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Falso giuramento

LE SINTESI

RISARCIMENTO DEL DANNO DA REATO

Falso giuramento della parte e processo civile

la QUESTIONE

Quali sono gli effetti e l’efficacia del giuramento prestato dalla parte nel giudizio civile? Quale tutela è azionabile dalla parte risultata soccombente nel giudizio civile a causa della falsa dichiarazione giurata della controparte? Quali sono i rapporti tra il giudizio civile di risarcimento del danno da reato e il giudizio penale di accertamento del reato medesimo?

la RISPOSTA IN SINTESI

Gli effetti derivanti dal giuramento decisorio o suppletorio si distinguono sulla base dell’atteggiamento della parte in ordine all’assunzione del mezzo di prova de quo. Nel caso di mancata prestazione del giuramento deferito o riferito, si determina la soccombenza della parte medesima rispetto alla domanda o al punto di fatto oggetto del giuramento. Al contrario, la prestazione del giuramento determina l’incontrovertibilità assoluta, quantomeno nel processo civile, sui fatti oggetto della dichiarazione giurata, non essendo la controparte ammessa a provare il contrario, né legittimata a chiedere la revocazione della sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato falso.

In tale ultima ipotesi, qualora il giurante sia stato condannato per il reato di cui all’art. 371 c.p., la parte risultata soccombente nel processo civile a causa del giuramento falso, sarà legittimata ad agire giudizialmente nei confronti della propria controparte, in un autonomo e separato giudizio rispetto a quello in cui il giuramento stesso fu prestato, per ottenere il risarcimento del danno.

Nel caso in cui, invece, il giudice penale non possa pronunciare sentenza di condanna perché il reato è estinto ovvero sia stata pronunciata sentenza di applicazione della pena su richiesta ovvero ancora sia stata pronunciata sentenza di assoluzione non opponibile al danneggiato, il giudice civile sarà “libero” di conoscere del reato di falso giuramento incidenter tantum.

Infine, il giudizio civile di risarcimento del danno, anche nel caso in cui l’azione civile sia stata esercitata ai sensi dell’art. 75, comma 2, c.p.p. dovrà essere necessariamente sospeso sino alla pronuncia del giudice penale, in quanto quest’ultima deve considerarsi, per espresso richiamo normativo, pregiudiziale (se non addirittura fondante) rispetto al diritto fatto valere con la domanda di risarcimento del danno.

Claudio Cecchella, Avvocato e Professore di diritto processuale civile e diritto fallimentare presso l’Università di Pisa e componente del Comitato di redazione della Rivista ed Elena Grigò, Dottoranda di ricerca presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Gli APPROFONDIMENTI

Trattazione approfondita della questione pag. 00

Fac simile di atto di citazione per il risarcimento dei danni………………………………pag. 00

GLI APPROFONDIMENTI

CIVILE

Il giuramento decisorio: un vero e proprio obbligo per la parte di dire il vero ?

a cura di Claudio Cecchella* e Elena Grigò**

* Avvocato e Professore di diritto processuale civile e diritto fallimentare presso l’Università di Pisa e componente del Comitato di redazione della Rivista.

** Dottoranda di ricerca presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.

la QUESTIONE

Quali sono gli effetti e l’efficacia del giuramento prestato dalla parte nel giudizio civile? Quale tutela è azionabile dalla parte risultata soccombente nel giudizio civile a causa della falsa dichiarazione giurata della controparte? Quali sono i rapporti tra il giudizio civile di risarcimento del danno da reato e il giudizio penale di accertamento del reato medesimo?

l’APPROFONDIMENTO

Il giuramento decisorio e il giuramento suppletorio nel codice civile

Differenziandosi quale pro se declaratio dalla confessione, la quale trae la propria efficacia di prova legale dall’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni effettuate dalla parte contra se, il giuramento costituisce un mezzo di prova, tipicamente costituenda, che fonda la propria efficacia probatoria sulla solennità delle forme espressamente previste dal legislatore nonché sul preciso obbligo morale, sanzionato severamente dall’art. 371 c.p., posto a carico della parte che, in deroga al principio generale dell’ordinamento ai sensi del quale la parte stessa ha facoltà di allegare i soli fatti a sé favorevoli, ha in questo caso il dovere di dire la verità.

La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie definiscono il giuramento come la dichiarazione, eseguita nelle forme gravi e solenni previste dalla legge, con la quale una parte afferma un fatto come vero (LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, Giuffrè, Milano, 1984, 152 ss.).

Secondo quanto disposto dal codice civile all’art. 2736, inoltre, il giuramento è decisorio quando è deferito da una parte all’altra ‹‹per farne dipendere in tutto o in parte la decisione totale o parziale della causa››, mentre è suppletorio il giuramento deferito dal giudice nel caso in cui ‹‹la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova››. Nell’ambito del genus del giuramento suppletorio, il richiamato articolo prevede un’ulteriore species di giuramento, il c.d. giuramento estimatorio, deferibile dal giudice ‹‹al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti››.

Si può quindi chiaramente dedurre, con la giurisprudenza unanime, che il mezzo di prova de quo, comportando ‹‹la decisione totale o parziale della causa››, deve necessariamente essere di per sé idoneo ad esaurire l’indagine sull’intera questione di fatto posta ad oggetto della domanda, dell’eccezione ovvero della questione pregiudiziale o preliminare che si intende provare (inter alia, Cassazione civ., Sez. II, 14 aprile 1995, n. 4275).

Il giuramento si distingue, inoltre, tra giuramento c.d. de veritate, il quale ha ad oggetto un fatto (giuridico) proprio della parte, e il giuramento c.d. de scientia o de notitia, formulato sulla dichiarazione di conoscenza di un fatto altrui.

L’art. 2739 c.c. precisa che il giuramento non può riguardare né diritti di cui le parti non possono disporre, né un fatto illecito (il divieto, tuttavia, ha efficacia soltanto nei confronti dell’“autore” del fatto illecito medesimo e non anche del soggetto danneggiato), né per negare un fatto che da atto pubblico risulti avvenuto alla presenza di un pubblico ufficiale che ha formato l’atto stesso e neppure per provare l’esistenza di un contratto per la cui validità sia richiesta la forma scritta ad substantiam. In tale ultima ipotesi, d’altro canto, il predetto divieto deve considerarsi non operante nel caso in cui sia provata la distruzione o la perdita incolpevole del documento da parte del contraente che se ne voglia servire oppure qualora sia il terzo ad invocare il contratto come fatto storico (Cassazione civ., Sez. lavoro, 24 marzo 2001, n. 4308).

Infine, l’art. 2739 c.c. prevede, sempre con riferimento all’oggetto del giuramento, che quest’ultimo ‹‹non può essere riferito qualora il fatto che ne è l’oggetto non sia comune a entrambe le parti››.

Quanto al profilo “soggettivo” ed in considerazione della particolare efficacia di prova legale attribuita dall’ordinamento al giuramento, il codice civile richiede, in capo alla parte, la sussistenza dei medesimi requisiti di capacità e di legittimazione che l’art. 2731 c.c. prevede in materia di confessione. Tuttavia, se la parte è persona incapace o persona giuridica, il giuramento potrà essere validamente prestato da colui che sia legittimato ad agire in nome e per conto della stessa salvo il caso di morte della parte poiché tale evento renderebbe il giuramento deferito o riferito inammissibile.

Il giuramento decisorio e suppletorio nel processo civile

La prima norma del codice di procedura civile che si pone all’attenzione dell’interprete riguarda le preclusioni relative alla deferibilità del giuramento decisorio.

In particolare, l’art. 233 c.p.c. prevede che il giuramento decisorio possa essere deferito in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore (ovvero, si deve ritenere, anche all’udienza di discussione per le controversie che si svolgano secondo il rito del lavoro). Secondo quanto precisato da una parte della dottrina, il giuramento decisorio sarebbe altresì ammissibile nei giudizi di revocazione e di opposizione di terzo che si svolgano davanti al giudice di primo grado nonché nel giudizio di appello (salve, ovviamente, le preclusioni sulla deducibilità del fatto che dovessero già essersi verificate). Non potrebbe, al contrario, mai ritenersi ammissibile il giuramento decisorio deferito a seguito della rimessione della causa in decisione o quando vi sia stata espressa rinuncia al mezzo istruttorio de quo oppure ancora nel giudizio di cassazione (Cassazione civ., Sez. lavoro, 3 luglio 2001, n. 8998).

Anche in considerazione della particolare efficacia indirettamente dispositiva del diritto cui il fatto oggetto di giuramento afferisce, tale da far ritenere ad autorevole dottrina che il mezzo di prova di cui si tratta abbia altresì natura negoziale vincolante per il giudice e non solo meramente probatoria (CARNELUTTI, La prova civile, Edizioni dell’ateneo, 1947, 48), la medesima norma dispone che solo la parte stessa, anche a mezzo di un proprio procuratore munito di mandato speciale, possa deferire il giuramento decisorio, con dichiarazione orale fatta in udienza e recepita nel relativo verbale ovvero mediante atto separato, debitamente sottoscritti dalla parte o dal procuratore speciale.

La parte dovrà altresì aver cura di redigere la formula del giuramento decisorio in capitoli separati, con la chiara e non equivoca indicazione del fatto oggetto del giuramento ed in modo tale che il giudice, in sede di decisione, possa limitarsi a verificare l’an iuratum sit sull'intera domanda, senza ulteriori indagini o valutazioni (inter alia, Cassazione civ., Sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1634).

Il giudice, quindi, nella valutazione circa l’ammissibilità del mezzo di prova, potrà liberamente apprezzare solamente l’idoneità della formula ad esaurire l’indagine di fatto sul punto controverso, ma non avrà alcun potere discrezionale in ordine alla rilevanza dei fatti medesimi. Il giudice, pertanto, dovrà ammettere il giuramento anche qualora la formula verta su fatti già accertati o esclusi da una prova a carattere privilegiato (inter alia, Cassazione civ., Sez. III, 7 ottobre 1998, n. 9912).

Ai sensi dell’art. 237 c.p.c., le contestazioni eventualmente sorte in ordine all’ammissibilità del giuramento decisorio sono risolte dal collegio, da intendersi, evidentemente, come l’organo giudicante competente a decidere della controversia.

L’art. 237 c.p.c. prosegue prevedendo che l’ordinanza di ammissione del giuramento decisorio debba essere tempestivamente notificata, a cura della parte istante, alla parte cui è deferito il giuramento, la quale potrà scegliere se prestare il giuramento e vincere la lite ovvero non prestarlo e perderla. Tuttavia, secondo quanto disposto dall’art. 234 c.p.c., qualora la formula riguardi un ‹‹fatto comune ad entrambe le parti›› e fino al momento in cui la parte abbia dichiarato di essere pronta a giurare, quest’ultima potrà a sua volta decidere di riferire il giuramento all’avversario, la cui formula dovrà riproporre, ovviamente in negativo, la medesima formula deferita.

La parte che abbia deferito o riferito il giuramento decisorio potrà altresì revocare (e, quindi a fortiori, modificare), il giuramento deferito o riferito a seguito dell’esercizio da parte del giudice del proprio potere di modifica della formula. Tale potere, che, come ritenuto dalla giurisprudenza ‹‹costituisce, per il giudice stesso, non un obbligo ma una facoltà›› (Cassazione civ., Sez. lavoro, 2 settembre 2003, n. 12779), risulta concretamente limitato alle sole variazioni che non alterino la sostanza della formula e che siano volte a chiarirne il contenuto o ad eliminarne incertezze ed ambiguità.

Al contrario, il giudice non potrà apportare variazioni “sostanziali”, dirette cioè ad introdurre fatti non contemplati nell’articolazione del giuramento o a modificare in termini sostanziali i fatti indicati, in quanto una simile facoltà comporterebbe un’indebita interferenza del giudice nel potere dispositivo della parte.

Qualora, invece, sia stata la parte cui è stato deferito il giuramento decisorio ad apportare variazioni alla formula, il giudice sarà tenuto a verificare se le modifiche o le aggiunte alterino il contenuto della formula stessa o si risolvano in mere precisazioni di questa.

Come già sottolineato, caratteristica fondamentale del mezzo di prova di cui si tratta è l’assunzione dello stesso nelle forme vincolate e solenni previste dall’art. 238 c.p.c.. Tali formalità si risolvono nell’ammonizione del giudice sull’importanza morale dell’atto e sulle conseguenze penali del falso giuramento nonché nelle modalità di prestazione del giuramento medesimo (la parte, comparsa in udienza, deve pronunciare, in piedi, le parole di rito ‹‹consapevole della responsabilità che con il giuramento assumo, giuro…›› seguite dalla formula su cui presta il giuramento).

Dell’attività istruttoria viene redatto processo verbale, sottoscritto dalla parte, il quale deve riportare fedelmente e dettagliatamente tutti le attività espletate dal giudice e dalla parte, a pena di nullità della prova, sanabile peraltro mediante rinnovazione della stessa.

Una volta validamente prestato, il giuramento è irritrattabile ed irrevocabile; in questo senso, la dottrina ha ritenuto che non possano essere esperibili nei confronti della dichiarazione giurata le tipiche azioni di nullità e di annullamento (ad es. per la sussistenza di un vizio del volere) (COMOGLIO, Le prove civili, UTET, Torino, 2010, 734 ss.).

Le norme sopra richiamate e relative alla prestazione del giuramento decisorio sono altresì applicabili, in forza dell’espresso rinvio effettuato dall’art. 243 c.p.c., al giuramento suppletorio, il cui presupposto oggettivo è costituito, come ricordato, dalla presenza di una situazione probatoria incompleta (c.d. semiplena probatio).

Il giuramento suppletorio si configura quindi come un mezzo di prova sussidiario e integrativo e, per questo motivo, il giudice può avvalersene soltanto qualora siano esauriti tutti i mezzi istruttori richiesti dalle parti ovvero, come ritenuto dalla giurisprudenza più recente, anche in presenza di mezzi di prova richiesti dalle parti che non siano stati assunti perché dichiarati inammissibili dal giudice (Cassazione civ., Sez. I, 10 gennaio 1998, n. 158).

Nell’esercitare il proprio potere istruttorio officioso, in ogni caso, il giudice deve tener conto della sussistenza del carattere “decisorio” delle circostanze che si intendono provare ma, diversamente da quanto accade per il giuramento decisorio, questa assumerà rilevanza anche in relazione e ad integrazione del materiale probatorio già acquisito (Cassazione civ., Sez. I, 15 gennaio 2003, n. 525).

Inoltre, secondo quanto indicato dalla giurisprudenza, il giudice, nella scelta della parte cui deferire il giuramento suppletorio, deve orientarsi su chi, secondo il suo prudente apprezzamento, risulta aver fornito il ‹‹maggior contenuto probatorio›› (Cassazione civ., Sez. III, 27 giugno 2006, n. 14768) nonché su quella che appare essere più favorita dalle risultanze della prova esperita e più meritevole di fiducia, anche in considerazione del comportamento processuale tenuto (Cassazione civ., Sez. III, 15 luglio 1998, n. 6911). Per questo motivo, l’art. 242 c.p.c. dispone che il giuramento suppletorio deferito ad una delle parti non può essere riferito in quanto un simile potere costituirebbe un’interferenza della parte nella valutazione operata dal giudice. La parte, in questo caso, per svincolarsi dalla rigida alternativa tra la prestazione del giuramento e la soccombenza, potrà proporre solamente istanza di revoca dell’ordinanza di ammissione.

Quanto al giuramento estimatorio, che come si è visto costituisce una species del giuramento suppletorio, si deve rilevare che il presupposto oggettivo è costituito dalla sola impossibilità, anche giuridica, di determinare con altri mezzi il valore di una cosa domandata. Il mezzo istruttorio de quo non potrà, quindi, essere utilizzato per la prova dell’esistenza della cosa medesima (Cassazione civ., Sez. lavoro, 12 febbraio 1982, n. 877) o per l’accertamento di un fatto storico (Cassazione civ., Sez. II, 30 ottobre 1981, n. 5753).

Sotto il profilo più strettamente processuale pare sufficiente, in questa sede, ricordare che il giudice, nell’ordinanza di ammissione del giuramento estimatorio, deve determinare la somma fino alla concorrenza della quale il giuramento avrà efficacia (c.d. taxatio). La dottrina sul punto ha precisato che, qualora la parte indicasse una somma superiore, il giuramento estimatorio non produrrà effetti per la parte eccedente la c.d. taxatio, con la conseguenza che il giurante non potrà addurre alcuna prova per dimostrare tale ulteriore importo (TARUFFO, in CARPI-COLASANTI-TARUFFO (a cura di), Commentario breve al codice di procedura civile, CEDAM, Padova, 2009, 820 ss.). Una tesi minoritaria, tuttavia, ritiene che l’indicazione di una somma superiore a quella stabilita dal giudice debba essere considerata come rifiuto di prestare il giuramento (NICOLETTI, Il giuramento della parte nell'attualità del processo civile, Rimini, 233 ss.).

Gli effetti del giuramento della parte

Il legislatore prevede due ordini di effetti derivanti dalla prestazione ovvero dalla mancata prestazione del giuramento. In ordine a quest’ultima ipotesi, l’art. 239 c.p.c. dispone che ‹‹la parte alla quale il giuramento decisorio è deferito, se non si presenta senza giustificato motivo all’udienza all’uopo fissata o, comparendo, rifiuta di prestarlo o non lo riferisce all’avversario, soccombe rispetto alla domanda o al punto di fatto relativamente al quale il giuramento è stato ammesso; e del pari soccombe la parte avversaria, se rifiuta di prestare il giuramento che le è stato riferito››.

Nello stesso modo, secondo la giurisprudenza e la dottrina, equivale a mancata prestazione del giuramento de veritate la dichiarazione del giurante di non essere a conoscenza o di non ricordare i fatti che costituiscono l’oggetto del giuramento ovvero anche ‹‹ogni dichiarazione viziosa fatta in modo da sfuggire alla categorica affermazione o al diniego a cui la formula si riferisce›› (DI PAOLA, Costituzione delle parti, udienza di trattazione e richieste istruttorie e probatorie, CEDAM, Padova, 2010, 627 ss.). La giurisprudenza ha poi equiparato alla mancata prestazione del giuramento sia il giuramento prestato su formula diversa da quella ammessa dal giudice, qualora le variazioni apportate abbiano carattere sostanziale, sia la prestazione di giuramento de scientia in luogo del giuramento de veritate ammesso (Cassazione civ., Sez. II, 24 maggio 2004, n. 9927).

Nella diversa ipotesi in cui, invece, la parte abbia prestato il giuramento, ai sensi dell’art. 2738, comma 1, c.c. ‹‹l’altra parte non è ammessa a provare il contrario, né può chiedere la revocazione della sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato falso››.

Ne discende che la prestazione del giuramento determina l’incontrovertibilità assoluta sui fatti oggetto di prova, quantomeno nel processo civile. La parte, infatti, non potrà in alcun modo fornire la prova contraria sui medesimi fatti né potrà impugnare la sentenza emessa sulla base della dichiarazione giurata per il solo motivo della falsità del giuramento, quand’anche quest’ultima fosse dichiarata dal giudice penale (avverso la sentenza sarebbe tipicamente esperibile il rimedio della revocazione - espressamente esclusa dalla norma - per il motivo di cui all’art. 395, comma 1, n. 2, c.p.c. ai sensi del quale è oggetto di revocazione la sentenza inappellabile ‹‹se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza››).

Unica apparente eccezione all’efficacia piena di prova legale del giuramento riguarda il caso in cui lo stesso sia stato prestato da alcuni soltanto dei litisconsorti necessari. In questa ipotesi, infatti, il giuramento potrà essere liberamente apprezzato dal giudice nei confronti di tutti i litisconsorti, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno prestato il giuramento.

L’unica tutela accordata dall’ordinamento alla parte risultata soccombente è prevista dal medesimo art. 2738, comma 2, c.c. che, in caso di condanna penale del giurante per il reato previsto dall’art. 371 c.p., concede alla parte medesima la possibilità di domandare il risarcimento dei danni patiti a causa della sentenza emessa sulla base del falso giuramento (si ricordi, per inciso, che la materia de qua non rientra tra quelle previste dall’art. 5 del D.lgs. n. 28/2010 e, pertanto, non risulta necessario il previo esperimento del procedimento di mediazione previsto dal medesimo D.lgs. n. 28/2010).

Rappresentando una peculiare applicazione del principio sancito dall’art. 185 c.p., ai sensi del quale ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga il responsabile al risarcimento del danno, l’art. 2738 c.c. prevede, quale unico possibile titolo per la domanda risarcitoria, il previo accertamento da parte del giudice penale dell’integrazione della fattispecie penale ex art. 371 c.p. e della punibilità del giurante.

Appare quindi di tutta evidenza la volontà del legislatore di escludere, in maniera assoluta, la possibilità che l’esito della causa determinato dalla prestazione del giuramento sia rimesso in discussione dalla parte, potendo quest’ultima solamente adire, in un autonomo e separato giudizio, il giudice ai fini del risarcimento del danno (Cassazione civ., Sez. III, 17 gennaio 2005, n. 737).

La sentenza penale di condanna per falso giuramento, pertanto, non potrà mai avere alcuna rilevanza nel giudizio in cui il giuramento falso sia stato prestato. Il legislatore ha, infatti, voluto svincolare l’esito del giudizio civile da quello dell’eventuale procedimento penale per falsità del giuramento, la cui definizione può solo costituire titolo per la pretesa risarcitoria verso la parte che ha giurato il falso (Cassazione civ., Sez. III, 11 febbraio 2004, n. 2659).

L’art. 2738, comma 2, secondo capoverso, c.c., derogando alla disciplina di cui al secondo comma, primo capoverso, del medesimo articolo, consente al giudice civile di conoscere del reato di falso giuramento, ai soli fini del risarcimento del danno, quando la condanna penale non possa essere pronunciata perché il reato di falso giuramento è estinto.

Sotto questo aspetto, l’art. 2738, comma 2, secondo capoverso, c.c. applica il principio statuito dall’art. 198 c.p., ai sensi del quale l’estinzione del reato o della pena non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato medesimo. Come ricordato da parte della dottrina, in questo caso il giudice civile adito dal danneggiato a seguito della pronuncia del giudice penale di proscioglimento potrà avvalersi, nell’accertamento incidentale del reato, di tutti i più ampi poteri di cognizione e di istruzione probatoria propri del giudice penale (COMOGLIO, Le prove civili, UTET, Torino, 2010, 734). L’accertamento incidentale del giudice civile dovrà quindi essere condotto ai sensi di quanto disposto dal codice di procedura penale ed, in particolare, dall’art. 193 c.p.p., a mente del quale ‹‹nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli che riguardano lo stato di famiglia e di cittadinanza››.

Si ricorda, da ultimo, che l’art. 2738, comma 2, c.c. ha subìto l’intervento della Corte Costituzionale, la quale, con sentenza 4 aprile 1996, n. 105, ha dichiarato la parziale incostituzionalità della norma ‹‹nella parte in cui non prevede che il giudice civile possa conoscere del reato di falso giuramento al solo fine del risarcimento anche nel caso in cui la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata nel giudizio penale non abbia efficacia di giudicato nei confronti del danneggiato›› ai sensi degli artt. 75, comma 2, 442, 652 e 654 c.p.p..

Il falso giuramento della parte nel codice penale

Prima di passare al tema del rapporto tra il giudizio risarcitorio eventualmente instaurato dalla parte soccombente e il giudizio penale promosso nei confronti della parte che abbia giurato il falso, pare opportuno trattare, seppur brevemente, del reato di falso giuramento disciplinato dall’art. 371 c.p. a mente del quale è punito, con la reclusione da sei mesi a tre anni, chiunque, come parte di un giudizio civile, giura il falso.

Il reato in parola rientra tra i delitti contro l’amministrazione della giustizia ed, in particolare, è posto a tutela della ‹‹veridicità della dichiarazione giurata, in funzione della corretta amministrazione della giustizia civile, stante il valore di prova legale che l'ordinamento annette al giuramento›› (Cassazione pen., 29 luglio 1983, n. 9433).

Il reato de quo è un reato di mera condotta e di pericolo presunto e, pertanto, la parte sarà punibile per la mera prestazione della dichiarazione giurata falsa, indipendentemente dall’eventuale danno o dal pericolo concreto di danno che possa derivare alla controparte nel giudizio civile.

La dottrina ha inoltre osservato che l'art. 371 c.p. prescinde, ai fini dell’integrazione della fattispecie, dalla valutazione circa la conformità del giuramento alle norme civilistiche che disciplinano l'istituto, non risultando quindi rilevanti nel giudizio penale il contenuto privatistico, l'irregolarità, l'invalidità, l'inammissibilità, la rilevanza e la decisorietà dei fatti o l’eventuale revoca dell’ordinanza di ammissione a seguito della prestazione del giuramento (Cassazione pen., 29 luglio 1983, n. 9433).

Il reato potrà ritenersi inoffensivo, e quindi non punibile, nel solo caso in cui la forza probatoria della dichiarazione giurata si debba escludere per caratteri intrinseci alla stessa (come ad esempio nel caso di giuramento su un’opinione) ovvero qualora il rapporto processuale civile sia inesistente.

Come ritenuto dalla giurisprudenza, l’obbligo della parte di giurare il vero ha carattere assoluto tanto che la parte, imputata nel giudizio penale per il reato di falso giuramento, non potrà addurre, come argomentazione difensiva in punto di insussistenza dell’elemento soggettivo, l’ambiguità, l’inesattezza o la lacunosità della formula, avendo la parte medesima il potere e il dovere di effettuare tutte le precisazioni e i chiarimenti necessari al fine di rendere la dichiarazione giurata conforme al vero (Cassazione pen., 10 maggio 1989, n. 13664).

Deve, inoltre, ritenersi abrogato, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 20 novembre 1995, n. 490, il secondo comma dell’art. 371 c.p. il quale prevedeva una speciale causa di non punibilità, applicabile al solo giuramento suppletorio, costituita dalla ritrattazione da parte del giurante del giuramento falso prima che in sede civile sia pronunciata una sentenza definitiva di merito, ancorché non irrevocabile.

Da ultimo, è opportuno ricordare che il reato previsto dall’art. 371 c.p. è escluso sia dall’ambito di operatività dell’art. 384 c.p., il quale prevede la non punibilità per ‹‹chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore››, sia da quello dell’art. 54 c.p., poiché il pericolo di soccombenza nel giudizio civile non potrebbe mai integrare il ‹‹pericolo attuale di un danno grave alla persona›› prefigurato dalla norma, bensì soltanto conseguenze di ordine civilistico e quindi afferenti esclusivamente alla sfera patrimoniale dell’individuo.

Il rapporto tra il giudizio penale sul falso giuramento e il giudizio civile di risarcimento del danno

Si è già avuto modo di osservare che la sentenza di condanna per il reato di falso giuramento ex art. 371 c.p. pronunciata dal giudice penale nei confronti del giurante costituisce il presupposto indefettibile affinché la parte risultata soccombente a causa del giuramento possa agire in un nuovo ed autonomo processo nei confronti del giurante medesimo per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

Occorre a questo punto analizzare le norme previste dall’art. 75 c.p.p. il quale, in coerenza con la scelta di fondo operata nel codice di procedura penale del 1988, disciplina i casi di possibile interferenza tra processo penale e la parallela e autonoma azione civile di danno.

L'art. 75 c.p.p. riguarda sostanzialmente tre ipotesi: il primo comma della norma prevede l’automatica rinuncia agli atti del giudizio civile in conseguenza del trasferimento davanti al giudice penale dell’azione esercitata in sede civile, prima che in questa sede sia stata pronunciata una sentenza di merito, anche non passata in giudicato; il secondo comma disciplina l’autonoma prosecuzione dell'azione civile esercitata in sede civile qualora il danneggiato non abbia provveduto al trasferimento dell’azione medesima in sede penale ovvero il processo civile sia iniziato oltre la scadenza dei termini per la costituzione di parte civile; infine, il terzo comma dispone la sospensione del giudizio civile fino alla pronuncia della sentenza definitiva in sede penale nel caso in cui l'azione sia stata proposta in sede civile soltanto a seguito della costituzione di parte civile o della pronuncia di una sentenza penale di primo grado.

In particolare, l’ipotesi disciplinata dal secondo comma della norma citata deve essere coordinata con quanto disposto dall’art. 651 c.p.p.. Dal combinato disposto dei due articoli richiamati emerge che, nel caso di sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata a seguito della fase dibattimentale, la stessa avrà efficacia di giudicato ‹‹quanto all’accertamento della sussistenza penale del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso›› nel giudizio civile promosso dal danneggiato ai sensi dell’art. 75, comma 2, c.p.p.. Nel medesimo caso, al contrario, la sentenza penale di assoluzione non spiegherà nel giudizio l’efficacia di giudicato (relativa all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima) prevista dall’art. 652 c.p.p..

Tale ultimo principio è stato riaffermato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 4 aprile 1996, n. 105 già citata, la quale ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 2738, comma 2, c.c., riconoscendo per l’effetto la possibilità per il giudice civile di conoscere, ai soli fini del risarcimento del danno, del reato di falso giuramento non solo nel caso in cui la condanna in sede penale non possa essere pronunciata per l’intervenuta estinzione del reato, ma anche nel caso in cui la sentenza irrevocabile di assoluzione non abbia efficacia di giudicato nei confronti del danneggiato.

Deve, inoltre, essere brevemente ricordato che sono parificate alla sentenza dibattimentale di condanna, e quindi spiegano il medesimo effetto di giudicato nel giudizio civile o amministrativo di risarcimento del danno, la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nel giudizio abbreviato (salvo che non vi si opponga la parte civile che non ha accettato il rito abbreviato) nonché la sentenza di condanna emessa nel giudizio immediato poiché tali sentenze devono essere considerate, a tutti gli effetti, sentenze dibattimentali (CONSO-GREVI, Compendio di procedura penale, CEDAM, Padova, 2006, 934 ss.). Quanto alla sentenza che applica la pena su richiesta è necessario osservare che, pur non fondandosi su un accertamento positivo della responsabilità penale ma piuttosto sull’esclusione dei presupposti per addivenire al proscioglimento dell’imputato sulla base del materiale di indagine fornito dal pubblico ministero, l’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. equipara, salvo diversa disposizione di legge, tale sentenza ad una pronuncia di condanna.

In questo senso, con ordinanza 3 dicembre 2010, n. 35 la Corte Costituzionale, dichiarando la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Bergamo in relazione all’art. 2738, comma 2, c.c. ‹‹nella parte in cui non prevede che il giudice civile può conoscere del reato di falso giuramento al fine del risarcimento dei danni dopo la sentenza di condanna ai sensi dell’art. 444 c.p.p.››, ha ritenuto che il combinato disposto dell’art. 2738, comma 2, primo periodo, c.c. e dell’art. 445, comma 1 bis, ultimo periodo, c.p.p., possa consentire ‹‹di ritenere che, anche in caso di applicazione della pena su richiesta per falso giuramento della parte (art. 371 c.p.), il giudice civile possa conoscere di detto reato al fine del risarcimento dei danni››.

Esaminata, seppur per linee generali, l’efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile di risarcimento del danno, appare a questo punto opportuno vagliare i casi in cui il giudice civile dovrà sospendere il giudizio pendente avanti a sé sino all’emissione di una pronuncia in sede penale.

Tralasciando il caso dell’azione civile esercitata nel processo penale, la quale non pare suscitare perplessità anche a mente di quanto previsto dall’art. 75, comma 1, c.p.p., è sicuramente indubbio che il giudice civile debba necessariamente disporre la sospensione del giudizio civile ‹‹se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado››, come disposto dall’art. 75, comma 3, c.p.p..

Ai casi sopra richiamati, tuttavia, parrebbe doversi aggiungere un’ulteriore ipotesi di sospensione del giudizio civile risarcitorio, applicabile nel caso in cui sia pendente il processo penale nei confronti della parte che abbia giurato il falso.

Infatti, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. ‹‹il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa››.

La pregiudizialità tecnica tra due procedimenti richiamata dalla norma quale presupposto per la sua applicazione, come è noto, si verifica quando ‹‹la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati›› (Cassazione civ., Sez. III, 24 novembre 2005, n. 24811).

Numerose sentenze della Corte di Cassazione hanno precisato che la sospensione del giudizio civile ex art. 295 c.p.c. si configura come necessaria solo nel caso in cui la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa pendente davanti allo stesso o ad altro giudice sia imposta da una espressa disposizione di legge ovvero qualora tra i due procedimenti sussista un rapporto di pregiudizialità tecnica (Cassazione civ., Sez. Unite, 19 febbraio 1997, n. 1532).

Ad ulteriore precisazione, si deve ritenere che il processo civile di risarcimento del danno derivante da reato debba essere necessariamente sospeso, in base al combinato disposto degli artt. 295 c.p.c. e 211 disp. att. c.p.p., ove una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale un effetto sul diritto oggetto di giudizio nel processo civile, e sempre a condizione che la sentenza che sia pronunciata nel processo penale possa esplicare in concreto efficacia di giudicato nel processo civile medesimo. Pertanto, secondo la giurisprudenza, affinché la decisione civile possa considerarsi concretamente dipendente dalla definizione del giudizio penale, non sarebbe sufficiente che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorrerebbe altresì che l’effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato oggetto di imputazione nel giudizio penale (Cassazione civ., Sez. I, 16 dicembre 2005, n. 2778).

Considerazioni conclusive

In conclusione, quindi, qualora il giurante sia stato condannato per il reato di cui all’art. 371 c.p., ovvero qualora il giudice non abbia potuto emettere sentenza di condanna in quanto il reato è estinto ovvero ancora in caso di applicazione della pena su richiesta (c.d. “patteggiamento”), la parte risultata soccombente nel processo civile a causa del giuramento decisorio, potrà agire giudizialmente nei confronti della propria controparte, in un autonomo e separato giudizio rispetto a quello in cui fu prestato il giuramento stesso, ai fini dell’ottenimento del risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

In tale sede, la pronuncia di condanna emessa dal giudice penale spiegherà la propria efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza penale del fatto, della sua illiceità penale e alla punibilità del giurante, permettendo al giudice civile l’accertamento degli ulteriori elementi richiesti dall’art. 2043 c.c. per determinare l’an e il quantum del risarcimento. Qualora, invece, la pronuncia di condanna non possa essere emessa perché il reato è estinto ovvero sia stata pronunciata sentenza di applicazione della pena su richiesta, il giudice civile sarà “libero” di conoscere del reato di falso giuramento incidenter tantum, potendosi in questi casi avvalere dei medesimi poteri istruttori di cui dispone il giudice penale. Infine, nei casi diversi da quelli sopra richiamati, il giudice civile non potrà che rigettare la domanda di risarcimento per mancanza di uno dei presupposti specifici richiesti dal combinato disposto degli artt. 2043 e 2738 c.c..

Da tale impostazione sistematica si può inoltre ragionevolmente dedurre che, anche nel caso in cui l’azione civile sia stata esercitata ai sensi dell’art. 75, comma 2, c.p.p., il giudice civile adito debba necessariamente ordinare la sospensione del processo di risarcimento pendente avanti a sé sino alla pronuncia del giudice penale, in quanto tale pronuncia deve considerarsi, per espresso richiamo normativo, pregiudiziale (se non addirittura fondante) rispetto al diritto fatto valere con la domanda di risarcimento del danno.

Normativa di riferimento

Codice civile: artt. 2043, 2731, 2736, 2737, 2738, 2739

Codice di procedura civile: artt. 233, 234, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 295, 395

Codice penale: artt. 54, 185, 198, 371, 384

Codice di procedura penale: artt. 75, 193, 442, 444, 445, 651, 652, 654, 211 disp. att.

Approfondimenti dottrinali

BIANCHI, La prova civile. Onere e ammissibilità della prova nel Codice Civile, CEDAM, Padova, 2009, 283 ss..

CARNELUTTI, La prova civile, Edizioni dell’ateneo, 1947, 48.

CARPI-COLASANTI-TARUFFO (a cura di), Commentario breve al codice di procedura civile, CEDAM, Padova, 2009, 820 ss..

COMOGLIO, Le prove civili, UTET, Torino, 2010, 716 ss..

CONSO-GREVI, Compendio di procedura penale, CEDAM, Padova, 2006, 934 ss..

DI PAOLA, Costituzione delle parti, udienza di trattazione e richieste istruttorie e probatorie, CEDAM, Padova, 2010, 627 ss..

GRASSELLI, L’istruzione probatoria nel processo civile, CEDAM, Padova, 2009, 607 ss..

LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, Giuffrè, Milano, 1984, 152 ss..

MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Giappichelli Editore, Torino, 2012, 174 ss..

NICOLETTI, Il giuramento della parte nell'attualità del processo civile, Rimini, 233 ss..

la SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE

AMMISSIBILITÀ DEL GIURAMENTO DECISORIO

Cassazione civ., Sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1634

Il giuramento decisorio, per essere ammesso, deve avere ad oggetto circostanze delle quali, come espressamente richiede l’art. 2736 n. 1 c.c., dipende la decisione di uno o più capi della domanda, ossia circostanze tali che il giudice, previo accertamento sull’an iuratum sit, non resti altro che accogliere o rigettare la domanda o singoli capi di essa, mentre se il predetto giuramento fosse ammissibile anche su circostanze attinenti a fasi dell’iter logico per decidere detti capi non sarebbe distinguibile da altre risultanze processuali soggette alla valutazione del giudice per pervenire alla decisione.

SEMIPLENA PROBATIO

737

Cassazione civ., Sez. lavoro, 8 gennaio 2003, n. 101

Il deferimento del giuramento suppletorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, cui è riservata tanto la valutazione circa la sussistenza del requisito della semiplena probatio e dell’opportunità di avvalersi o meno di tale mezzo di prova integrativo, quanto la scelta della parte alla quale il giuramento deve essere deferito. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione.

FORMULA DEL GIURAMENTO

Cassazione civ., Sez. lavoro, 2 settembre 2003, n. 12779

Il giuramento decisorio deve essere formulato in articoli separati, in modo chiaro e specifico, e, dovendo vertere su fatti idonei a risolvere (in tutto o in parte), la lite, la relativa formula deve essere congegnata in modo che il destinatario possa, a sua scelta, giurare e vincere la lite o non giurare e perderla, pertanto, un giuramento formulato in modo da non consentire l’attuazione di detto meccanismo, è inammissibile, in quanto la sua mancata prestazione, non potendo essere considerata come riconoscimento della fondatezza della pretesa della parte avversa, non potrebbe essere posta a base della sentenza di condanna; l’accertamento, in concreto, della decisorietà della formula adottata rientra nell’apprezzamento di fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esente da vizi logici e giuridici, così come è incensurabile in sede di legittimità il mancato esercizio, da parte del giudice di merito della facoltà di modificare la formula del giuramento, facoltà peraltro consentita solo per quanto attiene ad aspetti formali della formula stessa, al fine di renderne più chiaro il contenuto.

VARIAZIONI ALLA FORMULA DEL GIURAMENTO

Cassazione civ., Sez. II, 24 maggio 2004, n. 9927

All’ipotesi di mancata prestazione del giuramento decisorio di cui all’art. 239 c.p.c. è legittimamente assimilabile quella che si verifica quando la parte chiamata a prestare tale giuramento apporti alla formula ammessa dal giudice aggiunte o variazioni tali da alterarne l’originaria sostanza e dall’aver su tale formula modificata prestato il proprio giuramento, la relativa valutazione rientrando nell’apprezzamento di fatto del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità ove congruamente motivata.

EFFICACIA DEL GIURAMENTO - RISARCIMENTO DEL DANNO

Cassazione civ., Sez. III, 17 gennaio 2005, n. 737

In materia di giuramento decisorio, le disposizioni dell’art. 2738, primo comma, c.c., sono indicative della volontà del legislatore di impedire ogni possibilità di rimettere in discussione, per effetto delle deduzioni difensive delle parti, l’esito della causa determinato dalla prestazione del giuramento. Ne consegue che la domanda risarcitoria in forma specifica, respinta in quel giudizio e coperta dal giudicato per mancata impugnazione, non può essere ammessa nel giudizio di rinvio, ancorché la falsità del giuramento sia successivamente dichiarata dal giudice penale, salva restando la possibilità di domande di risarcimento soltanto per equivalente e di pretese risarcitorie nei confronti della parte che ha giurato il falso.

Cassazione civ., Sez. III, 11 febbraio 2004, n. 2659

La prestazione del giuramento determina una presunzione iuris et "de iure" in ordine all'esistenza dei fatti che ne formano oggetto, che non può essere più messa in discussione e svincola l'esito del giudizio civile da quello dell'eventuale procedimento penale per falsità del giuramento stesso, la cui definizione può solo costituire titolo per pretese risarcitorie verso la parte che ha giurato il falso.

FALSO GIURAMENTO

Cassazione pen., Sez. VI, 11 febbraio 1999, n. 5599

Ai fini della configurabilità del reato di falso giuramento, di cui all'art. 371 c.p., non assume alcuna rilevanza l'ammissibilità del giuramento secondo i parametri della legge civile, occorrendo invece in sede penale accertare se la dichiarazione giurata sia falsa o meno. Ciò comporta che la condotta dolosa della parte non può essere mai giustificata sul piano penale invocando le eventuali lacune o improprietà della formula di deferimento, fermo restando che spetta sempre al giurante la facoltà di apportare, ove occorra, precisazioni o chiarimenti ad essa, anche al fine di evitare che dalla formula deferita possa conseguire la falsità parziale della risposta; senza, dunque, che mai possa profilarsi per il delato la "necessità" di dire il falso.

Cassazione pen., Sez. VI, 12 gennaio 1995, n. 3056

Ai fini della sussistenza del delitto di cui all'art. 371 c.p. (falso giuramento della parte) è sufficiente che la parte abbia giurato il falso in uno o più punti della formulazione deferitagli, non occorrendo anche che risulti la rilevanza e la decisorietà, per il giudizio civile, dei fatti e delle circostanze dedotte nei capi del mezzo istruttorio in questione.

Cassazione pen., Sez. VI, 22 marzo 1985, n. 3975

L’obbligo della parte di giurare il vero ha carattere di “assolutezza” e non può trovare giustificazioni per non essere osservato nel tenore della formula secondo la quale il giuramento è deferito o riferito. A tal riguardo, ove la formula presenti elementi ambigui od oscuri, è riconosciuto alla parte che giuri il potere di effettuare precisazioni e chiarimenti. Spetta poi al giudice vagliare se la prova del fatto si debba considerare costituita mediante il giuramento ed in particolare se le dichiarazioni accessorie abbiano rappresentato una sostanziale variazione del fatto dedotto nella formula, sì da dover ritenere che il giuramento, formalmente prestato, sia stato in effetti rifiutato.

Per le sentenze della Cassazione si rinvia a Lex 24 & Repertorio 24 (www.lex24.ilsole24ore.com)