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L'attivita' del C.t.u.

L’attività del consulente d’ufficio nella CTU

La questione:

Quali sono i poteri attribuiti al consulente nominato dal giudice all’interno della consulenza tecnica d’ufficio?

È ammissibile, e in quali limiti, per il consulente d’ufficio, al fine di rispondere ai quesiti posti dal giudice, chiedere informazioni alle parti e a terzi e utilizzare documenti non contenuti nel fascicolo processuale?

LA SINTESI:

Nella normalità dei casi il consulente d’ufficio svolge le operazioni peritali in assenza del giudice istruttore ed è quindi tenuto a dirigerle, pur essendo previsto il potere per il giudice di intervenire, su richiesta del consulente medesimo ovvero a seguito di istanza di una delle parti, per risolvere eventuali questioni che sorgano nel corso delle operazioni medesime. Lo svolgimento delle attività peritali è ispirato dal rispetto del principio del contraddittorio, che si estrinseca sia nel garantire alle parti di poter partecipare alle operazioni peritali di persona ovvero tramite il difensore tecnico e il consulente di parte sia nel poter interloquire con il consulente d’ufficio per il tramite di osservazioni e istanze. Il consulente ha il potere di porre in essere tutte le attività ritenute necessarie per il corretto svolgimento del mandato, ivi compreso il diritto di domandare chiarimenti alle parti, chiedere informazioni a terzi e, secondo la giurisprudenza, utilizzare documenti anche non contenuti nel fascicolo processuale, purché ne vengano indicati le fonti e non vadano comunque a integrare uno degli elementi posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti. Al giudice viene invece riconosciuto il potere di sostituire in consulente nel corso delle indagini ovvero, alla fine delle stesse, di convocare il consulente al fine di offrire chiarimenti sull’attività espletata, di ordinare un supplemento ovvero il totale rinnovo delle indagini espletate.

(Enrico Bernini, avvocato del foro di Livorno, dottore di ricerca in Diritto dell’Arbitrato Interno ed Internazionale Università LUISS Guido Carli di Roma).

L’APPROFONDIMENTO:

Premessa. Il consulente cd. deducente e il consulente cd. percipiente.

La consulenza tecnica, nell’ambito dell’attività istruttoria, occupa una posizione del tutto peculiare. Da un lato, infatti, il consulente tecnico è annoverato tra gli ausiliari del giudice, mentre, dall’altro lato, la consulenza tecnica, pur essendo regolata nella sezione del codice di rito dedicata all’«istruzione probatoria», è disciplinata in un capo a sé, rubricato «Della nomina e delle indagini del consulente tecnico», che precede sia le regole sull’assunzione dei mezzi di prova in generale che quelle sui singoli mezzi di prova.

Nella visione del codificatore del 1940 la consulenza è un «mezzo di istruzione probatoria», ma non un «mezzo di prova» in senso proprio, il cui scopo non è pertanto, almeno in via diretta, quello di accertare un fatto controverso, ma di fornire al giudice un ausilio, da parte di un soggetto fornito di particolari conoscenze tecniche o scientifiche, al fine della valutazione di fatti allegati in causa e provati attraverso i mezzi di prova in senso proprio.

Tuttavia nell’esperienza pratica è assai rara l’ipotesi nella quale il consulente si limiti a fornire al giudice il bagaglio di regole o massime di esperienza che, stante la tecnicità della materia, il giudice non possiede e che sono necessarie per una corretta valutazione dei fatti accertati o comunque dati per esistenti, mentre sempre più diffuse sono le controversie nelle quali l’alto grado di tecnicità della materia oggetto di causa fa sì che conoscenze tecnico scientifiche specifiche siano necessarie al fine di provare l’esistenza dei fatti storici rilevanti.

In quest’ultimo caso la consulenza diventa fonte oggettiva di prova, in quanto unico strumento per accertare i fatti allegati.

La distinzione tra la consulenza «tradizionale» (cd. deducente) e la consulenza quale strumento di accertamento/prova dei fatti allegati (cd. percipiente) è ormai da tempo utilizzata anche nella giurisprudenza e assume una fondamentale importanza non solo (e non tanto) da un punto meramente descrittivo, quanto (e piuttosto) al fine di delineare gli oneri probatori a carico delle parti e i poteri del giudice in ordine al giudizio di ammissibilità del mezzo istruttorio.

Infatti ogni volta in cui non esista altro mezzo istruttorio idoneo a provare l’esistenza di un fatto la consulenza tecnica rimane l’unico strumento attraverso il quale la parte, che a ciò sia tenuta ai sensi dell’art. 2697 c.c., possa adempiere all’onere della prova. Di conseguenza, una volta che il fatto sia stato allegato e non sussista altro modo per provarne l’esistenza se non la consulenza tecnica, la richiesta istruttoria finalizzata all’ammissione della consulenza non potrà essere respinta dal giudice e, contestualmente, rigettata la domanda con la motivazione della mancata prova di un fatto costitutivo del diritto, quando era stato allegato il fatto da provare e formalizzata la richiesta istruttoria finalizzata all’ammissione della consulenza .

L’attività del consulente d’ufficio. Principi generali.

La lettura degli articoli del codice dedicati all’attività del consulente dimostra come nelle intenzioni del legislatore del 1940 l’attività dell’ausiliario avrebbe dovuto essere ispirata ai ben noti principi di oralità e immediatezza. Di conseguenza il consulente, chiamato ad assistere il giudice nel compimento di singoli atti ovvero per tutto quanto il processo, può assistere alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore e fornire, in udienza ovvero in camera di consiglio, i chiarimenti richiesti e può essere invitato alla discussione davanti al collegio e a esprimere il suo parere (orale) in camera di consiglio in presenza delle parti. Il fine della suddetta disciplina è quello di evitare qualsiasi dilatazione non necessaria dei tempi processuali L’esperienza pratica ha dimostrato, nel corso dei decenni, come quella che era prevista come regola sia diventata la rarissima eccezione, così che, in sostanza nella totalità dei casi, il consulente viene incaricato di compiere indagini «da sé solo», con la conseguenza che i risultati delle stesse devono essere riportati dal consulente in una relazione scritta (anziché essere trasfusi in un processo verbale, come di regola accade quando le indagini sono svolte in presenza del giudice istruttore).

Il legislatore del 2009, riprendendo delle prassi già esistenti presso alcuni uffici giudiziari, ha peraltro razionalizzato, da un punto di vista procedimentale, lo svolgimento della consulenza all’interno del processo, prevedendo, da un lato, che, con l’ordinanza di nomina del consulente, siano formulati i quesiti e fissata l’udienza per la comparizione e il giuramento del consulente medesimo e, dall’altro lato, che nella medesima udienza il giudice stabilisca il calendario delle attività del sub-procedimento di consulenza, con la fissazione di un primo termine per la trasmissione della relazione alle parti, di un secondo termine per la trasmissione, a opera delle parti, delle osservazioni sulla relazione al consulente e infine di un terzo termine, antecedente alla successiva udienza, per il deposito, da parte del consulente, della relazione, delle osservazioni delle parti e di una breve valutazione sulle stesse.

Il codice di rito fissa dei precisi limiti all’attività del consulente, in quanto subordina all’autorizzazione del giudice la possibilità di domandare chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi (art. 194, comma 1) e limita alle osservazioni e istanze il tipo di attività, anche in forma scritta, che le parti possono porre in essere (art. 194, comma 2).

Lo scarno dato testuale deve essere integrato tramite l’interpretazione giurisprudenziale, che ha dato una lettura estensiva delle suddette disposizioni ma ha nel contempo fissato precisi limiti all’attività del consulente.

A tal proposito, è per esempio dato acquisito che informazioni, alle parti e ai terzi, possano essere richieste dal consulente indipendentemente da un espressa autorizzazione del giudice; tuttavia la possibilità, da parte del giudice, di utilizzare le informazioni al fine della formazione del proprio convincimento presuppone che ne siano state indicate le fonti, in modo da permettere il controllo delle parti (v. Cassazione civ. 27 agosto 2012, n. 14652).

Altrettanto consolidato appare poi l’assunto che il consulente, al fine di correttamente svolgere l’incarico affidatogli, possa svolgere attività di accertamento di quei fatti accessori che costituiscono il presupposto necessario per rispondere ai quesiti postigli. A contrario il consulente non può accertare i fatti principali, cioè quelli direttamente posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti; qualora ciò accada, l’accertamento di tali fatti, effettuato oltre i limiti intrinseci del mandato conferito, deve considerarsi nullo per violazione del principio contraddittorio, con conseguente inutilizzabilità a fini probatori, anche meramente indiziari (Cassazione civ. 27 agosto 2012, n. 14655).

Lo svolgimento delle indagini peritali.

In ossequio al principio cardine del contraddittorio è assicurata alle parti la possibilità di partecipare attivamente alle operazioni peritali, non solo per mezzo del proprio difensore ma anche personalmente e con l’eventuale ausilio di un consulente di parte. Il rispetto del principio del contraddittorio non comporta soltanto che il difensore e il consulente d’ufficio, se nominato, siano tempestivamente informati, anche in via informale, delle modalità spazio temporali dello svolgimento delle indagini, ma anche che le parti possano attivamente partecipare alla formazione del convincimento del consulente. A tale riguardo il codice non solo prevede che le parti possano intervenire alle operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori, ma anche che possano presentare al consulente, per scritto o a voce, delle osservazioni e delle istanze.

Il consulente può ricevere scritti contenenti osservazioni e istanze e purché siano stati comunicati alle controparti.

A meno che le indagini non si svolgano in presenza del giudice il consulente d’ufficio è il soggetto tenuto a dirigere le operazioni peritali; qualora però, secondo quanto previsto dall’art. 92 disp. att. c.p.c., nel corso delle indagini sorgano questioni «sui suoi poteri o sui limiti dell’incarico conferitogli» (ovvero, in via estensiva, anche su altre questioni sorte in corso di indagini che il consulente ritenga di non poter risolvere da solo) il consulente ha il potere di informare il giudice perché quest’ultimo emetta i provvedimenti opportuni. Anche la parte ha il potere di rivolgersi al giudice nel caso dell’insorgere delle suddette questioni; il ricorso della parte in tale senso non sospende però le indagini peritali.

Assunzione di informazioni e acquisizione di documenti.

Quanto alle informazioni, fermi restando i limiti nei quali l’assunzione può avvenire, si tratta di stabilire il valore probatorio delle stesse. A tal fine appare opportuno distinguere a seconda che le dichiarazioni siano state rese dalle parti ovvero da terzi.

Quanto alle informazioni rese al consulente dalle parti, fermo restando che non possono costituire prove a favore del dichiarante, si pone il problema della valutazione delle affermazioni di fatti contra se, che secondo parte della giurisprudenza devono essere valutate quale confessione stragiudiziale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2735, comma 1, c.c. (così Cassazione civ. 11 dicembre 2003, n. 18987) ovvero giudiziale in quanto resa, nel corso del processo, a un ausiliario del giudice (Trib. Ferrara 21 luglio 1980, in Prev. soc., 1980, 1661), mentre secondo altra parte della giurisprudenza sarebbero elementi che il consulente può utilizzare al fine della stesura della relazione e quindi dotati di natura indiziaria (Cassazione civ. 20 agosto 1977, n. 3817).

Più in generale la condotta delle parti durante le operazioni peritali può essere valutata quale argomento di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c.

In relazione alle dichiarazioni di terzi, non sembra corretto attribuire alle stesse il valore di una testimonianza, in quanto rese in maniera difforme rispetto al procedimento previsto per l’assunzione della prova testimoniale; del contenuto delle dichiarazioni si potrà allora tener conto quali elementi di prova.

Aspetto particolarmente delicato è quello relativo alla possibilità per il consulente di utilizzare documenti non contenuti nel fascicolo processuale. A tal proposito è pacifico che non sussista alcun limite all’acquisizione di documenti contenuti in pubblici registri, che possono essere quindi liberamente utilizzati dal consulente, mentre vi sono opinioni divergenti in relazione alla possibilità per il consulente di acquisire documentazione non risultante da pubblici registri. La soluzione radicalmente negativa si fonda sulla considerazione che l’utilizzazione di documenti non contenuti nel fascicolo processuale contrasterebbe con le preclusioni processuali ovvero in ogni caso con le modalità di produzione dei documenti nel processo. La giurisprudenza però, salvo alcune decisioni di senso contrario (Trib. Salerno 27 luglio 2010), tende ad ammettere che il consulente acquisisca, da terzi o anche dalle parti, documentazione non contenuta nel fascicolo processuale (Cassazione civ. 21 agosto 2012, n. 14577), purché sia relativa a fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza ovvero richiedendo talvolta il consenso delle parti alla produzione (Cassazione civ. 19 agosto 2002, n. 12231).

Rinnovazione delle indagini e sostituzione del consulente.

Secondo quanto previsto dall’art. 196 c.p.c., il giudice ha il potere, da un lato, di disporre la rinnovazione delle indagini e, dall’altro lato, qualora ricorrano gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico. I provvedimenti individuati si differenziano tra loro in quanto, mentre la rinnovazione delle indagini presuppone che le attività del consulente siano ormai state portate a termine, in caso di sostituzione il consulente viene estromesso in corso d’opera.

Il giudice ha il potere di disporre il rinnovamento delle indagini ovvero la sostituzione del consulente anche d’ufficio; in caso di istanza di parte finalizzata alla rinnovazione delle indagini il giudice non è tenuto a disporla ma, qualora non la disponga, a differenza del caso contrario, è tenuto a motivare sul punto (Cassazione civ. 2 agosto 2004, n. 14775).

La rinnovazione sarà disposta qualora la consulenza sia affetta da un vizio idoneo a causarne la nullità e tempestivamente eccepito ovvero qualora, per qualsiasi motivo, il giudice ritenga non soddisfacenti le risposte fornite dal consulente.

Peraltro a fronte di una risposta da parte del consulente ritenuta non congrua il giudice ha a disposizione una pluralità di possibili interventi, potendo disporre sia che il consulente fornisca chiarimenti in ordine alla consulenza già depositata, sia un supplemento di indagini, sia il rinnovo integrale delle operazioni peritali.

La sostituzione, invece, viene disposta dal giudice quando le operazioni peritali sono ancora in corso e presuppone la sussistenza di gravi motivi, individuati dalla giurisprudenza nella scoperta motivi di ricusazione del consulente tecnico conosciuti dalla parte dopo la scadenza del termine per proporre l'istanza di ricusazione prevista dall'art. 192 c.p.c. o sopravvenuti al suindicato termine (Cassazione civ. 26 marzo 1985, n. 2125) ovvero il mancato rispetto del termine per il deposito della consulenza (Cassazione civ. 4 aprile 1985, n. 2337), ai quali deve aggiungersi, quale clausola generale, la ritenuta incapacità del consulente nello svolgere l’incarico affidatogli.

Conclusioni

All’esito delle osservazioni sopra svolte si può concludere osservando che è in sostanza riconosciuto al consulente d’ufficio, al fine di adempiere correttamente all’incarico conferito dal giudice, di utilizzare delle informazioni che non sono direttamente desumibili dal materiale contenuto nel fascicolo del processo. A tal fine il consulente non soltanto ha la possibilità di domandare chiarimenti alle parti, ma anche di assumere informazioni da terzi e utilizzare documenti. Tali informazioni non necessariamente devono essere risultare da pubblici registri e sono utilizzabili purché ne vengano indicate le fonti e siano riferite a fatti accessori, rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che devono essere provati direttamente dalle parti in quanto integranti gli elementi costitutivi ovvero modificativi, estintivi o impeditivi della fattispecie.

Le norme

Codice di procedura civile: artt. 61 - 62; artt. 191 - 201.

Disposizione di attuazione del codice di procedura civile: artt. 90 - 92.

Legge 18 giugno 2009, n. 69.

Approfondimenti dottrinali

Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1954.

Barone, Consulente tecnico. I. Diritto processuale civile, in EG, VIII, Roma, 1988.

Comoglio, Le prove civili, III ed., Torino, 2011.

Conte, La consulenza tecnica, Milano, 2004.

Luiso, Diritto Processuale Civile, II, 6a ed., Milano, 2011.

Protettì-Protettì, La consulenza tecnica nel processo civile, 3a ed., Milano, 1999

Rossetti, Il C.T.U. (“l’occhiale del giudice”), 3a ed., Milano, 2012.

Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1959.

Taruffo, in Comoglio, Ferri, Taruffo, Lezioni sul processo civile, I, Bologna, 2005.

Vellani, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Digesto civ., III, Torino, 1988 (rist. 1995).

La selezione giurisprudenziale

Cassazione civ. 14 settembre 2012, n. 15481. É legittimo l'affidamento al consulente tecnico d'ufficio dell'incarico di reperire presso l'Agenzia del territorio la planimetria originaria dell'appartamento locato, atteso che quest'ultimo dopo la cessazione del rapporto locativo era stato completamente mutato, in quanto accorpato ad un fondo limitrofo. Tale accertamento, avendo ad oggetto l'acquisizione di informazioni emergenti da pubblici registri e integranti un dato accessorio rispetto ai fatti costitutivi della domanda - rappresentati (quanto alla richiesta di determinazione del canone legale) non da qualsiasi elemento rilevante ai fini della decisione, ma dal contratto e dalla sua soggezione alla disciplina di cui agli artt. 12 e ss. legge n. 392/78 - ben può essere commesso al c.t.u., rientrando nella tipica attività di indagine tecnica che, ai sensi dell'art. 194 c.p.c., può legittimamente comportare anche l'acquisizione di informazioni.

Cassazione civ. 27 agosto 2012, n. 14655. Il consulente d'ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice, può, ai sensi dell'art. 194, primo comma, c.p.c., assumere informazioni da terzi e procedere all'accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, ma non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, e, se sconfina dai predetti limiti intrinseci al mandato conferitogli, tali accertamenti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore probatorio, sia pure indiziario.

Cassazione civ. 27 agosto 2012, n. 14652. Il consulente tecnico d'ufficio, nell'espletamento del mandato ricevuto, può chiedere informazioni a terzi ed alle parti per l'accertamento dei fatti collegati con l'oggetto dell'incarico, senza bisogno di una preventiva autorizzazione del giudice, potendo tali informazioni, di cui siano indicate le fonti in modo da permetterne il controllo delle parti, concorrere, con le altre risultanze di causa, alla formazione del convincimento del giudice; il c.t.u., in quanto ausiliario del giudice, ha la qualità di pubblico ufficiale e, pertanto, il verbale redatto, il quale attesta che a lui sono state rese le succitate informazioni, fa fede fino a querela di falso.

Cassazione civ. 21 agosto 2012, n. 14577. Il consulente tecnico d'ufficio, ai sensi dell'art. 194 c.p.c., può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse.

Cassazione civ. 23 febbraio 2011, n. 4401. Se nel corso di un giudizio di primo grado sia stata dichiarata la nullità di una consulenza tecnica d'ufficio perché espletata in difetto dell'integrità del contraddittorio, il giudice di appello non può fondare la sua decisione sulle risultanze della c.t.u. dichiarata nulla ed inutilizzabile ma deve, per non incorrere nella violazione dei principi del contraddittorio e del diritto di difesa, statuire sul merito della controversia esclusivamente sulla scorta della c.t.u. conseguentemente rinnovata e delle altre prove legittimamente acquisite a contraddittorio integro.

Trib. Salerno 27 luglio 2010. Il consulente tecnico di ufficio può tenere conto, ai fini dell'espletamento dell'incarico a lui affidato, esclusivamente dei documenti entrati a far parte del processo nel rispetto delle preclusioni istruttorie e non può procedere all'acquisizione di ulteriori documenti in violazione di quanto previsto dall'art. 183 c.p.c. (www.lex24.ilsole24ore.com).

Cassazione civ. 2 agosto 2004, n. 14775. In tema di consulenza tecnica d'ufficio, se la parte chiede la rinnovazione delle indagini tecniche, specificando le ragioni della richiesta, il giudice è libero di disporla o meno, ma nel caso in cui non la disponga, a differenza del caso contrario, è tenuto a motivare sul punto.

Cassazione civ. 11 dicembre 2003, n. 18987. L'affermazione della parte o, se questa è una società, del suo legale rappresentante, di fatti a sè sfavorevoli resa al consulente tecnico d'ufficio, considerato come terzo al di fuori del processo, integra una confessione stragiudiziale liberamente apprezzabile dal giudice, ai sensi dell'art. 2735, comma 1, c.c., con apprezzamento che, se congruamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità.

Cassazione civ. 19 agosto 2002, n. 12231. Il consulente tecnico di ufficio può tener conto di documenti non ritualmente prodotti in causa solo con il consenso delle parti, in mancanza del quale la suddetta attività dell'ausiliare è, al pari di ogni altro vizio della consulenza tecnica, fonte di nullità relativa soggetta al regime di cui all'art. 157 c.p.c., con la conseguenza che il difetto deve ritenersi sanato se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale.

Cassazione civ. 10 maggio 2001, n. 6502. Il consulente d'ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice, può, ai sensi dell'art. 194, comma 1, c.p.c., assumere informazioni da terzi e procedere all'accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, ma non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, e, se sconfina dai predetti limiti intrinseci al mandato conferitogli, tali accertamenti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore probatorio, neppure indiziario. Invece la valutazione del C.T.U., che il giudice riscontri erronea, di elementi probatori acquisiti al processo e costituenti premessa necessaria della risposta ai quesiti, determina l'inattendibilità delle conclusioni su di essa basate.

La pratica

IL CASO CONCRETO

In una controversia finalizzata alla divisione di un’abitazione, instaurata dalla sig.ra Tizia, il giudice di primo grado, utilizzando dei documenti relativi alla condizione catastale e urbanistica depositati dal convenuto Caio dopo la scadenza delle preclusioni istruttorie, preso atto della esistenza di due distinte unità immobiliari, disponeva la divisione, previa realizzazione dei alcune opere necessarie. La Corte d'appello, investita della questione da parte di Tizia, dopo aver disposto l'espunzione dal fascicolo di documenti relativi alla condizione catastale e urbanistica dell'immobile, perché forniti al c.t.u da Caio dopo la scadenza del termine istruttorio, disponeva lo scioglimento della comunione e la vendita del bene, con condanna di Caio al pagamento di entrambe le fasi giudizio. Avverso la decisione della Corte d’appello ricorreva Caio, che censurava la statuizione della Corte di appello di ritenere inammissibile, in quanto preclusa, la produzione documentale fornita al consulente dalla parte appellata, lamentando, in particolare, che la documentazione consegnata oltre la scadenza del termine istruttorio avrebbe dovuto comunque essere acquisita d’ufficio da parte del consulente, in quanto necessaria per l’espletamento dell’incarico

LA SOLUZIONE ACCOLTA DALLA CORTE

La Corte di cassazione, accertato che al consulente d’ufficio era stata richiesta l'acquisizione di certificazione catastale aggiornata e di provvedere a verificare la regolarità urbanistico edilizia del fabbricato, ha accolto il ricorso, stabilendo che sarebbe rientrato nei compiti del consulente l'acquisizione della documentazione prodotta dalla parte, comunque indispensabile per l'espletamento dell'incarico, mentre la Corte d'appello non si era chiesta se l'incarico avrebbe potuto essere svolto senza quelle acquisizioni. La decisione si inserisce nel filone giurisprudenziale che consente al consulente di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse.

Nella caso di specie, dal momento che l'acquisizione e la produzione non miravano a far accertare fatti posti a fondamento di domande o eccezioni, ma solo a favorire le verifiche e le acquisizioni comunque dovute, non v'era luogo per l'applicazione del principio di preclusione istruttoria, dovendo invece essere applicato l'art. 194 c.p.c., in forza del quale il consulente d'ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice, può assumere informazioni e procedere all'accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, restando irrilevante la circostanza che tale acquisizione provenga dalla parte.