ritenere viziati, in quanto non avrebbero potuto essere assunti con le forme semplificate).

Se la riserva di collegialità è relativa alla sola domanda riconvenzionale, il giudice dovrà disporne la separazione dalla principale, a meno che il tipo di connessione non imponga la trattazione unitaria .

Il terzo comma dell’art. 702-ter regola l’ipotesi in cui il giudice ritenga che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria; in questo caso il giudice fissa l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. e si applicheranno le disposizioni del libro II del codice.

La scelta se proseguire o meno con le forme sommaria è pertanto rimessa al potere discrezionale del giudice, il quale dovrà valutare se le difese delle parti siano compatibili con le esigenze di rapidità del rito sommario.

Quanto al tipo di valutazione che il giudice dovrà compiere per stabilire la compatibilità della controversia con il rito sommario, autorevole dottrina ha affermato che il giudice dovrebbe fare una valutazione di tipo prognostico, ritenendo ammissibile il procedimento de quo solo in caso di manifesta fondatezza/infondatezza della domanda proposta, in analogia a quanto avveniva in relazione all’abrogato procedimento sommario societario.

La tesi non sembra però trovare appiglio nel testo della legge; così che pare sufficiente, al fine dell’ammissibilità del rito sommario, che l’istruttoria sia “semplice”, e non anche che la domanda si presenti manifestamente fondata o infondata.

La conversione del rito è disposta con ordinanza non impugnabile; contro di essa non è ammesso appello, dal momento che non può configurarsi un autonomo diritto processuale alla tutela dei diritti attraverso il rito speciale.

Il passaggio dal rito speciale a rito ordinario è irreversibile, non potendo il giudice ritornare sul provvedimento emesso con ordinanza non impugnabile; al contrario, nulla vieta al giudice, che in un primo momento abbia deciso di trattare la controversia con il rito semplificato, di tornare in un secondo momento sulla propria decisione e di decidere, anche in un’udienza successiva, il passaggio al rito ordinario, qualora si renda necessaria un’istruttoria non sommaria .

Il quarto comma dell’art. 702-ter prende in considerazione il caso in cui sia stata proposta domanda riconvenzionale non trattabile attraverso un’istruttoria sommaria; la disposizione prevede in questo caso la separazione della causa riconvenzionale.

Pertanto la scelta del legislatore, nel caso in cui le due cause siano connesse ma non siano entrambe trattabili con il rito speciale, vuoi per ragioni di diritto (perché la seconda a trattazione collegiale) vuoi per ragioni di fatto (perché la seconda richiede un’istruttoria non sommaria), è quella della separazione anziché del simultaneus processus.

La scelta operata dal legislatore non presenta controindicazioni insormontabili in caso di connessioni cd. deboli, mentre in caso di connessioni cd. forti (per incompatibilità e pregiudizialità- dipendenza) vi è il rischio concreto di decisioni tra loro incompatibili. In tali ultime ipotesi, pertanto, l’unica soluzione percorribile è che il mutamento di rito per una delle controversie connesse comporti il medesimo mutamento anche per l’altra.

Segue. La trattazione e la decisione nelle forme sommarie

Se non provvede ai sensi di uno dei primi quattro commi dell’art. 702-ter, “alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno gli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande”.

Balza agli occhi la somiglianza – non la perfetta identità: gli atti di istruttoria devono essere “rilevanti”, non “indispensabili”, in relazione all’oggetto piuttosto che ai presupposti e ai fini del provvedimento – con l’art. 669-sexies c.p.c.: il giudice è tenuto a sentire le parti e a dare attuazione al principio del contraddittorio, essendo per il resto libero di gestire il procedimento nel modo che ritiene più opportuno, sempre nel rispetto dei principi del giusto processo.

Questo comporta, per esempio, che testimoni e consulente tecnico d’ufficio siano tenuti a prestare il giuramento di legge, mentre capitoli e quesiti potranno essere deformalizzati o anche elisi .

Occorre chiedersi, innanzitutto, in che cosa consista la “sommarietà” della cognizione.

La sommarietà non riguarda l’oggetto della cognizione, dal momento che il giudice deve esaminare tutti i fatti costitutivi e le eccezioni sollevate, bensì il modo in cui sono trattate e istruite le questioni, in quanto la verifica dei fatti rilevanti avviene in modo superficiale, sulla base di prove documentali o comunque di pronta soluzione, che possono essere acquisite anche in modo atipico. Si tratta, pertanto, di cognizione sommaria in quanto superficiale, non in quanto parziale .

Secondo alcuni autori è da escludere che il giudice abbia poteri istruttori d’ufficio maggiori rispetto a quelli riconosciuti nel processo ordinario di cognizione, con la conseguenza che non potranno essere utilizzati mezzi istruttori diversi da quelli richiesti dalle parti.

Differenti posizioni sono state espresse in dottrina in relazione all’esistenza di preclusioni e decadenze.

Alcuni autori ritengono che la sommarietà del procedimento abbia come conseguenza che non esistono preclusioni e decadenze; pertanto – fatte salve le preclusioni maturate ai sensi dell’art. 702-bis, commi 4 e 5 – le parti sarebbero libere di allegare fatti, produrre documenti, fare istanze istruttorie e rilevare eccezioni in senso lato per tutto il corso del procedimento, purché sia assicurato il rispetto del principio del contraddittorio.

Secondo altri autori , invece, nuove attività possono essere svolte dalle parti solo fino alla prima udienza del processo, destinata alla fissazione del thema decidendum e del thema probandum, e purché ciò si sia reso necessario a seguito delle attività svolte dagli altri soggetti del processo (e pertanto in attuazione del principio del contraddittorio). Pertanto, una volta ammessi gli atti di istruzione “rilevanti”, sarebbero precluse non solo nuove domande ed eccezioni, ma anche la mera modificazione di domande ed eccezioni già proposte nonché l’allegazione di nuovi fatti.

All’esito dell’istruttoria, il giudice deciderà la causa con ordinanza (di accoglimento o di rigetto).

L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale nonché per la trascrizione (ovvero, più frequentemente, per l’annotazione).

Se non è tempestivamente appellata, l’ordinanza – che dovrà contenere anche il provvedimento giudiziale sulle spese del provvedimento – produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c.: cioè è idonea ad acquisire l’autorità della cosa giudicata sostanziale, al pari di una sentenza di merito, avente pari oggetto, emessa all’esito di un ordinario processo di cognizione.

La peculiarità dell’idoneità al passaggio in giudicato di un provvedimento emesso all’esito di un’istruttoria sommaria, e pertanto non idonea a garantire pienamente il diritto di difesa delle parti, ha come necessario contraltare la previsione di un appello che, come si vedrà nel prossimo paragrafo, è caratterizzato dalla possibilità di nuove attività istruttorie.

L’appello

L’art. 702-quater prevede che l’ordinanza emessa dal tribunale sia appellabile entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione. La disposizione specifica altresì a quali condizioni sono ammessi nuovi mezzi di prova nonché il potere del presidente di delegare l’assunzione dei mezzi istruttori a uno dei membri del collegio.

Per tutto quanto non espressamente previsto dalla norma si dovrà fare rinvio alla disciplina dell’appello nel rito ordinario (pertanto il giudizio si introdurrà tramite atto di citazione, saranno applicabili le norme in tema di inibitoria, la decisione avverrà con sentenza ricorribile in cassazione etc.).

Quanto al termine, dubbi sorgono circa l’applicabilità del termine lungo per impugnare ex art. 327 comma 1 c.p.c. (che la riforma ha abbassato a sei mesi) in caso di mancata notifica o comunicazione dell’ordinanza .

Allo stesso modo, è stata messa in dubbio l’applicabilità del meccanismo della regressione della causa in primo grado ai sensi degli art. 353 e 354 c.p.c.; ragioni di economia processuale imporrebbero infatti al giudice di appello, dopo aver disposto la rinnovazione degli atti invalidi ed averne consentito la trattazione con le forme della cognizione piena, di definire con sentenza di merito la controversia.

Il giudizio d’appello si svolge di fronte alla corte d’appello con un procedimento a cognizione piena; le parti hanno pertanto il diritto di chiedere la rinnovazione delle prove acquisite sommariamente durante il processo di primo grado nonché, più in generale, il riesame di tutte le questioni affrontate sommariamente o accantonate.

L’art. 702-quater prevede che siano ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fini della decisione ovvero la parte dimostra di non averli potuti produrre nel processo sommario per causa a essa non imputabile.

Come è stato correttamente messo in evidenza , la norma non è formulata in modo chiaro, dal momento che l’ammissibilità di nuove attività istruttorie viene legata alternativamente a due requisiti tra loro incompatibili.

Pertanto occorre ritenere che l’unico requisito richiesto per l’ammissione di nuove prove in appello sia la mera rilevanza delle stesse; e la conclusione pare del resto inevitabile, dal momento che la possibilità di attribuire l’idoneità al passaggio in giudicato all’ordinanza emessa all’esito dell’istruttoria sommaria deve necessariamente accompagnarsi a un appello nel quale le parti abbiano la possibilità di far accertare in modo completo ed esaustivo i fatti di causa .

LA DOTTRINA

Per approfondimenti dottrinali

• ARIETA, Il rito «semplificato» di cognizione, in www.judicium.it;

• BALENA, La nuova (pretesa) riforma della giustizia civile, in Il giusto processo civile, 2009;

• BALENA, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, V;

• CAPONI, Un modello ricettivo delle prassi migliori: il procedimento sommario di cognizione (artt. 702-bis ss. c.p.c.), in Foro it., 2009, V;

• CARRATTA, in C. Mandrioli, A. Carratta, Come cambia il processo civile, Torino, 2009, 135 ss;

• CONSOLO, Una buona «novella» al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr. giur., 2009, 737 ss.;

• CONSOLO, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corr. giur., 2009, 883 ss.;

• DE MARCHI, Il nuovo processo civile, Milano, 2009, 403 ss.;

• GIORDANO, in R. Giordano, A. Lombardi, Il nuovo processo civile, Roma, 2009, 551 ss.;

• LUISO, Il procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it;

• MENCHINI, L’ultima «idea» del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, in Corr. giur., 2009, 1025 ss.;

• OLIVIERI, Il procedimento sommario di cognizione (primissime brevi note), in www.judicium.it;

• OLIVIERI, Al debutto il rito sommario di cognizione, in Guida al diritto, n. 28 del 2009;

• PROTO PISANI, La riforma del processo civile: ancora una legge a costo zero (note a prima lettura), Foro it., 2009, V, 221;

• RICCI, La riforma del processo civile, Torino, 2009, 103 ss.;

• SASSANI - TISCINI, Prime osservazioni sulla legge 18 giugno 2009, n. 69, in www.judicium.it;

• TOMMASEO, Il procedimento sommario di cognizione, in Previdenza forense, 2009.

LE CONCLUSIONI

Non è semplice trarre delle conclusioni in ordine al nuovo processo sommario di cognizione a pochissimo tempo dall’entrata in vigore dell’istituto e in assenza delle prime pronunce giurisprudenziali.

Il legislatore ha introdotto il nuovo istituto – atipico quanto ai presupposti, alle finalità e al tipo di tutela ottenibile – come strumento alternativo al processo ordinario di cognizione, con il fine di porre un rimedio alla ben nota lunghezza del secondo.

I primi commentatori hanno peraltro accolto la novità senza entusiasmo.

In particolare, è stato messo in evidenza che il meccanismo della cognizione sommaria, unito al riconoscimento dell’efficacia di giudicato all’ordinanza emessa all’esito del procedimento, ha imposto al legislatore di prevedere un appello aperto ai nova e all’interno del quale le parti devono comunque avere la possibilità di svolgere qualsiasi attività utile alla propria difesa.

Ciò fa sì che, anche nell’ipotesi di un’effettiva riduzione dei tempi del processo di primo grado (anch’essa, del resto, tutta da dimostrare, in quanto vi è il rischio che i giudici di primo grado siano chiamati a svolgere lunghe indagini preliminari per stabilire se la causa possa essere trattata con il rito sommario ovvero debba essere convertita nel rito ordinario), si abbia una inevitabile dilatazione dei tempi del processo di appello, attualmente già molto lunghi pur in assenza, nella maggior parte dei casi, dello svolgimento di attività istruttoria.

In sostanza, gli unici casi in cui il nuovo procedimento potrà effettivamente garantire una diminuzione dei tempi del processo, complessivamente inteso, sembrano essere quelli in cui alla pronuncia dell’ordinanza di primo grado non segua l’appello e si abbia pertanto il passaggio in giudicato della stessa.

Quanto al resto, suscita delle perplessità il ricorso a un procedimento sommario del tutto generalizzato, cioè sganciato da particolari caratteristiche della situazione sostanziale di cui si chiede la tutela (in relazione al tipo di situazione protetta, all’esistenza di determinati tipi di prove ovvero a una valutazione prognostica di fondatezza della domanda).

La pressoché totale discrezionalità lasciata al giudice di primo grado nell’utilizzazione del processo sommario rende infatti alto il rischio di decisioni insoddisfacenti, sia nel senso della trattazione con il rito sommario di controversie complesse (con inevitabili ricadute sul successivo processo di appello), sia, all’opposto, nel senso di affrettati e ingiustificati passaggi al rito ordinario.

Tornando alla domanda posta all’inizio del presente articolo, sembra pertanto difficile che il nuovo istituto possa assicurare consistenti benefici in termini di diminuzione dei tempi processuali.

Tuttavia, per poter dare un giudizio più compiuto e puntuale, non resta che aspettare i primi riscontri della giurisprudenza.