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LE SINTESI

CIVILE

PROCESSO CIVILE

Il ricorso per cassazione ex art.360, comma 1 n.5 c.p.c. dopo la Legge 7 agosto 2012 n.134

LA QUESTIONE

Le modifiche apportate all’art.360, comma 1 n.5 c.p.c. dalla legge 7 agosto 2012 n.134, che ha convertito il decreto legge 22 giugno 2012, n.83, realizza il dichiarato obiettivo di accelerare la durata dei giudizi di impugnazione e di limitare, in particolare, i casi di ricorso alla Suprema Corte?

la RISPOSTA IN SINTESI

L’art.54 del decreto legge 22 giugno 2012, n.83, convertito dalla legge n. 134 del 2012, si pone, tra i suoi obiettivi, quello di ridurre le fattispecie possibili di ricorso per cassazione. Il novellato art.360, comma 1 n.5 c.p.c. precisa che le sentenze pronunciate in appello od in un unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Così facendo però, contro i predetti provvedimenti – a partire dal 12 settembre 2012 – non sono (o sarebbero) più deducibili (a norma dell’articolo in esame) l’illogicità e l’insufficienza della motivazione, oltre che la sua contraddittorietà. Non solo, ma una interpretazione meramente letterale della formula “omesso esame di un fatto”, finisce per frustrare il diritto delle parti a vedere valutati (rectius, esaminati) tutte le circostanze allegate in ricorso ed attinenti, direttamente od indirettamente, al fatto “omesso”; oltre che a ridurre il giudizio di rinvio (a differenza di prima) ad una fase puramente restitutoria. Ecco allora la necessità di ovviare a queste “criticità” (meglio esplicate nel prosieguo) con una interpretazione analogica e ragionevole della normativa vigente, nella speranza (sollecitata da più parti) di una nuova ed approfondita verifica delle disposizioni in esame che, eliminando e correggendo il contenuto delle stesse, garantisca il pieno diritto di azione e di difesa delle parti ex art.24 cost.

Marco Cattani, Avvocato del Foro di Lucca

Gli APPROFONDIMENTI

Trattazione approfondita della questione pag. 00

Fac-simile di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1 n.5 c.p.c. pag. 00

GLI APPROFONDIMENTI

CIVILE

Il ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1 n.5 c.p.c. alla luce delle modifiche introdotte da Decreto Legge 22 giugno 2012 n.83, convertito nella Legge 7 agosto 2012 n.134

a cura di Marco Cattani*

*Avvocato del Foro di Lucca.

la QUESTIONE

L’istituto del ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1 n.5 c.p.c., così come novellato dalla legge n. 134 del 2012, realizza l’obiettivo di accelerare i tempi della giustizia in Italia e di ridurre l’arretrato, eliminando e/o quantomeno limitando le impugnazioni essenzialmente “dilatorie”?

l’APPROFONDIMENTO

L’individuazione del problema

La recente modifica legislativa dell’art.360, comma 1 n.5 c.p.c. rientra tra le misure “urgenti” volte a far “crescere il paese”. L’art.54 del decreto legge 22 giugno 2012, n.83, convertito dalla legge n. 134 del 2012, si pone infatti tre obiettivi: introdurre un giudizio di inammissibilità per gli appelli che non abbiano “regionevole probabilità” di essere accolti (nuovi artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.); incentivare l’attore ad introdurre la causa in primo grado nelle forme del procedimento sommario di cognizione (artt. 702-bis ss. c.p.c.); ridurre le fattispecie possibili di ricorso per cassazione per vizio della motivazione di fatto. Quest’ultimo obiettivo si realizza in due modi: innanzitutto, si modifica il testo dell’art.360, comma 5 c.p.c., passando dalla “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” all’espressione “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Quindi, prevedendo che ove l’inammissibilità dell’appello, in virtù del nuovo art.348-bis c.p.c., sia pronunciata per le medesime ragioni di fatto poste a base della decisione impugnata, ovvero l’appello sia rigettato a cognizione ordinaria (con sentenza) per le stesse ragioni, non si possa ricorrere in cassazione contro la sentenza di primo grado per il vizio di motivazione ex articolo in esame (art.360, comma 5 c.p.c.) (CAPONI, "La riforma dei mezzi di impugnazione", in Riv. trim. dir. proc. civ. 2012, 4, 1153 ss.).

E’ da chiedersi se tale riforma realizza tale importante finalità; e se, in caso negativo, come è possibile ovviare a tale “deficienza” legislativa.

Ciò comporta la necessità di uno sforzo interpretativo, anche in via analogica, della norma de qua e delle disposizioni ad essa collegate, oltre che l’individuazione degli aspetti sui quali il legislatore dovrà eventualmente intervenire nel prossimo futuro.

Art. 360, n. 5 c.p.c.: contenuto vecchio e nuovo

Normativa di riferimento

Codice di procedura civile: artt. 360, commi 1, 4 e 5, 348-bis, 348-ter; Leggi: legge 7 agosto 2012 n.134, che ha convertito il decreto legge 22 giugno 2012, n.83 (artt.54 ss.)

La disciplina: come cambia il contenuto dell’art.360, n.5 c.p.c. Brevi richiami storici.

La nuova formulazione dell'art. 360, comma 1 n.5 c.p.c. incide sulla disciplina dei motivi del ricorso per cassazione con il dichiarato fine di evitare - si legge nella relazione ministeriale alla normativa in esame - una "strumentalizzazione ad opera delle parti che sta rendendo insostenibile il carico della Suprema Corte di cassazione, come più volte rilevato dal Primo Presidente".

Si stabilisce quindi che sono impugnabili dinanzi alla Suprema Corte "le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado" solo in riferimento a "l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti"

Vengono così eliminati, dai motivi del ricorso in cassazione, "quelli inerenti la motivazione della sentenza pronunciata in appello (o in unico grado) ovvero la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio" (FERRARESE-PASQUALIN-ROSA, "Correva l'anno 2012 ....", in Il Caso.it, Unione Triveneta dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati, 2012, 7 ss.).

Si tratta di una modifica che non costituisce, in realtà, una "innovazione" priva di precedenti: il legislatore dell'agosto 2012 è in effetti ritornato alla originaria formulazione dell'art. 360, comma 1 n.5 c.p.c. del codice del 1942 (che già costituiva un passo avanti rispetto al codice del 1865, che non prevedeva alcun vizio motivatorio), presto modificata dalla riforma del 1950 in termini "accostabili" a quelli sino a ieri previsti (la più lieve riformulazione dell'articolo in esame, antecedente a quest'ultimo intervento, è dovuta alla riforma del 2006) (CONSOLO, "Nuovi ed indisederabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di svaporamento", in Il Corriere giuridico" 2012, 10, 1139; conforme, tra gli altri, GALLETTO, "Doppio filtro in appello, doppia conforme e danni collaterali", in www.jidicium.it, 11-12; CAPONI, "Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile", in Giurisprudenza costituzionale 2012, 11, che sottolinea l'inutilità della modifica legislativa, anche alla luce delle precedenti riforme legislative sul punto; VERDE, "Diritto di difesa e nuova disciplina delle impugnazioni", in www.jidicium.it, 13, che, dopo aver evidenziato come la novella "resusciti" disposizioni del codice del '40 - già foriere di rilevanti complicazioni - precisa come la riforma sconsiglia decisamente, se la Suprema Corte si attesterà su posizioni rigorose, di ricorrere per cassazione ai sensi dell'art.360, n. 5 c.p.c.).

In particolare: interpretazione della novella normativa. Profili di criticità e necessità di una esegesi non rigida o formalistica.

E' essenziale capire se ed in che misura la sufficienza e la logicità della motivazione sono escluse dal controllo di legittimità demandato alla Corte di Cassazione; così come è fondamentale comprendere che cosa si intende per l'"omesso esame" menzionato nell'articolo de quo e quali sono gli effetti sull'eventuale giudizio di rinvio.

Una interpretazione coerente del ruolo della motivazione nell'ambito del provvedimento giudiziale permette di sostenere che, nonostante il tenore letterale della disposizione, la motivazione della decisione non è sottratta al controllo di coerenza, sufficienza e logicità. Tale controllo, più semplicemente, "avverrà non più ex art. 360, n.5, c.p.c., ma - ove soccorra la buona volontà del Giudicante, organo di legittimità, ma innanzitutto giudice - ex art. 360, n.4. Rientra dunque, e per fortuna, dalla finestra, ciò che il legislatore avrebbe voluto far uscire dalla porta" (CONSOLO, "Nuovi ed indisiderabili esercizi", cit., 1140).

L'art. 132 c.p.c. è chiaro nel disporre che la motivazione è un elemento essenziale del provvedimento del giudice che statuisce su diritti, cosicché un'interpretazione non rigida e formalistica di tale norma esclude che questo requisito possa considerarsi sodddisfatto se, obiettivamente, la motivazione (pur formalmente presente) non risulta veramente tale, ovvero è inidonea a garantire la comprensione dell'iter logico seguito dal giudicante e a fondare la statuizione sul diritto da esso resa (FORNACIARI, "Ancora una riforma dell'art. 360 n.5 cpc; basta, per favore, basta!", in www.jiudicium.it, 1 ss.). Una motivazione "insufficiente o illogica, o ancora contraddittoria, dunque, rappresenta un error in procedendo del giudice (che non ha applicato correttamente quanto previsto dall'art. 132 c.p.c.), come tale deducibile ex art. 360, n.4, c.p.c. Mentre nel caso in cui la motivazione manchi in radice, opererà allora il nuovo n.5 dell'art. 360 c.p.c. Solo così si potrà scongiurare il rischio che passino in giudicato sentenze che, pur formalmente dotate di una motivazione, non consentono davvero alle parti di comprendere su quali snodi giuridici e razionali si voglia fondare la decisione resa sui loro diritti" (CONSOLO, "Nuovi ed indisiderabili esercizi", cit., 1140, che auspica che una simile interpretazione venga fatta propria dalla Suprema Corte; GALLETTO, "Doppio filtro", cit., 12-13, secondo il quale una interpretazione diversa, che non riconduca la fattispecie della motivazione contraddittoria al paradigma dell'art.360, n.4 c.p.c., porrebbe una questione di costituzionalità - quanto meno - sotto il profilo della irragionevolezza della scelta del legislatore).

In ordine invece al significato della nuova formula "omesso esame di un fatto", occorre - anche in questo caso - usare una interpretazione ragionevole e di buon senso, e non meramente letterale.

Se ci si accontentasse, infatti, nell'indagine sulla sussistenza del vizio, di "una valutazione grafica, e così dell'esistenza di uno (o qualche) passaggio che del fatto reca menzione (pur se apodittica o generica), ebbene allora il diritto delle parti di veder valutati (esaminati, appunto) i fatti allegati verrebbe irrimediabilmente frustrato. Tanto varrebbe - per intenderci - escludere in radice qualsiasi possibilità di doglianza avverso la motivazione in fatto" (CONSOLO, "Nuovi ed indisiderabili esercizi", cit., 1140).

Ecco allora che la formula impiegata dal legislatore va integrata e/o compendiata con l'aggettivo "insufficiente": l'"omesso esame" è quindi configurabile tanto nel caso di radicale mancata menzione del fatto, tanto nel caso di grave leggerezza e superficialità logica nella sua valutazione che, anche in tale ipotesi, risulta - al fine - omessa (CONSOLO, "Nuovi ed indisiderabili esercizi", cit., 1140; GALLETTO, "Doppio filtro", cit., 14, che nell'evidenziare i "danni collaterali" della riforma legislativa, sottolinea anche quello derivante dalla potenziale elisione di un controllo di legittimità sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento del giudice di merito).

Ancora. La novella apportata all'art. 360, n.5 c.p.c. ha inoltre delle conseguenze sul giudizio di rinvio che, ove segua all'accoglimento del vizio motivatorio, avrà - dopo la riforma - carattere meramente restitutorio (a differenza della previgente formulazione dell'articolo di specie, dove vi "erano alcune similitudini con il rinvio post cassazione ex art. 360, n.3, c.p.c., e così prosecutorio in un dialogo con la Cassazione") (CONSOLO, "Nuovi ed indisiderabili esercizi", cit., 1140).

Dinanzi all'accertato omesso esame di un fatto "decisivo" sorgerà difatti la necessità - propria del giudizio di rinvio ex art. 360, n.4 c.p.c. - di rinnovare quanto erroneamente non (o mal) eseguito e così (in tale sede) di valutare il fatto non considerato dal giudice di merito.

Ma tale valutazione avverrà senza possibilità di compiere alcuna nuova attività istruttoria in relazione al fatto non doverosamente considerato: il nuovo art. 360, n.5, c.p.c., riferendosi al fatto "già oggetto di discussione tra le parti", impone che tale fatto venga valutato dal giudice del rinvio così come già ricostruito dalla dialettica svoltasi nei pregressi gradi di merito.

E' quindi da chiedersi - come fa autorevole dottrina - quanto davvero il giudice del rinvio sia libero nello svolgimento del suo compito, visto che l'accoglimento del motivo ex art. 360, n. 5 c.p.c. presuppone già una valutazione della Corte di Cassazione circa almeno la "decisività" del fatto omesso (CONSOLO, "Nuovi ed indisiderabili esercizi", cit., 1140-1141).

Ancora. Ipotesi della c.d. "doppia conforme" nel suo diversificato operare ai sensi dell'art.348-ter c.p.c., commi 4 e 5 c.p.c.

Un'altra innovazione introdotta dalla legge n. 134 del 2012 è la c.d. "doppia conforme", specificatamente prevista nella sua duplice accezione dall'art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5 c.p.c.

Il comma 4 dell'articolo sopra citato dispone infatti che il ricorso per cassazione proposto contro la sentenza di primo grado susseguente la pronuncia in appello dell'inammissibilità di cui al nuovo art. 348-bis c.p.c., non potrà dedurre il vizio motivatorio ex art. 360, n. 5 c.p.c. se "l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata".

In questo modo, se la ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado viene confermata e/o "convalidata" dal giudice di secondo grado, si presume ex lege che non vi sia più spazio residuo per i vizi motivatori.

Il comma 5 dell'art. 348-ter c.p.c. prevede invece che debba escludersi l'impugnazione ex art. 360, comma 5 c.p.c. della sentenza di appello "che conferma la decisione primo grado".

Si è rilevato che se la previsione di cui al comma 4 è chiara (ma "non certo condivisibile"), altrettanto non è quella di cui al comma 5: ci si chiede se la "conferma" che "esclude il vizio di cui all'art. 360, n. 5 c.p.c. sia solo quella integrale, ossia involgente anche la motivazione in fatto resa dal giudice di primo grado; oppure se si debba guardare solo agli esiti del giudizio di appello. La differenza non è da poco: nel primo caso, la presunzione che fonda l'esclusione per c.d. doppia-conforme si giustifica analogamente alla previsione di cui al comma 4 dell'art.348-ter c.p.c.; nel secondo caso invece no" (CONSOLO, "Nuovi ed indisiderabili esercizi", cit., 1141; CAPONI, "Contro il nuovo filtro", cit., 12, che evidenzia l'irragionevolezza di assoggettare allo stesso trattamento la pronuncia d'inammissibilità dell'appello al rigetto a cognizione ordinaria).

Potrebbe in particolare accadere che la sentenza di appello confermi, negli esiti decisorii, quella di 1° grado, ma per un percorso logico-giuridico differente. In tale ipotesi la motivazione della sentenza di appello "non sarebbe una conferma in secondo grado di quella data dal giudice di prime cure, ma risulterebbe nuova e così mai da altri vagliata. Si perderebbe in tal modo anche quel (invero assai gracile) fondamento della conformità delle due motivazioni che sembra fondare il meccanismo introdotto dal legislatore (CONSOLO, "Nuovi ed indisiderabili esercizi", cit., 1141, che rileva come, nel caso auspicabile venga accolta l'interpretazione volta a "recuperare" il vizio motivatorio di illogicità, insufficienza ed incoerenza attraverso il n.4 dell'art. 360 c.p.c., il risultato cui si arriva è che la novella legislativa realizzerà il fine di una più rapida formazione del giudicato nel solo caso di radicale omesso esame di un fatto, l'unico considerato dall'art. 360, n. 5 c.p.c. In tal modo si determina un evidente paradosso: uno dei più gravi vizi, in grado di inficiare la correttezza della decisione assunta, non potrà essere più dedotto dalla parte, né recuperato ex art. 360, n.4 c.p.c., dato che l'omissione che rileva è evidentemente su domande od istanze, non su fatti) (v. anche GALLETTO, "Doppio filtro", cit., 13 ss., che sottolinea come l'incongruità delle conseguenze della novella normativa dimostra come sia irragionevole la scelta stabilizzatrice della c.d. "doppia conforme").

Autorevole dottrina sostiene che per superare la preclusione della "doppia conforme" ed impugnare la sentenza di primo grado anche ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c. il ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza, deve indicare le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione impugnata, quelle poste a fondamento dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello o della sentenza di rigetto e dimostrarne la diversità. D’altronde, stante l’applicazione del comma quarto dell’art.348-ter c.p.c. e l’esclusione della proponibilità del ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado ex art.360, comma 5 c.p.c., la motivazione dell’ordinanza deve, almeno, indicare “le ragioni inerenti alle questioni di fatto” a fondamento della “inammissibilità” dell’appello e l’identità di tali ragioni con quelle “poste a base della decisione impugnata”. In mancanza di tale motivazione, non potrebbe essere invocata la preclusione prevista dall’art.348, comma 4 c.p.c. (COSTANTINO, "Le riforme dell'appello civile e l'introduzione del filtro", www.treccani.it, 23, in una visione fortemente critica della riforma di cui all’art.54 del decreto legislativo 22 giugno 2012, n.83, convertito nella Legge 7 agosto 2012 n.134; VERDE, "Diritto di difesa", cit., 13, che sottolinea come il principio della c.d. "doppia conforme" esclude il controllo da parte della Corte di Cassazione sulla (corretta) ricostruzione del fatto).

Approfondimenti dottrinali

CAPONI, "La riforma dei mezzi di impugnazione", in Riv. trim. dir. proc. civ. 2012;

FERRARESE-PASQUALIN-ROSA, "Correva l'anno 2012 ....", in Il Caso.it, Unione Triveneta dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati, 2012;

CONSOLO, "Nuovi ed indisederabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di svaporamento", in Il Corriere giuridico" 2012;

GALLETTO, "Doppio filtro in appello, doppia conforme e danni collaterali", in www.jidicium.it;

CAPONI, "Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile", in Giurisprudenza costituzionale 2012;

VERDE, "Diritto di difesa e nuova disciplina delle impugnazioni", in www.jidicium.it;

FORNACIARI, "Ancora una riforma dell'art. 360 n.5 cpc; basta, per favore, basta!",

www.jiudicium.it;

COSTANTINO, "Le riforme dell'appello civile e l'introduzione del filtro", www.treccani.it

Considerazioni conclusive

La riforma avente ad oggetto l’art.360, n. 5 c.p.c. si segnala, ad avviso di chi annota, per due aspetti rilevanti:

1) il giudizio unanimemente negativo che la dottrina – come si è visto - ha espresso sul nuovo “istituto”, inidoneo a garantire l’obiettivo (pure espressamente perseguito) di accelerare i tempi della giustizia anche aggredendo (rectius, riducendo) efficacemente l’arretrato.

Anche perché la scelta formale sia di far “scomparire” in un sol colpo tutti i controlli in sede di legittimità dei vizi motivazionali, facendo residuare solo la denuncia di “omesso esame” del fatto controverso, sia di introdurre il parametro di inammissibilità della denuncia di “omesso esame” nell’ipotesi della c.d. “doppia conforme”, ha già un precedente nel Codice di procedura civile del 1865, poi oggetto di successive modifiche vista la sostanziale inefficacia ed incongruità dei risultati ottenuti.

La dottrina arriva quindi a parlare di veri e propri “danni collaterali” in ordine agli effetti della riforma, suscettibili di declaratoria di incostituzionalità, tra i quali: l’irrimediabilità dell’errore revocatorio del giudice di primo grado ex art.396, n.4 c.p.c. (ove detto giudice sia incorso in un errore di percezione, affermando l’esistenza - o l’inesistenza - di un fatto decisivo la cui sussistenza - od insussistenza - risulti invece in modo inequivocabile agli atti di causa, senza che la circostanza fosse controversa tra le parti); la sostanziale elisione di un controllo di legittimità sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento del giudice di merito; l’aggravio del carico di lavoro della Corte di Cassazione (dato che è altamente probabile che gli appelli dichiarati inammissibili provocheranno un sensibile aumento dei ricorsi per cassazione contro la decisione di primo grado ovvero avverso la declaratoria di inammissibilità pronunciata con sentenza in secondo grado) (GALLETTO, “Doppio filtro”, cit., 13 ss.).

2) L’incongruità della nuova disciplina è stata segnalata immediatamente nel corso dei lavori alla Camera dei Deputati.

Nell’ordine del giorno n.165, approvato il 25.12.2012 dalla Camera dei Deputati si rileva, tra le altre cose, come le nuove norme che modificano il sindacato della Suprema Corte sulla motivazione dei provvedimenti con effetto decisorio o che paiono sottrarre al sindacato di legittimità l’ordinanza con cui il giudice d’appello dichiara l’inammissibilità dell’impugnazione, stravolgono il diritto processuale vigente e rischiano di collidere con la Costituzione e, in particolare, con l’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali previsto dall’art. 111 - obbligo correlato al principio di legalità di cui all’art. 102, comma 2 - oltre che con la previsione costituzionale della possibilità di ricorrere in Cassazione per motivi di legittimità e con il diritto di azione e di difesa assicurati dall’art. 24.

Con l’ulteriore precisazione che anche il regime a cui è assoggettata la pronuncia “doppia conforme” appare in contrasto con il principio di ragionevolezza nelle ipotesi di una motivazione affetta da contraddittorietà e confermata anche in secondo grado, visto che sarebbe sostanzialmente preclusa la denuncia di ogni vizio.

Ecco allora che La Camera “impegna (il Governo) ad effettuare una profonda verifica delle nuove disposizioni alla luce dei principi di rango costituzionale che ispirano gli istituti processuali oggetto delle medesime”, sollecitando possibile iniziative “idone(e) ad eliminare o correggere il contenuto delle stesse anche con riferimento alle perplessità denunciate nelle premesse”.

Concludendo. Spiace che ancora una volta si sia persa l’occasione per fare una riforma – assolutamente necessaria, essendo insostenibile (statistiche alla mano) il carico di giudizi di impugnazione di merito e di legittimità attualmente sussistente ne nostro paese – coerente ed organica, che tenga conto delle peculiarità del nostro sistema e che non si rifaccia invece (come appare evidente dalla riforma) ad altri ordinamenti completamente diversi dal nostro (nella specie, quello tedesco, dove non sussiste – a differenza che da noi – una fisiologica contrapposizione di ruoli tra avvocato e giudice).

la SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE

ISTITUTO DEL RICORSO PER CASSAZIONE EX ART.360, N.5 C.P.C.: INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE UTILE E/O APPLICABILE DOPO LA NOVELLA LEGISLATIVA (L. 134 DEL 2012).

Cassazione civ., Sez. III, 6 settembre 2012, n. 14929

Il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c.: in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Cassazione civ., Sez. III, 6 settembre 2012, n. 14939

Il vizio di motivazione - di cui all'art. 360 n. 5, c.p.c. - si configura unicamente quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.

Cassazione civ., Sez. VI, 29 marzo 2012, n.5088

Il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., è configurabile soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l'obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati. In quest'ultimo caso, infatti, il motivo di ricorso si risolve in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tende all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

Cassazione civ., Sez. lavoro, 12 agosto 2004, 15693

Il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della "ratio decidendi", e cioè l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova.

Cassazione civ., Sez. III, 14 febbraio 2003, n. 2222

Il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova. L'art. 360 n. 5 non conferisce, infatti, alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti. Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.